serie II, n. 20, gennaio 2013
Spread – Nei primi 11 mesi del 2012 le banche europee hanno acquistato Btp del
Tesoro italiano per 105,8 miliardi di Euro (Il sole 24 ore del 5 gennai0 2013, a. 149, n°
4, p. 9). Il dato rappresenta il 44,64% dell’intero importo di titoli di Stato dell’Eurozona
che le stesse banche hanno acquistato. Circa il doppio dei titoli spagnoli e francesi ed
oltre il triplo di quelli tedeschi. Ovviamente questo ha contribuito ad abbattere lo spread
del nostro paese nei confronti degli altri, Germania in particolare.
Se ne può, però, dedurre che se la fiducia degli investitori nella solvibilità dell’Italia
sia superiore a quella della Spagna (e visti i dati dell’economia reale, anche se in crisi,
ciò non stupisce), vi è un altro fattore da tenere in conto. I rendimenti dei titoli di
Stato italiani sono molto alti rispetto a quelli della Germania e quindi le banche
preferiscono i primi ai secondi, perché con un rischio modestamente superiore
accrescono notevolmente i propri guadagni. Questo si chiama, appunto, spread e le
banche ringraziano.
Germania – Da più tempo in queste note si viene sostenendo che il Governo tedesco,
con la sua miope politica di rigore dei bilanci da imporre agli altri paesi, sta in realtà
tagliando il ramo su cui siede. I dati iniziano a rendere conto di questo fatto e la
Germania avverte aria di crisi a tutto vantaggio degli Stati Uniti d’America.
Vediamo perché.
Il primo dato da prendere in considerazione è quello relativo all’export: il 57% delle
esportazioni tedesche sono verso i paesi dell’Unione Europea e solo il restante 43%
verso altri paesi. Ne discende che se i mercati extra-UE possono anche andar bene, la
recessione in Europa va a cozzare in pieno con l’economia tedesca, che ha puntato tutto sulla qualità dei prodotti e quindi su mercati maturi. La riprova ne è che mentre nel 2012 le esportazioni italiane verso la Germania sono diminuite dello 0,3% (pari a meno 120 miliardi di Euro), quelle tedesche verso l’Italia sono crollate dell’11,1% (meno 6.348
miliardi di Euro) (Il sole 24 ore del 17 gennaio 2013, a. 149, n° 16, p. 2). È pertanto
evidente che le politiche economiche restrittive non giovano alla Germania e tanto meno ai paesi che le subiscono.
D’altra parte il monetarismo imperante fino ad un lustro fa comincia ad essere
sotto attacco da parte di molti economisti ed anche di autorevoli organismi internazionali quali il FMI. Gli USA stanno da tempo seguendo un’altra linea di politica economica, come attesta il fatto che il premio Nobel per l’economia Paul Krugman è uno dei consiglieri più ascoltati da Obama, per cui il nome di Keynes ricorre sempre più spesso negli articoli economici. A questa teoria, che come prevedibile, nell’arco di un trentennio ha portato il sistema economico dei paesi occidentali alla crisi più rovinosa dopo quella del 1929, ed ad essa paragonabile, restano legati i politici europei e gli economisti del cortile italiano, Mario Monti in testa. Tornando alla Germania, ovviamente, il calo dell’export nei paesi sottoposti alla cura massacrante decretata a Bruxelles si riverbera sulla congiuntura.
Se la media delle esportazioni nei primi undici mesi del 2012 verso i paesi UE
mantiene un debole aumento nei confronti dell’analogo periodo del 2011 (+0,2%), il
confronto tra il novembre 2012 ed il novembre 2011 è rivelatore, segnando un drammatico -4,0% (ivi). Il confronto con l’Italia fornisce qualche indicazione aggiuntiva:
l’export italiano verso i paesi UE è in calo sia sul periodo (-0,1%), che nel raffronto mese di novembre sul mese di novembre, ma in maniera meno drastica che per la Germania (- 2,2%). Il perché risulta chiaro se si confrontano i dati relativi ai paesi extra-UE; primi undici mesi del 2012 sui primi undici mesi 2011: Germania +10,4%, Italia + 10%; novembre 2012 su novembre 2013: Germania +8,6%, Italia +10,9%.
Come si vede le esportazioni italiane tendono a crescere più di quelle tedesche, a riprova del fatto che la crisi è diffusa e che i prodotti di più alta qualità e più alto prezzo perdono appeal di massa, mentre l’Italia risulta premiata dal settore del lusso e del design, che non conosce crisi, anzi; è, comunque, illusorio pensare che questi settori possano da soli sostenere l’economia di un intero paese. Come detto, tutto ciò produce i suoi effetti sulla congiuntura tedesca, per cui il Governo Merkel è costretto a rivedere al ribasso le stime di crescita nel prossimo futuro: 2010 +4,2%; 2011 +3,0%; 2012 +0,7%; stima per il 2013 +0,4% (ibidem, p.3). Gli effetti sono ancora non rilevabili nei risultati della bilancia commerciale (stimata a +176,2 miliardi di Euro nel 2012, a fronte dei 158,7 del 2011), sorretta dall’export extraeuropeo e dal calare delle importazioni. Il settore dell’auto è indicativo relativamente ai futuri problemi della bilancia commerciale.
È da premettere che la politica restrittiva imposta ai paesi dell’Europa mediterranea pesa maggiormente sui marchi francesi ed italiani, vocati al settore delle auto utilitarie e di massa. Ma anche la Volkswagen perde in vendite l’1.1%, pur guadagnando quote in un mercato in recessione (dal 23,2% del 2011 al 24,8% nel 2012).
Sono i marchi delle produzioni di maggior pregio che vendono un po’ di più (BMW,
+1,4%), a conferma che il settore del lusso è l’unico a crescere (ibidem, p.4). Stiamo
parlando delle vendite nei paesi UE ed EFTA, e la Ford, che in questi perde tra il 2011 ed il 2012 il 13,0%, può sperare di recuperare qualcosa nel mercato cinese in cui è ben
presente, anche se la Cina sta rapidamente approntando una propria produzione nazionale ed è comunque in stretto contatto economico con l’India, dove la Tata sta
crescendo. Resta il fatto che un marchio che copre da solo circa un quarto del mercato
europeo sta iniziando a vendere meno. Infine si può osservare che la fiducia nella
solidità dell’economia tedesca inizia a vacillare sui mercati finanziari, tant’è che i rendimenti dei Bund iniziano a salire; dall’1,40% del 21 novembre 2912 all’1,56% del 16 gennaio 2013 (ibidem, p.5).
Rating – Il parlamento Europeo ha approvato il 16 gennaio 2013 il nuovo regolamento
volto a confinare lo strapotere delle agenzie di rating, che troppo spesso negli ultimi tempi si sono fatte attrici di colpi di mano a danno quasi sempre dei titoli sovrani dei paesi europei a vantaggio delle banche statunitensi. Il regolamento prevede che i
giudizi sui titoli sovrani dei paesi europei possano essere emessi a date fisse e quindi
con preavviso e non con una estemporaneità sospetta. Prevede inoltre maggiori garanzie di rivalsa giudiziaria nei casi di giudizi dolosi o palesemente non suffragati da dati certi ed altre misure di tutela.
Peccato che l’applicazione di alcune parti di questo pacchetto siano state rinviate
nel tempo, addirittura fino al 2020, che si sia rinviata al 2016 la nascita di un’agenzia
controllata dall’Europa che possa fare da controaltare a quelle con sede a Wall Street,
che l’incrocio perverso tra agenzie e istituti finanziari (certificatori e certificati) sia stato
colpito solo in minima parte. Peccato, inoltre, che negli USA si vada molto a rilento e
con molto fumo prodotto nel campo della regolamentazione delle agenzie.
chiuso il 19 gennaio 2013
saverio