L’inquilino del Colle deve aver accolto con “profonda e vibrante soddisfaziuone” le delegazioni dei diversi partiti che gli andavano a chiedere un secondo mandato: il progetto da Lui a lungo meticolosamente coltivato di usucapire il palazzo era andato a buon fine!
Era cominciato già ben sette anni fa, quando era riuscito a smarcarsi dal suo stesso partito e ad offrirsi come “uomo dalle larghe intese” che vedeva nella convergenza al centro di quella che fu la sinistra l’uscita dal tunnel berlusconiano: ora era giunto il momento di raccogliere il frutto di tante fatiche. Si, aveva avuto paura, bisognava ammetterlo, quando il governo Berlusconi si era dimesso il 12 novembre 2011, malgrado tutte le precedenti dilazioni della crisi che gli avevano permesso lo shopping di parlamentari. Un mese di tempo per fare acquisti che non erano serviti a nulla!
Allora aveva avuto l’idea geniale di ricorrere a Mario Monti, uno che aveva tutte le caratteristiche per piacergli: legato alle Banche e alla Chiesa, dirigente della Trilateral per l’Europa e del gruppo Bilderberg, un sicuro neoliberista, sostenitore del pareggio di bilancio e del rigore.
Si è visto com’è andata: un disastro.
Ma a spese dei poveri e dei diseredati, con un numero di suicidi in aumento per mancanza di lavoro, le fabbriche e le imprese che chiudono, la povertà che aumenta, le file alle mense della Caritas che si allungano.
Tuttavia bisognava prepararsi per tempo ad affrontare una concomitanza di noiose scadenze elettorali per il rinnovo del Parlamento e per quelle della Presidenza della Repubblica. E allora via: le grandi manovre sul Governo ormai impresentabile e l’anticipazione della crisi per causare l’ingorgo degli adempimenti istituzionali. Bastava parlarne con il Cavaliere perché staccasse la spina. Poi quel cretino di Monti che non si
fida delle promesse e decide di “salire in politica”! Non aveva capito di essere una sua creatura e che senza di Lui era nulla.
Aveva sfogato la sua delusione in lunghe passeggiate nei giardini del Quirinale e in pensose meditazioni nella serra piena di fiori esotici.
Però le elezioni avevano dato risultati in parte inattesi, con una instabilità politica tale che non vi erano le condizioni per il passaggio del testimone al PD e soprattutto c’era il rischio che il controllo della situazione sfuggisse di mano ai suoi uomini disseminati nei diversi partiti. E allora ecco la manfrina delle consultazioni difficili e la cottura a fuoco lento di Bersani, non tanto per lui, povera anima, ma per quelli che si portava dietro
e soprattutto per il rischio che estranei entrassero nel gioco, prima di poter essere assimilati al sistema. Troppo pericoloso coinvolgere i cinque stelle; non c’era verso che fossero diretti da due centri di comando, il Suo e quello di Grillo!
L’idea geniale dei dieci saggi: l’affidamento alle lobbies internazionali
Occorreva un riequilibrio dei diversi posizionamenti ed allora ecco l’idea geniale dei dieci “saggi”.
Qualche brava persona, sufficientemente ingenua, vecchie volpi della politica sufficientemente rappresentativi dei diversi gruppi di interesse, burocrati di alto livello espressione di quella razza di dirigenti dello Stato che non cambia mai e rappresenta la continuità vera delle istituzioni “democratiche”, un esperto di riforme istituzionali e di giustizia che ne aveva combinate già tante e perciò era di sicuro affidamento: tutti con il
compito di scrivere il programma del futuro governo, attualizzare il progetto della nuova architettura dello Stato a suo tempo concepito dal buon Licio Gelli, e che con il passare degli anni aveva bisogno di una riverniciatura per acquistare nuovo vigore. L’obiettivo principale: il rafforzamento dell’esecutivo e la trasformazione della Repubblica in presidenziale. Il progetto di cancellazione della Prima Repubblica avrebbe potuto essere così completato con l’ultima edizione del vecchio piano “Solo” dando vita finalmente a una repubblica presidenziale.
I partiti che avevano visto eletti loro candidati grazie ad una legge truffa erano entrati in una situazione di stallo ed erano pronti ad andare a chiedere al novello Cincinnato di restare e Lui avrebbe posto come condizione di avere le mani libere nella scelta di qualcuno da incaricare di formare il Governo, in grado di garantire le “larghe intese”. Bisognava solo trovare un uomo che credeva ai miracoli, ma quello c’era già: era
Enrico Letta. L’aveva scritto in un pizzino a Mario Monti quando era salito a Palazzo Chigi dopo la nomina a senatore a vita:”Mario, quando vuoi dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficialmente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice) sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!”.
Enrico Letta, come Mario Monti è membro del comitato esecutivo dell’Aspen Institute Italia, finanziato anche dalla Rockefeller Brothers Fund, che ha l’obiettivo di incoraggiare cosiddette leadership illuminate, le idee e i valori senza tempo; è membro del comitato europeo della Commissione Trilaterale, un’organizzazione di collegamento tra i membri effettivi delle classi dirigenti, di stampo neoliberista, fondata nel 1973 da David Rockefeller, è membro del Gruppo Bilderberg, tanto da aver partecipato alla sua ultima riunione tenutasi a Chantilly, Virginia, dal 31 maggio al 3 giugno del 2012, come risulta dalla lista ufficiale dei partecipanti resa nota dalla stessa organizzazione http://www.bilderbergmeetings.org/participants2012.html.: la copia giovane di Mario Monti!
Del resto di tutto ciò l’interessato, ex democristiano, poi margherita, legato a comunione e liberazione, con solidi legami negli ambienti ecclesiastici, non fa mistero, ma anzi va fiero. Perciò, il nuovo Governo a guida Enrico Letta avrà una composizione politica solo tecnicamente, ma sarà ancora una volta un comitato d’affari dei circoli capitalistici internazionali che amministra in nome e per conto della finanza mondiale questo
paese, in linea di continuità con ciò che ha fatto Mario Monti.
Si realizza così il disegno politico a lungo coltivato da un ex comunista stalinista napoletano che delle origini ha conservato tutte le caratteristiche più negative.
Un uomo tutto d’un pezzo, coerentemente di destra
Fin dalla sua adesione al Partito Comunista nel 1944, dopo aver abbandonato il Gruppo Universitario Fascista, viene incaricato di preparare l’arrivo di Togliatti a Napoli e di eliminarne politicamente la componente storica bordighista. Il futuro Presidente-Monarca si distingue nella sua attività repressiva della sinistra interna al Partito, diventa membro del Comitato Centrale nel 1956 dove si segnala per la condanna dell’insurrezione ungherese del 1956, soprattutto della sua componente di sinistra, definendo sull’Unità “teppisti” e “spregevoli provocatori” gli insorti e applaudendo all’intervento russo. E che Lui è sempre stato un uomo d’ordine e lo dimostra negli anni successivi quando il suo stalinismo si trasforma, con l’adesione alla corrente di Giorgio
Amendola, in “migliorismo”. Negli incarichi di partito svolge sempre la sua funzione di repressore di ogni istanza di rinnovamento della sinistra ed è Lui il responsabile della sezione lavoro di massa quando nel ’68 il PCI viene travolto dall’esplosione del movimento studentesco. Da allora il nostro capisce che, con la gestione di Enrico Berlinguer, “non è aria” e si dedica a mantenere i rapporti con Andreotti e la DC, crea i suoi personali legami in Inghilterra e negli Stati uniti che concederanno a Lui comunista (sic!) il visto d’ingresso negato a molti altri. D’altra parte Kissinger, che se ne intendeva, lo definiva “il mio comunista preferito”!
Inizia così la Sua navigazione parlamentare che lo porterà prima a Presidente della Camera, dove si distingue per aver negato di consegnare i bilanci dei partiti alla magistratura inquirente, richiesti da Gherardo Colombo nell’ambito dell’inchiesta “mani Pulite” e poi per aver mollato l’alleato Craxi, dopo aver fiutato il mutare del vento. Questi comportamenti lo avvantaggeranno nella Sua candidatura a Presidente della Repubblica, dove giunge portando con sé, dall’esperienza di militanza nel Partito Comunista, la Sua convinzione che le masse debbono essere guidate da una intelligenza politica che nell’esaltazione della funzione del leader, e visto lo scioglimento del Partito, si identifica con la Sua persona. Perciò è Lui a dover scegliere i destini del paese nel rispetto dichiarato della Costituzione, ma nella violazione costante e sistematica di essa.
Convinto che non vi sia altra gestione possibile dello Stato che quella retta da una alleanza tra conservatori e progressisti, come Presidente della Repubblica, opera per la trasformazione costante dei partiti della sinistra in formazioni di centro sinistra di stampo progressista neoliberale. Nelle valutazioni sulla tenuta parlamentare del Governo si adopera per sostenere il centro destra, oltre ogni ragionevole aspettativa,
rifiutandosi di sciogliere le Camere e rimandare al voto il paese dopo le dimissioni di Berlusconi. Convinto di dover cuocere a fuoco lento quelle componenti del PD che vorrebbero abbandonare la politica dei “larghi inciuci” impone un “governo tecnico”, espressione dei poteri forti, peraltro composto da tecnici tutt’altro che competenti e da una buona rappresentanza di maneggioni e appropriatori del denaro pubblico.
L’uomo è attento e prepara la Sua successione, ma molte cose vanno storte, a partire dalla scelta di Monti di candidarsi e di non saper attendere il proprio turno per succedergli alla Presidenza della Repubblica. E allora eccolo ritornare direttamente in campo, con rinnovato vigore e accresciuti poteri, per imporre al paese un “governo di larghe intese” che il voto popolare ha bocciato. Forse un giorno sapremo come sia potuto accadere che il PD abbia adottato una strategia così disastrosa e autolesionista Per le elezioni alla Presidenza della Repubblica ma per quanto recente questa è già storia ma mancano al momento informazioni sicure: ora il problema è come formare il Governo.
Questa volta è il Palazzo a scegliere l’”usato sicuro” nella persona di un uomo inserito e accreditato negli ambienti che contano, uno che sia in grado di vincere il confronto con l’outsider Renzi. E’ Berlusconi a dare una mano ponendo il veto: il Sindaco di Firenze non è ancora maturo, va tenuto come carta di riserva. La scelta viene fatta attraverso l’intermediazione di Gianni Letta e il testimone passa dallo zio al nipote.
Gli uomini del sacrificio
In questa fase della vita politica la stampa ed i commentatori politici ci suggeriscono che siamo circondati da uomini della provvidenza, uomini che si sacrificano per gli altri. Il primo è stato in ordine di tempo Benedetto XVI; ora è la volta del Presidente della Repubblica italiana. Certamente un filo nero unisce i due: un progetto – attuato – di proiezione del proprio potere oltre se stessi, un tentativo spasmodico e senza esclusione di colpi e di strumenti per perpetuare le proprie politiche oltre se stessi, per prolungare il potere sulla vita degli altri e lasciare la loro impronta nella storia, Tutto questo nel disperato bisogno di due ottuagenari di affermare quella immortalità che, mentre la fine della vita si avvicina, deve sembrare il supremo bisogno da soddisfare, l’ultimo desiderio. Ma ambedue, pudicamente, si nascondono dietro il sacrificio; secolarizzati inconsapevoli, ribadiscono che quel che conta è la vita terrena e che la loro grandezza nella storia è tanta da apparire e essere indispensabili. E’ così che ci si guadagna l’immortalità!
Dietro di loro si muovono gli interessi che essi rappresentano, le mete di uomini, di gruppi di interesse, di imprese finanziarie in nome del mantenimento di un potere secolarizzato, tutto materiale, che si manifesta attraverso il possesso dei beni materiali e dell’esercizio del dominio sugli altri e persino sulle anime. Il primo vuole realizzare l’egemonia sulla e della Chiesa attraverso se stesso e il secondo pretende di salvare un paese dalla rovina economica e sociale, cercando di convincere tutti di essere il possessore della sola ricetta efficace per uscire da questa crisi, consegnando di nuovo il paese a quelle forze prime responsabili della crisi internazionale!
Se questi progetti si stanno realizzando ciò è dovuto certamente alle forze che li sostengono ma anche all’incapacità politica e strategica di chi vi si oppone.
Gli errori al tavolo di gioco
Ma siamo veramente sicuri che chi ha giocato questa partita l’ha fatto nel modo migliore? Fermando la mostra attenzione alla situazione italiana rileviamo che gli elettori avevano dato delle carte in mano a chi aveva scelto di sedersi al tavolo di gioco del parlamentarismo, assicurando tutti di progettare e possedere un modulo diverso di gioco e anche di poter trasformare lo stesso campo di gioco e le sue regole. Partendo da queste premesse i cinque stelle hanno giocato la partita nel modo peggiore possibile, spendendo la carta Rodotà troppo tardi e in modo maldestro e non pienamente consapevoli di quanto questa fosse eversiva per la carica di innovatività e di distanza dai centri di potere che essa possedeva. Senza rendersene conto coloro che lo hanno candidato hanno proposto chi poteva rappresentare l’antitesi alla politica delle “larghe intese”, chi concentrava su di sé tutte le ragioni capaci di scompigliare i giochi e sovvertire le politiche seguite fino ad ora.
Non assegniamo a Rodotà eccessive virtù né capacità. Ma ne rileviamo la specchiata onestà, la grande competenza e rettitudine nel rispetto della Costituzione, la sicura laicità, un forte impegno morale, fattori questi che sarebbero stati di ostacolo a “l’inciucio necessario” richiesto dai poteri forti e dai mercati. Tuttavia l’errore più grave è stato credere nel tavolo di gioco, nel ritenere che gli interessi che PD PDL, Lega e Centro e gli interessi che essi esprimono possono essere battuti sul piano parlamentare, attraverso i giochi di palazzo, l’elettoralismo e la delega, rivisitando le regole del gioco, utilizzando il valore aggiunto della rete, nella vana costruzione di una democrazia virtuale e elettronica. Prova ne sia che mentre nell’incontro con Bersani i 5 stelle hanno esibito una strafottente chiusura, nell’incontro con Letta sono apparsi dialoganti quando non addirittura collaborativi, salvo poi recuperare con un anatema del Capo.
Il vero problema è costituito dal fatto che ci sono sul territorio e nel territorio problemi reali da affrontare che non possono essere baypassati, senza affrontare e risolvere prioritariamente i quali non si riescono a ribaltare i rapporti di forza al centro. Uno Stato moderno non si sconfigge né con la lotta armata, né col terrorismo, ma costruendo dal basso un contropotere reale, fatto di aggregazioni di persone, iniziative di gestione del territorio, circuiti diversi di relazioni, anche utilizzando sindacati e strutture di democrazia diretta e partecipata, che via via si consolidano e divengono punto di riferimento per i cittadini, come per le forze produttive. Lotte esemplari come quelle contro la TAV o quelle per l’acqua pubblica, sono emblematiche a riguardo. Bisogna partire da queste esperienze, raffinare gli strumenti, perfezionare le strategie di lotta,
promuovere e studiare modi di gestione diretta e alternativa del territorio, battersi per la salute, l’ambiente e i beni comuni, per il diritto al lavoro e al benessere.
Se le forze della conservazione stanno vincendo in questa fase è certamente anche colpa nostra, per essere in ritardo nella progettazione, elaborazione e gestione di strategie alternative, per non essere riusciti a costruire un programma minimo per l’oggi e non solo per la rivoluzione o il trionfo del comunismo anarchico.
Perciò, compagne e compagni, rimbocchiamoci le maniche
La Redazione