UTILI IDIOTI E INUTILI CRETINI

Premessa: la pandemia scatenatasi ad inizio 2020 era stata prevista da tempo. Gli studi, le ricerche, la storia recente e meno recente indicavano che il prossimo evento epidemico sarebbe derivato da un salto di specie, dovuto a varie dinamiche: la crescita della popolazione, la sempre più invasiva antropizzazione, la distruzione e la devastazione ambientale. Nel suo libro “Spillover” (uscito nel 2012) Quammen descriveva in maniera affascinante e complessa questa possibilità. Il libro è poi diventato un best-seller, ma nel 2020. Se le tesi riportate nel testo avessero avuto una qualche considerazione a livello mondiale, probabilmente la situazione attuale sarebbe stata un po’ diversa. Ma, si sa, i piani antipandemici costano e non danno visibilità. Non ci si possono fare comunicati stampa o post sui social. Oltretutto sarebbero difficili da spiegare ad una società che vive ormai in un eterno presente. Per cui, quando è arrivato, il Covid 19 ha colto tutti, o quasi, di sorpresa. E poi, siamo o non siamo nell’era dei bilanci in ordine?
Le tappe che si sono succedute sono state: indifferenza alle prime notizie dalla Cina, sottovalutazione del fenomeno (tutti ricordiamo gli aperitivi di Zingaretti) l’allarme, l’allarmismo, il terrore.
Questo è ciò che gli Stati e le autorità hanno prodotto, dato che altrimenti avrebbero dovuto cambiare paradigma socioeconomico, assieme ad un sistema comunicativo del tutto inadeguato ad una tale evenienza, il quale ha spalmato (e continua a farlo) per quasi due anni, la notizia in maniera terroristica, confusa, contraddittoria, alimentando una tensione e una paura del tutto inutili ai fini della prevenzione e delle necessarie misure sanitarie.


Tutte queste fasi, ovviamente complicate e confuse (come ogni epoca storica, al netto delle responsabilità politiche ed economiche date dal sistema capitalistico, ma come direbbe Joe Pistone “Che velodicoaffare?”) sono state agganciate in corsa dalle tendenze irrazionali che paiono sempre più permeare una società non più adusa ai conflitti sociali e molto abituata, invece, alla mancanza di una qualsiasi bussola razionale.
Quindi ad ogni tappa confusa si è aggiunta una lettura assai più confusa ma apparentemente “ragionevole”: → non c’è nessuna pandemia → le chiusure non servono a nulla → a Bergamo non ci sono stati morti → le mascherine fanno venire
l’asma → il vaccino è un “siero sperimentale” → le multinazionali del farmaco (a proposito: benvenuti nel capitalismo!) → il green pass (emerita cazzata all’italiana) come strumento diabolico di controllo (infatti fino ad oggi il potere non controllava nessuno e si viveva nell’eden dei diritti sociali e civili).
Se fossimo stati in un altro periodo storico, l’inadeguatezza degli Stati, l’arrendevolezza della UE di fronte ai diktat delle multinazionali del farmaco, l’incapacità della classe imprenditoriale di mettere in atto proposte e misure efficaci (vi ricordate il “tutto aperto” dei “padroni” del Nord e la conseguente tragica escalation di morti in Lombardia?) sarebbero state oggetto di ampie manifestazioni di protesta, nelle quali si sarebbero reclamati: vaccini gratuiti per tutti, indennità per chi si fosse ammalato, reparti ospedalieri che non fossero aziende, la fine del numero chiuso per le facoltà di Medicina e infermieristica, l’eliminazione di ogni brevetto sui vaccini (cosa del resto assai poco comprensibile qualche decina di anni fa).
Si sarebbero reclamate tantissime altre cose, ma, tutte, avrebbero avuto come obiettivi la difesa della sanità pubblica, le cure universali e tutte quelle “meraviglie” del secolo scorso che oggi sono state dimenticate e pure cosparse di sale.
Trenta e più anni di elogio del privato, dell’apologia del mercato come stato di natura, dell’Imprenditore di sé stesso come nuovo eroe resiliente (parola che è diventata ormai una parolaccia) hanno sedimentato un mondo dove “ognuno ce la fa da solo”, la “società non esiste”.
Questo grumo irrazionale, ma non totalmente infondato, ha cementato un’ampia platea composta da diversissime realtà e situazioni personali, che, spesso, parlano linguaggi diversi e dei quali ogni parte riesce a leggere solamente quello che vuole o comprende.
Abbiamo filosofi, storici, intellettuali che, attraverso una serie di discorsi complessi derivanti dalla loro professione, riempiono di contenuti un contenitore che non sta in piedi, ma che serve ad altri per costruire una narrazione “altra” validata da tali “scienziati”.
Non c’è da meravigliarsi. A dire il vero, di intellettuali, poeti, scienziati, che sparano e hanno sparato minchiate è piena la storia. La storia non è LO STORICO, la scienza non è LO SCIENZIATO, e così via….. ma nell’epoca del protagonismo individualistico questo non viene né compreso né neppure pensato.
In questi ultimi mesi le proteste dei vari no-qualcosa (il piano inclinato di un discorso irrazionale permette di spostare sempre in avanti il motivo per cui ci “si oppone”) hanno visto decine di migliaia di persone scendere in piazza.
Certamente quando in una democrazia si manifesta per esprimere un dissenso è sempre positivo. Tuttavia, quando le manifestazioni hanno tratti e caratteristiche così scivolose, pur rispettandone lo svolgimento, qualche domanda bisogna
porsela.
Lo slogan scelto: “Libertà” è un significante vuoto. È una parola sotto la quale assemblare una platea amplissima, essendo, quel termine, privo di qualunque pregnanza minimamente valida. Libertà da chi? Libertà per cosa? Ovviamente i
vari partecipanti neppure si pongono una questione così elementare.
Ognuno di loro la declina come meglio crede. Questo aspetto, al di là di ogni espressione soggettiva dei singoli componenti di questa “gente” (in Italia il “gentismo” è stato portato in auge da Santoro negli anni ‘80, non a caso) testimonia la completa fluidità e, ovviamente, penetrabilità, di questo presunto movimento, da parte di qualunque agente esterno maggiormente strutturato (anche in forma pre-ideologica).
Sono sicuro che se provassimo a declinare questa parola nel senso del conflitto di classe, critica al capitalismo, proposte per la socializzazione delle aziende, e, insomma, proponendo di articolare la critica ad un provvedimento singolo e protempore, in maniera ampia e strutturata, avremmo una risposta diversa per ogni componente di questo magma e, in più di un caso, del rifiuto della stessa problematizzazione sociale.
Mi verrebbe da dire che si tratta di una storia già vista ampiamente.
Questo aspetto ambiguo (a dir poco) lo abbiamo visto all’opera il 9 ottobre scorso, quando, elementi appartenenti a Forza Nuova, ma, specificherei, NON SOLO, hanno assaltato la sede della CGIL. Un fatto che, in Italia, non accadeva, praticamente, dal 1919. Neppure nei momenti più caldi degli anni ‘70 del secolo scorso e neppure con la “cacciata” di Lama del 1977, un movimento di protesta per quanto incazzato con suoi i leader, aveva mai preso di mira una sede sindacale.
A seguito di quell’assalto, da una parte si è avviata e realizzata una manifestazione imponente indetta dalle tre confederazioni sindacali. Ma si sono anche rivelate tutta una serie di considerazioni assai inquietanti disposte in maniera trasversale dal punto di vista politico: attacchi ai leader sindacali, critiche per le politiche seguite nelle trattative, accuse di tradimento, spesso espresse con un linguaggio pre-politico. Ora che i sindacati confederali possano e, anzi debbano, essere sottoposti a critica appare lapalissiano. Che si assaltino e si devastino le loro sedi è invece al di fuori di ogni storia,
anche la più “radicale”. Il fatto che ci siano stati e sussistano dubbi in proposito vuol dire che alla spoliticizzazione di massa si accompagna un revanschismo per il quale non è complicato trovare la radice, per usare una parola che va di moda in questi giorni.
È stato scritto che la polizia ha lasciato entrare i manifestanti e i fascisti. Corrisponde anche a quanto indicato dalla Ministra dell’Interno. Ma secondo me c’è un equivoco molto grosso anche in merito al fascismo che da decenni viene indicato come “manovalanza” al servizio di qualcuno. Il fascismo, quello storico, non è stato al servizio di nessuno, ma è divenuto esso stesso classe dirigente. Questo equivoco nasce da una lettura semplificata anche del neofascismo. Ed è un ben strano concetto di manovalanza quello di chi sta con le classi dominanti.
Ovviamente il movimento anti-green pass non è un movimento di fascisti. Non avrebbe senso affermare una cosa del genere. Ma è un movimento composto da tantissime, troppe anime, e tutte ugualmente confuse e straniate, che lottano contro qualcosa di surreale, quale il certificato verde che fra qualche mese verrà eliminato e che sparirà assieme a tutti loro, sedimentando un’attitudine impolitica del tutto inservibile per ogni altro scopo.
Chi pensa di cavalcare questo magma indirizzandolo verso qualche battaglia politicamente rilevante vive in un altro pianeta. La mancanza di partiti o strutture organizzate, la derisione costante dell’impegno politico, la semplificazione dei
linguaggi, l’incapacità di veicolare ideologie aventi basi teoriche, non faranno certo nascere un nuovo quarto stato.
Che non esiste senza coscienza di classe. Qui siamo di fronte a ribellioni momentanee su tematiche impalpabili (non una manifestazione per la sanità pubblica, contro le morti sul lavoro, sullo sfruttamento dei migranti, sulla precarietà, per i salari, per le pensioni. E anche se venissero indette la partecipazione sarebbe pari a zero) destinate a scomparire nell’arco di pochi mesi, oppure, a trasformarsi in qualcosa di assai pericoloso.
Abbiamo già visto, in questi decenni, esempi di manifestazioni monotematiche, anche a “fin di bene” (girotondi, l’ambiente, ecc…ecc…) e sono tutte terminate nel vuoto pneumatico. Quello che voglio dire è che dietro a queste manifestazioni non c’è nulla. Nessun progetto politico, nessuna idea propositiva, nessuna conoscenza storicamente e politicamente rilevante.
Solo una rabbia postmoderna, indirizzata verso non si sa chi, che utilizza metafore e paragoni completamente demenziali (L’attacco alla Segre, ad esempio, mettendo a confronto due situazioni imparagonabili). E quando manca il progetto politico, nel non vuoto della realtà sociale, qualcuno ce lo mette. E lo sta già facendo. E il bello è che vi partecipa pensa di essere contro qualche “sistema” (già l’uso di questo termine è significativo) e invece ne riassume tutte le componenti tipiche: individualismo, egocentrismo, indifferenza per la comunità, irrazionalità, ascientificità. Nulla che non rafforzi il potere esistente.
Eppure, vi erano praterie per attaccare uno dei governi più reazionari della storia d’Italia, composto da tutti i partiti e portatore diretto del verbo liberista.
Ma, come nella “Lettera rubata” di E.A. Poe, quello che hai sotto gli occhi ti sfugge blaterando di “Great-Reset”, “di 5g”, di “controllo occulto”.
Il problema, rilevantissimo, è che la spoliticizzazione della società operata in trenta anni di magnifiche sorti e progressive portano ad avere sempre più spesso rilevanza fenomeni come questi: dai Forconi, ai Gilet Gialli, al M5s (prima della normalizzazione), agli adepti di Salvini (ormai in rotta), ora i no-green pass. A quando i camionisti come in Cile?
E la domanda che ci dovremmo porre è sempre la stessa
“Che fare”?

Andrea Bellucci