La vittoria del centro destra in Lombardia con 36 seggi sotto il diretto controllo della Lega pone saldamente in mano il controllo della Regione nelle sue mani e permette al Segretario di dispiegare la sua strategia per la devolution attraverso la creazione di una macro regione del Nord che vada a rivendicare il sostegno dell’Unione Europea all’operazione.
La strategia leghista non è priva di contraddizioni e incognite e ha già comportato il pagamento di un prezzo elettorale pesante all’alleanza con il PDL pari al dimezzamento dei suoi voti. Vi è chi sostiene che questo prezzo sarebbe stato pagato comunque poiché il partito ha imboccato ormai una fase discendente perdendo sempre di più il legame con il territorio e con la piccola e media impresa, soprattutto in Veneto. In
effetti gli scandali ripetuti, le ruberie (e ancora non abbiamo visto tutto) hanno prodotto l’omologazione del Partito agli altri e lasciato spazio libero ai grillini per erodere il loro elettorato. Oggi la Lega ha certamente il governo formale dei territori delle regioni del Nord ma vi sono molti dubbi che goda del consenso popolare a una manovra di secessione e comunque abbia la possibilità di guadagnare consenso a questo progetto. E’ piuttosto vero che la lunga marcia nelle istituzioni fa da anestetico alle pulsioni più genuine, semina il cammino di delusi e di cadaveri o semplicemente di persone stanche che perdono di vista le prospettive e gli obiettivi che si erano posti. Inoltre la violenta recessione in atto ha messo in discussione quei fondamentali strutturali che facevano ritenere la secessione leghista una ipotesi economicamente conveniente.
E’ certamente vero che molte piccole imprese vivono oggi esclusivamente di esportazione ma proprio per questo è utile per loro recuperare il mercato interno che in caso di secessione verrebbe meno. Trattenere la gran parte delle tasse sul territorio non basta né a rilanciare la produzione né ad avere le risorse per garantire i servizi
La via delle istituzioni
Malgrado i dirigenti leghisti non ignorino questa situazione essi hanno consapevolmente scelto il rischio della riduzione del consenso, convinti come sono che sia possibile vincere la battaglia della devolution solo attraverso le istituzioni. Essi confidano in un’alleanza con altre aree dell’Europa come la Catalogna, i Paesi Baschi, la Scozia immaginando un’Europa fatta di macro regioni e la dissoluzione graduale degli Stati nazionali. Si tratta di un progetto fuori tempo a causa del fatto che il mutare dei parametri economici è stato di tale entità e portata che il disegno europeo e le politiche di costruzione dell’unità del continente vanno profondamente discusse e riconsiderate.
Inoltre per sostenere questa strategia la Lega deve impegnarsi allo stremo per estrarre dai territori quanto più eletti possibili alle elezioni europee del prossimo anno per avere dei portavoce in Europa e ciò appare problematico dopo gli ultimi risultati elettorali. E’ d’altra parte noto che il legame tra territori e parlamentari europei è tradizionalmente labile e non costituisce certo il terreno migliore per riguadagnare consensi per un
partito a base territoriale come quello leghista.
La verità e che l’inversione della politica leghista voluta da Maroni arriva troppo tardi e opera in una situazione ormai deteriorata a causa del venir meno dei rapporti che facevano del quadro intermedio e della rete di sindaci e amministratori locali la vera forza del partito. Da queste difficoltà derivano i dissensi tra la leadership .della Lombardia e del Veneto con l’aggravante che i risultati elettorali penalizzano fortemente
proprio la struttura veneta del partito.
Impossessarsi dei sistema lombardo per sopravvivere
Rimane forse una strada che in parte è obbligata: quella di impossessarsi dell’apparato gestionale del sistema lombardo divorando le spoglie di quello che fu il sistema costruito da Formigoni e dai suoi accoliti.
Attraverso questa strada la Lega può gettare le basi di un sistema di estrazione di profitti e benefici, di clientele e di sottogoverno dal quale trarre le risorse per mantenere un apparato legato non più e non tanto da un progetto, ma dalla rappresentazione degli interessi che riuscirà ad aggregare intorno a sé. Se ciò accadesse si concluderebbe la parabola del partito che perderebbe definitivamente le matrici stesse, le radici genetiche che hanno presieduto alla sua costituzione.
Questo sbocco inevitabile trova la sua motivazione nel fatto che gestire il sistema lombardo significa colludere con le organizzazioni cattoliche sul territorio, con le gerarchie ecclesiastiche, con la speculazione immobiliare, con un sistema sanitario inquinato dalle clientele, sostenere la scuola privata, sposare le battaglie sui temi etici di questo schieramento rompendo così con la trasversalità della lega su queste tematiche.
Comunque vada il partito cambia irrimediabilmente e va verso l’auto estinzione.
Così i lavoratori, gli artigiani, i piccoli industriali i contadini della pedemontana che avean disceso le valli con baldanzosa sicurezza le risaliranno mentre le loro speranze si agireranno come spettri nei corridoi del Pirellone.
Gianni Cimbalo