Schiavi in Italia – La questione bracciantile

Nei campi, nelle serre, nei frutteti, nelle fattorie, negli allevamenti, un esercito di uomini e donne vive oggi in Italia in condizione di schiavitù. Così funziona l’agricoltura italiana che è il settore che registra la maggiore crescita del Pil (+3,9%). L’Istat ci dice che l’agricoltura, nel primo trimestre del 2021, è cresciuta dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, anche perché nell’emergenza Covid, le quasi 740.000 imprese agricole del comparto non hanno mai smesso di lavorare. L’agricoltura si conferma dunque la locomotiva dell’economia italiana.
Ma cosa intendiamo per produzione agricola e per comparto dell’agricoltura. Nell’immagine comune siamo indotti a pensare all’agricoltura come all’insieme delle attività che si svolgono a contatto della terra per la coltivazione di frutta e verdura. In realtà il settore è più complesso e comprende la coltivazione estensiva e intensiva di terreni e quindi un mixer di attività agricole tradizionali, accanto alla produzione industriale (serre e colture specializzate come quelle idroponiche) più diffuse di quanto si creda; accanto a queste attività c’è quella dell’allevamento in prevalenza industriale
finalizzato alla produzione di carni e di latte per la trasformazione in prodotti caseari: Alcuni includono poi nel comparto produttivo il settore della logistica che è essenziale per consentire alla filiera agricola di funzionare e far arrivare le merci sul mercato

Ecologia e agricoltura

La svolta ecologica che sembra voler caratterizzare questa fase di sviluppo economico enfatizza l’agricoltura di prossimità anche perché fornisce i prodotti della tradizione, prodotti di stagione e sostenibili da un punto di vista ambientale, senza mai abbandonare l’aspetto qualitativo e senza trascurare che la vicinanza alla città offre rilevanti opportunità alle aziende agricole, proprio perché intimamente legate alla prossimità di un potenziale mercato che ne dovrebbe permettere il sempre maggiore sviluppo. Ma al di la delle enfatizzazioni pur rappresentando questa una tendenza in crescita il peso dell’approvvigionamento alimentare grava sull’agricoltura intensiva ed estensiva nella quale si ricava uno spazio sempre maggiore l’agricoltura biologica che negli ultimi 10 anni ha visto aumentare la superficie biologica coltivata del 79 per cento. A oggi, l’Italia può vantare circa 2 milioni di ettari di superfici dedicate alle colture biologiche, con un incremento rispetto ai due anni precedenti di quasi il 2 per cento di Superficie Agricola. L’Italia è ai primi posti in Europa per l’export di prodotti di origine biologica con un fatturato oltre frontiera superiore a 1 miliardo di euro l’anno, un importo che rappresenta più di un terzo del giro d’affari complessivo del biologico italiano” (fonte Ispra).
Nel 2015, la superficie coltivata risulta pari a 1.387.913 ettari, arrivando all’ 11,2 per cento della superficie agricola nazionale. Il maggior numero di operatori biologici opera in Sicilia (9.660),in Calabria (8.787), in Puglia (6.599). In queste Regioni si concentra oltre il 45 per cento del totale degli operatori italiani. Anche la maggiore estensione di
superfici biologiche si trova in queste tre regioni: rispettivamente con 303.066 ettari in Sicilia, 176.998 ettari in Puglia e 160.164 ettari in Calabria. La superficie biologica di queste tre Regioni rappresenta il 46% della superficie biologica nazionale. Ma quanta forza lavoro viene utilizzata: gli occupati dichiarati nel settore primario sarebbero 1.125.000 circa (numero che comprende anche gli addetti alla pesca e alla selvicoltura). I lavoratori per la maggior parte sono concentrati nel Mezzogiorno (il 49%), mentre il restante risulta suddiviso tra Nord-Est (21%), Nord-ovest (17%) e Centro (13%).
Tale distribuzione è confermata dal peso degli addetti al settore primario sul totale degli occupati che ha, nelle regioni meridionali, percentuali estremamente alte (13% in Calabria, 11% in Puglia 10,5% in Basilicata). Al contrario, le regioni del Centro – Nord si attestano tutte sotto il 6% con l’eccezione significativa del Trentino Alto Adige (7,5%). Tali numeri non sono credibili rispetto alle superfici coltivate e al lavoro complessivamente richiesto. In realtà il numero della manodopera utilizzata va incrementato da un numero che oscilla tra i 600.00 e i 500.000 di lavoratori irregolari e si tratta di un fenomeno in crescita.

Un esercito industriale di riserva

In realtà il numero degli irregolari è calcolato per difetto, perché sfuggono a una ricognizione anche visiva le migliaia di lavoratori utilizzate nelle cascine adibiti alla pastorizia, all’allevamento di animali e perfino impiegati nelle filiere produttive pregiate come quella ad esempio del parmigiano. Questi lavoratori vivono spesso condizioni di
personale degrado, ma ve ne sono che vivono la loro condizione di schiavi a cielo aperto, perché immigrati, privati del permesso di soggiorno, il più delle volte neri, il cui grande reclutatore è Salvini con le sue leggi che ricacciano i migranti nella clandestinità, rendendoli ricattabili e schiavi dei padroni.
Va detto che quando parliamo di schiavitù ci riferiamo all’uso del termine in senso letterale, perché le catene sono costituite dalla clandestinità, dalle continue minacce e dal bisogno e esistono grazie alle connivenze tra imprenditori agricoli criminali, ruolo protettivo della criminalità organizzata, connivenza delle forze dell’ordine e delle autorità politiche sia nazionali che di quelle che gestiscono il territorio.
Luoghi come Borgo Mezzanone nel foggiano ( pomodori e secondo le stagioni meloni e altro) San Ferdinando nella piana di Rosarno (olive ed agrumi), o quelli che gravitano intorno al Cara di Crotone (olive ed agrumi), Quelli che lavorano nelle immense serre di Vittoria (RA), o nelle campagne di Casal di Principe o ancora sikh stanziati intorno a
Sabaudia giunti all’onore delle cronache a causa del Covid che vengono dopati con anfetamine ed altro per lavorare 14 ore al giorno. E quelle segnalate sono le concentrazioni più note perché vene sono di altre parse ovunque e vi sono situazioni
di sfruttamento schiavistico sparse un po ovunque.

La questione bracciantile oggi in Italia

Dobbiamo perciò ammettere che esiste oggi nel paese una questione bracciantile che va affrontata e risolta con interventi specifici e risorse dello Stato italiano Per l’agricoltura il Recovery Plan prevede – come è di moda dire – progetti immediatamente cantierabili per l’agroalimentare, dai settori produttivi a quello dei biocarburanti, con una decisa svolta verso la rivoluzione verde, la transizione ecologica e il digitale. Niente che incida sulla vita, la dignità e i diritti di chi vi lavora. Si dice che il Recovery Plan, se ben utilizzato i in grado di offrire 1 milione di posti di lavoro green entro i prossimi 10 anni ma nessuno di questi posti andrà a questi lavoratori. Eppure di loro l’agricoltura del paese avrà ancora bisogno e non vi è altri che li possa sostituire.
È questo il motivo per il quale lo jus soli non basta ma occorrono attività ispettive sulle condizioni di lavoro, la repressione dei caporali, l’arresto e la confisca dei beni degli imprenditori che applicano questi trattamenti, occorrono servizi, abitazioni rurali, assistenza medica. E poi occorre l’integrazione vera, lasciando che esperienze come quella sviluppatasi a Riace crescano e si moltiplichino, invece di processare chi vi ha dato vita.
I comunisti anarchici – come spesso accade – già nel lontano 1992 analizzando le linee di sviluppo del capitalismo internazionale scrivevano: “Non staremo ad aspettare ed un primo positivo contatto va stabilito con quella grande massa di emigrati che si riversa nei paesi europei e che deve divenire veicolo di una nuova solidarietà di classe.
Questo è il primo compito che ci attende.” Purtroppo molti di noi non sono stati capaci di far seguire alle parole i fatti.
Onore e sostegno almeno a tutti coloro che si battono per organizzare e difendere queste lavoratrici e lavoratori.

Gianni Cimbalo