1. Premessa
La storia dell’umanità, almeno a datare dal sorgere dalle più antiche civiltà, del Medio Oriente e mesopotamiche, è storia di guerre. Le suddette società sorte in concomitanza del fatto che gli esseri umani hanno iniziato ad addomesticare piante ed animali, sono tutte state polemarchie, ossia associazioni che hanno basato la propria sopravvivenza sulla forza militare, per dominare le genti circostanti e mantenere l’ordine gerarchico costituitosi al loro interno. La casta guerriera è assurta al potere, fidando sulla propria forza, per ottenere una parte privilegiata dei beni disponibili in ogni fase storica determinata. Da questo punto di vista i diecimila anni trascorsi dalla fondazione della
prima città-Stato, Gerico nella valle del Giordano, non sembrano aver portato ad alcun mutamento sostanziale dei rapporti di forza, se non nella circostanza che ben presto i possessori del denaro (capitali) hanno assunto il potere reale, affidando ai militari il compito prezzolato di curare la riuscita dei propri interessi, esteri ed interni. La svolta del secondo millennio dell’era cristiana sembra preannunciare una fase nuova e diversa; per questo il dibattito appena iniziato ed in corso circa la costituzione di una forza armata europea sembra terribilmente fuori tempo e legato a schemi comportamentali obsoleti.
2. La guerra fino al medioevo
Fino alla fine di quello che viene chiamato come “Medioevo” la guerra è stata l’occupazione principale delle classi dominanti. Era l’occasione per estendere i propri domini e ricavarne lauti profitti (schiavi, beni, terre fertili, etc.).
Contemporaneamente cresceva la loro potenza dentro il territorio di cui erano entrati in possesso. Condottieri erano i capi delle città greche, condottieri erano i senatori romani, condottieri erano i feudatari, condottieri erano i satrapi delle civiltà mesopotamiche. Che la classe militare fosse la classe dominante viene plasticamente dimostrato dall’Impero Romano, dove i nuovi imperatori venivano acclamati dalle truppe dislocate nelle varie parti degli immensi possedimenti. Ma chi moriva per la maggior parte in guerra? Il popolo dei dominati, chiamato a seconda dei bisogni manifestatesi di volte in
volta. La guerra non costava denari ai regnanti [1], ma ne produceva per rapina sui vinti; le fatiche ai poveri, i guadagni ai ricchi. I romani avevano un esercito permanente, con una durata della ferma più che decennale [2]. Le città greche ed i feudatari chiamavano i sudditi a servire agli scopi bellici quando lo ritenevano necessario.
3. La guerra nell’età moderna
L’avvento della borghesia finanziaria e mercantile (Medici a Firenze, Fugger ad Augsburg, etc.), cambia profondamente la struttura sociale, le assi del potere, la natura della guerra e della sua conduzione. I signori ed i sovrani non conducono più le proprie guerre di rapina, ma si rivolgono ad una classe militare di mestiere; Luigi XIV aveva al suo servizio grandi generali, artefici delle sue sconfinate conquiste, tra i quali spiccava il Gran Condé; i Medici contavano sulle truppe di Giovanni dalla Bande Nere. Non è più solo la leva militare delle popolazioni a sopperire alle necessità di milizia, soprattutto per le signorie di minore estensione; nascono le truppe mercenarie e si rafforza il ruolo
dell’investimento e del denaro. Queste ultime e le necessità di vettovagliamento comportano la nascita e la crescita di spese che un tempo erano appannaggio dei coscritti e dei loro signori feudali che venivano chiamati ad adempiere alle richieste dei regnanti. La guerra inizia a costare e molto. La storia dei secoli dal XV al XVII è storia di indebitamento dei sovrani nei confronti dei prestatori di risorse finanziarie, di mancate restituzioni, di fallimenti. Fortune nascono e muoiono, ma sono comunque le borghesie che tengono i cordoni della borsa, anche se questo comporta dei rischi a volte
fatali; le corti vivono nel lusso e nello sfarzo, ma progressivamente scavano il precipizio in cui cadranno nel secolo successivo. Anche la guerra cambia le modalità della sua conduzione, anche se la sua natura sostanzialmente non muta.
Lo scopo resta quello di assoggettare territori e popolazioni per renderli tributari di beni e servizi. Lo sviluppo delle armi da fuoco rende gli scontri militari molto più cruenti, ovviamente a scapito dei fanti, la parte più infima degli eserciti.
4. Guerra continua
La storia umana, come detto, è storia di guerre. Queste si sono succedute senza sosta, non lasciando campo che a brevi spiragli di pace, brevi nel tempo e limitati nello spazio. Non solo le guerre hanno dominato la storia, ma a volte sono apparse infinite (c’è stata anche la guerra dei “cento anni”), ma fino al secolo scorso non hanno mai coinvolto
contemporaneamente gran parte delle popolazioni di tutto il mondo.
Le due guerre mondiali del XX secolo hanno rappresentato un culmine. Mai prima di allora le vite hanno contato di meno, mai prima di allora tante risorse sono state distrutte, mai prima di allora la tecnica e la scienza hanno giocato un ruolo così importante e nefasto; ma, soprattutto, mai prima di allora tante fortune sono state accumulate su poche teste, calpestando le esistenze della grande maggioranza dei popoli. Gli Stati Uniti d’America ne sono usciti egemoni, ed hanno usato questa leadership, come sempre nel passato, per accentrare potere e ricchezza; la loro posizione si è concretizzata in una serie infinita di conflitti un po’ dovunque, ma meglio sarebbe puntualizzare ovunque laddove gli interessi statunitensi venivano, dal loro punto di vista, messi in discussione. La strategia che gli Usa hanno continuato a perseguire è quella di sempre: occupare un territorio, sottometterne la popolazione, ricavarne benefici (dichiarando di farlo per il bene dei popoli, esportando la democrazia, ovviamente in difesa dei diritti umani). L’esercito è il bene più prezioso per perseguire
il guadagno ogni dove esso si prospetti. Ovviamente l’industria degli armamenti ne trae grande beneficio e ha trovato nei presidenti dello Stato degli sponsor sicuri ed indefettibili.
5. La guerra è un fatto antico
La Germania nazista fu disfatta, fallendo clamorosamente il suo obiettivo di assoggettare i popoli europei secondo lo schema dettato da Hitler nel Mein Kampf. A distanza di circa ottanta anni l’Unione Europea è notoriamente, come si dice comunemente, “a trazione tedesca”; cioè gran parte dello scopo originario è stato raggiunto senza muovere milizie. E nello schema di organizzazione economica e produttiva la collocazione delle diverse popolazioni è abbastanza simile a quella ipotizzata con l’Est Europa e i Balcani che forniscono la mano d’opera e il ruolo di comando nelle mani degli eredi del capitalismo renano. L’avventura statunitense nei paesi del Medio Oriente nell’ultimo ventennio è clamorosamente andata incontro ad un disastro che ha palesato un deficit strategico più che evidente. Mentre gli Stati Uniti d’America consumavano ingenti risorse economiche e numerose vite umane nel tentativo di appropriarsi dell’Afghanistan, la Cina mettendo in moto solo opportunità diplomatiche ha posto le basi per gli accordi economici con il paese, ovviamente con
grandi benefici per la Cina stessa. L’economia sinica, in continua avanzata, non ha mosso guerre (ha usato l’esercito solo per il controllo della propria società, anche quelle parti di recente acquisizione), ma sta conquistando mercati e sta feudalizzando territori. Questa attività è volta a controllare prima di tutto le materie prime, ma non quelle energetiche la cui importanza strategica sta progressivamente riducendosi, quelle necessarie alle nuove tecnologie, ovverosia al futuro delle nostre vite. Il successo cinese andrà analizzato in profondità, ed in questo numero della rivista, iniziamo questa
analisi necessaria per riorientare la nostra azione strategica. Quello che qui mi propongo è riflettere sul fatto che i metodi bellici, che per millenni hanno contraddistinto ogni accaparramento di beni, sembrano essere arrivati al capolinea, per lasciare spazio ai metodi striscianti del dominio economico, della subalternità tecnologica in grado più efficacemente e meno dispendiosamente di assicurare il controllo dei territori da cui si vuole estrarre profitti. In questa luce il sorgente dibattito sull’esercito europeo appare fuori tempo. Quale potenza straniera minaccia le frontiere del continente? Chi ci
minaccia invasioni? Da chi ci dobbiamo difendere? Fino a che punto l’esercito del quale l’Europa potrebbe disporre potrebbe svolgere una funzione di deterrenza e non sarebbe piuttosto uno strumento di “pronto intervento” per scimmiottare la fallimentare politica degli Stati Uniti? E questo pronto intervento è volto all’esterno o all’interno?
[1] I re chiedevano ai vassalli di provvedere ad un determinato contingente di truppe ed essi provvedevano alla bisogna, e spesso erano gli stessi militi a procacciarsi i mezzi di sussistenza.
[2] I cittadini romani erano, inoltre, obbligati a prestare servizio militare, entro il quarantaseiesimo anno di età, per almeno 10 anni per i cavalieri e 16 anni per i fanti (o anche 20 in caso di pericolo straordinario).
Saverio Craparo