Il 7 ottobre la Corte costituzionale polacca ha aperto la strada verso una possibile secessione della Polonia dall’Unione Europea, dalla quale il Paese ha ricevuto enormi vantaggi dichiarando la prevalenza del diritto nazionale su quello comunitario.
Oggetto del contenzioso sono gli interventi della Polonia sul proprio assetto istituzionale che hanno violato i principi dello Stato di diritto, cancellando l’autonomia della magistratura, istituendo una sezione disciplinare speciale alla quale è affidato il compito di rimuovere i giudici le cui pronunce non sono gradite al Governo. Viene così violato il principio della separazione dei poteri e di indipendenza della magistratura; il potere giudiziario viene asservito al potere politico.
L’intervento della Corte costituzionale polacca si era reso necessario per asservire il paese alle scelte politiche integraliste e di destra del Governo che ha varato provvedimenti repressivi in materia di diritti civili, approvando leggi segregazioniste nei
confronti dei cittadini LGBT, creando delle “zone libere” da cittadini LGBT, ovvero località nelle quali è di fatto impedito a questi cittadini di vivere, ha approvato una modifica alla legge sull’interruzione della gravidanza che costringe le donne a portarla a
termine anche in caso di gravi malformazioni del feto. Occorreva impedire che queste leggi venissero impugnate davanti alla magistratura per cui il Governo è ricorso all’epurazione dei magistrati sgraditi, disponendo il loro pensionamento anticipato e ha
affidato al potere politico la selezione della magistratura.
Contro queste scelte molti cittadini polacchi si sono appellati alla Corte di Giustizia Europea per chiedere che i loro diritti civili venissero rispettati, al pari di come avviene per gli altri cittadini dell’Unione. Si è aperto un contenzioso nell’ambito del quale il 14 luglio la Corte costituzionale polacca ha deciso che “le successive modifiche alla legge sul Consiglio nazionale della magistratura, che hanno portato all’abolizione del sindacato giurisdizionale effettivo delle decisioni del Consiglio sulla presentazione al presidente delle domande per la nomina dei candidati a giudici della Corte costituzionale, possono violare la legge Ue”.
In risposta a questa decisione la Corte di Giustizia Europea (CEDU) ha affermato che se un giudice nazionale ritiene che la legge nazionale viola il diritto dell’UE, è obbligato ad astenersi dall’applicare tali disposizioni, rispettando quanto dispone il Trattato UE, che la Polonia ha liberamente sottoscritto. in base al quale la CEDU obbliga gli Stati a rispettare il principio della divisione dei poteri. Così deliberando la CEDU ha obbligato la Polonia a sospendere l’applicazione delle disposizioni concernenti i poteri della Sezione disciplinare della Corte costituzionale, in materie quali la revoca delle immunità giudiziarie.
La sentenza pronunciata, il 7 ottobre, afferma invece che l’articolo 1, c. 1, del Trattato sull’Unione Europea è in contrasto con gli l’artt. 2, 7, 8 della Costituzione polacca e che la legge nazionale prevale su quella europea, altrimenti il trasferimento di poteri statali all’Unione impedirebbe alla Polonia di funzionare come Stato sovrano e democratico. Secondo la Corte costituzionale, la norma europea che autorizza i giudici nazionali a eludere le disposizioni della Costituzione e le disposizioni del Trattato che autorizzano i giudici nazionali a sindacare la legittimità della nomina di un giudice sono in contrasto con la Costituzione polacca.
La Corte costituzionale ha stabilito che il diritto dell’UE può agire con precedenza sugli statuti solo nell’ambito dei poteri delegati. Consentire a qualsiasi organizzazione internazionale, compresa l’Unione Europea, di creare norme a cui è sottoposta la
Polonia, travalica l’area di competenza dell’Unione. Attribuire a queste norme valore di immediatezza e la prevalenza sulla Costituzione e l’ordinamento interno del Paese significa produrre una perdita di sovranità. Pertanto, la Corte afferma categoricamente che nessun organismo polacco può consentire un simile stato di cose “Non c’è dubbio gli Stati membri non hanno autorizzato gli organi dell’UE a presumere competenze, o a derivare nuove competenze da quelle già esistenti”.
Evidentemente firmando il trattato di adesione la Polonia ha trascurato di leggere cosa firmava o vuole uscire dall’Unione.
Da parte sua la Commissione UE sostiene e conferma i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dell’Unione, vale a dire che il diritto dell’UE prevale sul diritto nazionale, comprese le disposizioni costituzionali e che tutte le sentenze della Corte
di giustizia dell’UE sono vincolanti per tutte le autorità degli Stati membri, compresi i giudici nazionali. L’Unione europea è una comunità di valori e diritti che devono essere rispettati in tutti gli Stati membri. I diritti degli europei sanciti dai Trattati devono essere tutelati indipendentemente dallo Stato in cui vivono i cittadini nell’Unione europea. Compito della Commissione europea è vigilare sul corretto funzionamento dell’ordinamento giuridico dell’Unione e ciò è quanto l’Unione continuerà a garantire.
L’Ungheria plaude alla decisione della Corte costituzionale polacca e dichiara di condividerla. L’ Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri Josep Borrell ha affermato che il primato del diritto dell’UE sulla legislazione nazionale è
uno dei pilastri dell’UE, aggiungendo che la sentenza della Corte costituzionale polacca potrebbe portare a un’escalation del conflitto tra Bruxelles e Varsavia.
Applicando l’articolo 7 del Trattato il Consiglio europeo, “deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione
grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza
qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei Trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del Governo di tale Stato membro in seno al Consiglio ”. Per la Polonia ne va la
possibilità di accedere ai fondi del PNRR.
Chissà che non sia la volta buona per fare a meno di polacchi e ungheresi, in attesa che i rispettivi popoli si decidano a liberarsi di questi loro impresentabili governanti.