Il 26 maggio si voterà a Bologna per il referendum consultivo contro il finanziamento alle scuole materne private. Si tratta di una tappa della lunga battaglia che vede contrapposti il Comune di Bologna e i cittadini della stessa città fin dal 1995 quando la giunta – allora egemonizzata dal PCI – votò per la prima volta a favore del finanziamento delle materne private.
Fu il PCI a giocare la carta del finanziamento comunale in nome del compromesso storico, a fare da “pesce pilota” per dimostrare che era in grado di dare ai cattolici e alla Chiesa cattolica più di ogni altra forza politica. Indusse così i propri consiglieri a votare a favore della convenzione con i privati dopo un escamotage vergognoso: il bilancio comunale di allora aveva un apposito capitolo di spesa sul quale venivano accantonati i
proventi di donazioni di privati e di società operaie fin dall’Ottocento per finanziare la scuola materna comunale. Ebbene, il Consiglio votò la soppressione dell’apposito capitolo di spesa con la motivazione che il servizio veniva completamente erogato sul bilancio ordinario del Comune, anche grazie all’istituzione della scuola materna statale, incamerando così i suddetti fondi per poi – sei mesi dopo – dichiarare che, a causa di
insufficienze nell’erogazione del servizio scolastico all’infanzia, si finanziavano con fondi comunali le scuole materne private associate alla FISM – Federazione Italiana Scuole Materne (cattoliche) mediante la stipula di apposita convenzione.
Esplose una polemica feroce, sfociata in un ricorso al TAR e in un esposto alla Corte dei Conti che aprì un procedimento contro i consiglieri che avevano votato la delibera per distrazione di denaro pubblico. Costoro, per paura di un provvedimento di recupero delle somme erogate sui propri patrimoni si spogliarono dei loro beni a favore di mogli e parenti. A fronte di questa situazione il Comune chiese il supporto della Regione (presidente del Consiglio regionale tale Bersani Pierluigi) che votò la cosiddetta legge Rivola: questa legge estendeva la facoltà di finanziamento a tutti i Comuni della Regione che avrebbero potuto stipulare convenzioni con le scuole private materne.
Il referendum negato
Fu così che l’Associazione Scuola e Costituzione e numerose altre associazioni laiche di base raccolsero ben 65.000 firme per un referendum abrogativo della legge regionale. Per contrastare tale azione la giunta regionale, a maggioranza di sinistra, modificò la legge relativa al referendum, per spezzare l’azione dei referendari. Ma la raccolta di firme continuò con rinnovato vigore. Allora la Regione contestò il quesito e affidò il giudizio a una commissione arbitrale presieduta da una studiosa compiacente – recentemente ripagata con la presidenza di una Autority per la sua duttilità – che giudicò il referendum inammissibile con un voto di maggioranza, quello della presidente, appunto; così la Regione ebbe il tempo di modificare la legge regionale e sventare il referendum ancora una volta.
I cittadini bolognesi ringraziarono astenendosi dal voto alle elezioni comunali successive e così venne eletto Guazzaloca!
La lezione della scelta suicida non servì all’allora DS-PDS che fece approvare la legge 62/2000 presentata e voluta da Luigi Berlinguer, imponendo il voto di fiducia pur di farla passare. Con questo provvedimento che mutò il quadro istituzionale della scuola si istituì il servizio integrato pubblico-privato per la scuola e si istituzionalizzo il finanziamento alla scuola privata anche mediante contributi statali.
Un magnifico esempio di suicidio politico!
Da allora il PD ha sempre continuato a finanziare la scuola privata in Regione e soprattutto a Bologna, prova ne sia che l’unica delibera approvata dal sindaco poi dimissionario Flavio Delbono, condannato per peculato, truffa aggravata, intralcio alla giustizia e induzione a rilasciare false dichiarazioni, è quella relativa al finanziamento delle private. La sua Giunta e il commissario di Governo Cancellieri si sono opposti in tutti i modi alla richiesta di referendum consultivo presentata da un gruppo di associazioni laiche che avevano dato vita al Comitato art. 33 Costituzione che sostiene la scuola pubblica. La loro tesi è stata che non essendoci l’amministrazione ma il Commissario di Governo i cittadini non potevano votare!
L’attuale Giunta e il Sindaco Merola, per non essere da meno, hanno ritenuto di dover finanziare ancora una volta la scuola privata, ma si sono trovati di fronte una nuova richiesta di referendum consultivo comunale che questa volta non hanno potuto evitare.
Il Comitato art. 33 oggi presieduto da Stefano Rodotà rileva che: “E’ un dato di fatto che molti genitori, che chiedono l’iscrizione alla scuola pubblica comunale o alle scuole
statali, laiche, democratiche, pluraliste e gratuite, non la ottengono per carenza di posti. Pertanto, a fronte della gratuità della scuola comunale e statale, sono costretti ad iscrivere i propri figli a scuole private a pagamento la cui impostazione culturale e religiosa non condividono.
La presenza di liste d’attesa ormai croniche per l’accesso alle scuole dell’infanzia comunali (anche quest’anno tali liste sono in crescita a causa dell’incremento demografico) conferma che la richiesta di scuola pubblica non viene soddisfatta e siamo pertanto di fronte alla lesione di un fondamentale diritto costituzionale.
L’iniziale finanziamento del Comune di Bologna di £ 463.500.000 alle scuole private paritarie, in 15 anni si è quadruplicato, arrivando ad € 1.055.000.
Tutti sommati, i contributi pubblici per sezione privata passano da £ 16.295.000 ad € 28.183. 000, ovvero sono quasi duplicati rispetto alla spesa iniziale.
Anche il contributo del Ministero della Pubblica Istruzione, in 10 anni, presenta un aumento del 650%.
Sono questi aumenti in linea con l’aumento del costo della vita? Nient’affatto, come si può facilmente verificare dalla serie storica dei dati statistici, quando, tra il 1995 e il 2010, il costo della vita è aumentato del 44,4%.”
La mobilitazione a Bologna continua. Ha sollevato scandalo il finanziamento erogato a una scuola cattolica che accetta solo femmine e non fa classi miste e un numero crescente di cittadini viene informato con volantinaggi ai mercati e davanti ai centri commerciali, nelle scuole e nelle strade, mentre si organizzano incontri conviviali per la raccolta di fondi che in genere non riescono a coinvolgere tutti coloro che lo chiedono
per mancanza di spazio. La campagna elettorale per il referendum è totalmente a carico dei cittadini ed è autofinanziata. La città sembra essere sensibile al problema, la componente bersaniana del partito è in difficoltà anche perché i proconsoli di Renzi si sono precipitati in città a rinforzare il comitato di cattolici che si batte per il no all’abrogazione del finanziamento, sostenendo che pagando i privati il Comune risparmia (sic !).
La città sanamente si divide e i bolognesi scoprono la partecipazione. Il nuovo cartello clericale è costretto ad uscire allo scoperto. I laici smettono di tacere e rivendicano finalmente i loro diritti e i loro spazi.
Il 26 maggio 2013 dalle ore 8 alle ore 22 si vota !
Per ulteriori informazioni: http://referendum.articolo33.org/category/comunicati-stampa/
La redazione