Lo storytelling, ovvero la narrazione affabulatoria messa in piedi dagli Stati Uniti e dai suoi alleati a riguardo degli attentati del 2001, ha imposto al mondo di dimenticare un altro 11 settembre, quello del 1973, quando l’esercito cileno sostenuto e guidato dalla CIA, su ordine di Henry Kissinger, all’epoca segretario di Stato USA. organizzò e guidò il colpo di Stato in Cile. Dopo avere messo in ginocchio l’economia cilena, bloccato il paese grazie a scioperi prezzolati dei trasportatori, l’esercito assalì il palazzo presidenziale e uccise il presidente Salvador
Allende. La sua colpa era quella di avere tentato di affrancare il paese dallo sfruttamento yankee e di promuovere riforme sociali per sollevare le condizioni di vita miserabili della popolazione; ancora più grave era il fatto di essere stato eletto
democraticamente a capo della coalizione di Unidad Popular.
Il costo in vite umane
Nel 1991, il ‘Rapporto Retting’ dichiara che 2296 persone hanno subito violazioni dei diritti umani e sono state uccise dalle forze di sicurezza per ragioni politiche e che poco meno di 1000 sono state vittime di sparizione forzata. Nel 2004, la Commissione Valech presenta un rapporto supplementare che documenta 28.459 casi di detenzione illegale,
seguita nella maggior parte dei casi da tortura. La revisione finale delle conclusioni della Commissione Valech porta a oltre 40.000 il numero delle vittime di violazioni dei diritti umani tra il 1973 e il 1990, di coloro che dovettero andare in esilio; vennero arrestate e torturate. Il numero ufficiale delle persone uccise o scomparse fu di 3216, mentre quello delle persone che hanno subito detenzione politica e/o tortura è stato di 38.254.
L’obiettivo dell’amministrazione statunitense era chiaro: dopo aver eliminato il Che in Bolivia si voleva impedire che avesse successo il cambiamento iniziato in Cile con l’elezione di Allende nel 1970. Un pericoloso asse progressista avrebbe potuto formarsi in America Latina tra l’esperienza rivoluzionaria cubana e quella riformista cilena. La dottrina Monroe enunciata nel 1823 nel messaggio annuale Congresso esigeva la supremazia degli Stati Uniti in tutto il continente americano e perciò Salvador Allende doveva morire e con lui un numero sufficiente di Cileni e per soddisfare le richieste
della destra e dei circoli militari del Paese.
Gli Stati Uniti avrebbero inviato i Chicago Boys dell’economista Milton Friedman per promuovere l’iperliberismo come alternativa di sviluppo. Ma il maggior ideologo dell’operazione era l’economista Friedich Hayek il quale sosteneva in antitesi con Keynes che il potere dello Stato va ridotto al minimo per evitare ingerenze lesive della libertà del cittadino lasciando la regolamentazione dell’economia al libero mercato e alla democrazia gestita dai militari che egli chiama “demarchia.” L’applicazione delle sue teorie economiche, che godevano non solo del sostegno di Kissinger ma anche di Nixon e della Thatcher, hanno portato nei 17 anni di dittatura il Cile a non superare il modesto 2% di incremento del PIL mentre le privatizzazioni e la riduzione delle spese sociali hanno avuto gravi conseguenze nella qualità della salute e della educazione pubblica, e vi sono state due pesanti recessioni, nel 1975 e nel 1982-83.
D’altra parte, era quanto ci si poteva attendere da un economista feroce nemico del Welfare, come tutta la scuola economica austriaca che ha ispirato i conservatori di tutto il mondo. Il disastro economico è sociale della dittatura è stato così grande che ancora oggi, dopo 23 anni dal suo crollo il paese solo il 4 luglio 2021 ha inaugurato la Convenzione costituzionale che dovrà redigere una nuova Costituzione e si avvia a darsi almeno istituzioni di democrazia borghese.
Le ripercussioni italiane del Golpe
Il golpe cileno ebbe in Italia una profonda influenza politica e non tanto per la doverosa solidarietà verso il popolo cileno, ma perché costituì l’occasione per l’allora segretario del PCI Enrico Berlinguer di formulare la proposta del “compromesso Storico”.[1] Da parte della sinistra riformista italiana si accettarono come inamovibili le spartizioni delle
zone di influenza conseguenti alla fine della seconda guerra mondiale e si ritenne necessario adattarsi a vivere in una società capitalistica nella quale era impossibile ogni reale trasformazione sociale. Tuttavia, più realisticamente il PCI prendeva definitivamente atto del fallimento dell’ipotesi leninista e del marxismo nel suo tentativo di istaurare rapporti sociali comunisti e faceva definitivamente proprie le istituzioni della democrazia borghese avviando il suo definitivo declino come formazione politica e ipotesi di trasformazione sociale. Lo scioglimento del partito era ormai solo una
questione di tempo.
Un altro fallimento degli Stati Uniti
Secondo alcuni politologi statunitensi l’intervento degli USA in Cile avrebbe messo fine al pericolo marxista in America latina e permesso per anni una stabilità politica al Cile. Queste tesi sono contraddette dai fatti: governi socialisti eletti, più o meno radicali, sono andati al potere da allora in Venezuela, in Argentina, passando per l’Ecuador, l’Uruguay,
il Paraguay, il Brasile (Lula e Dilma) e da ultima la Bolivia. Inoltre, negli ultimi mesi in Cile, con la vittoria delle forze progressiste nel referendum (ottobre 2020) sulla Convenzione costituente, l’Assemblea è già al lavoro su un’ipotesi di Costituzione progressista, che garantisca salute e educazione pubblica, eguaglianza di genere, il riconoscimento e i diritti ai popoli originari, conformemente a quanto sostiene il costituzionalismo Latino-americano.
Certo il cammino non sarà agevole e l’America di Biden, in ritirata nei vari scacchieri del mondo, sarà tentata di tenere ancor più sotto controllo quello che considera il giardino di casa, ma è inevitabilmente sottoposta alla pressione di una migrazione crescente che bussa ai suoi confini in modo inarrestabile, spinta dalla fame, dalla disperazione,
dall’insicurezza. Fino a quando la povertà più assoluta, l’insicurezza che caratterizza i paesi stretti dal controllo dei cartelli della droga, sarà egemone nel continente la pressione ai confini degli Stati Uniti sarà costante con un alto rischio di destabilizzazione della situazione interna del paese.
Non c’è che una soluzione: lasciare che i paesi latino-americani scelgano i loro Governi in piena libertà, decidano di intraprendere una lotta a tutto campo alla povertà e accettino di combattere contro il narco traffico in modo che in ogni paese si creino le condizioni che permettano allo scontro di classe di svolgersi. A differenza dei politici statunitensi e di molti intellettuali dell’occidente, noi crediamo che le istituzioni politiche di democrazia borghese non siano esportabili.
Occorre che ogni popolo possa cercare da sé la liberazione dal bisogno e darsi libere e condivise istituzioni, lasciando che le dinamiche di confronto e scontro tra le classi si realizzino.
Se un popolo, come spesso accade, è succube di credenze religiose, si trova a subire il dominio di un governo teocratico. deve essere lasciato nella possibilità di maturare all’interno le forze necessarie a modificare le sue istituzioni politiche. Il nostro compito di laici è quello di stimolare in ogni modo la circolazione delle idee, l’informazione, il confronto. Questo oggi è possibile farlo grazie agli strumenti di informazione di massa e confidando sul fatto che nemmeno un regime teocratico islamico fondamentalista riesce a isolare completamente una società che ha bisogno dello sviluppo dell’economia per vivere. È paradossalmente necessario puntare sullo sviluppo delle forze produttive per
insinuarsi e promuovere la lotta di classe e l’abbattimento anche delle forme religiose di sfruttamento.
Ma dobbiamo essere consapevoli che più che mille discorsi e imposizioni sarà utile l’esempio, la capacità di ognuno di prendere nelle proprie mani il proprio futuro e lottare per una società di liberi ed eguali. L’oscurantismo, la soppressione dei diritti e delle libertà si difende combattendo e trovando nella propria esperienza la forza per ribellarsi,
consapevoli che la libertà non è esportabile.
Unica eccezione è la guerra di aggressione alla quale si risponde difendendosi anche cercando alleanze nel campo dei Governi di democrazia borghese o anche con chi – sia pure a livello tattico – si oppone agli aggressori. È stato questo il caso della guerra contro il nazifascismo combattuta dai comunisti anarchici nella convinzione che contro le dittature e il nazifascismo occorre costruire un Fronte Unico con l’obiettivo di restituire agibilità politica e operativa alla lotta di classe allo scontro tra capitale e lavoro.
Si tratta di valutare di volta in volta la situazione contingente nella consapevolezza che il capitale fa della guerra uno degli strumenti di perpetuazione del proprio dominio, utilizzando concetti di sovranismo, nazionalismi, difesa dell’etnia e dell’identità anche religiosa per scagliare i proletari gli uni contro gli altri armati.
Personalmente crediamo che la scelta della non violenza a tutti i costi non sia praticabile quando è l’avversario di classe ad avere scelto di ricorrere alla violenza, tanto più quanto questa viene esercitata attraverso le istituzioni gli eserciti, la schiavitù religiosa e culturale.
[1] Utilizzando questi fatti il segretario del PCI Enrico Berlinguer lanciava la proposta del “compromesso storico” completando la transizione del suo Partito verso la proposta di una democrazia partecipata che lasciava immutati i rapporti tra capitale e lavoro e si proponeva come buon governo e come una formazione politica moraleggiante. Vedi: Enrico Berlinguer, Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile. “Rinascita”, 12 ottobre 1973.
Gianni Cimbalo
Ci ostiniamo a cercar di capire, ad indagare e ragionare offrendo con modestia il nostro contributo alla maturazione di una coscienza collettiva e di una consapevolezza che ha tuttavia bisogno di operare nel concreto
dell’intervento politico.
Ecco perché queste riflessioni non sono rivolte solo all’area comunista anarchica o anarchica del movimento di classe, ma anche ai marxisti non dogmatici e a quanti, intervenendo sui problemi concreti dei proletari, mettono in atto un intervento politico su posizioni di classe ed hanno bisogno di appropriarsi criticamente di conoscenze per applicare alla loro azione un moltiplicatore, una valenza che, se carente di prospettive, diviene sterile.
Di queste compagne e di questi compagni noi oggi, come sempre, siamo al servizio, disponibili a cogliere ogni richiesta, ogni domanda di riflessione, a fornire quel retroterra che può essere utile a rinforzare e motivare l’intervento politico: questo senza alcuna pretesa di assumere un ruolo di guida e di direzione politica, ma desiderosi soltanto di svolgere la funzione di memoria storica.