Il lato oscuro della svolta francese e le prospettive di lotta

Dunque Hollande ce l’ha fatta e i mercati sembra non ne siano nemmeno troppo dispiaciuti, in fondo cominciano ad essere in molti a credere che la ricerca ossessiva del rigore a tutti i costi e della virtuosità dei conti pubblici in barba a qualsiasi altra considerazione è una sciocchezza. La depressione e l’avvitamento della situazione economica è divenuto così profondo che è forse il caso di provare a invertire la rotta e cercare di adottare qualche misura a favore degli investimenti, praticando qualche scampolo di politica keinesiana. Meglio mollare la politica liberista che sta soffocando l’Europa e deprimendo l’economia. Del resto se ne era reso conto lo stesso Sarkozy il quale aveva impostato la propria campagna elettorale tutta sulla chiusura delle frontiere e la lotta alla Francia multiculturale e multietnica, evitando di parlare troppo di economia, nella speranza di catturare l’elettorato di destra solleticando le forze più oscure e tradizionaliste del paese.
L’elezione di Hollande può concorrere a creare in Europa un nucleo di aggregazione per soluzioni diverse da quelle attualmente praticate per uscire dalla crisi, dando fiato a chi si rende conto che le politiche restrittive e recessive finiranno per fare avvitare l’economia su se stessa in una spirale senza via d’uscita. La svolta tuttavia non si è ancora pienamente realizzata poiché in Francia la vera partita si apre da ora in poi e si giocherà nelle elezioni per l’Assemblea Nazionale. Se infatti il Presidente non potrà controllare il Parlamento, oppure avrà una forte opposizione, le cose che potrà fare sono veramente poche. I numeri del risultato elettorale del primo turno che fotografano una distribuzione dei consensi lasciano molti timori e una prospettiva molto stretta alle
possibilità di una vera svolta. Non c’è dubbio infatti che, se è vero che vi è stata una riaggregazione del voto a sinistra, all’estrema destra si è formata una forza che raccoglie il 17,9 % dei consensi. Non si tratta di un fatto nuovo ma di una tendenza costante (nel 2002 il 16,86 % ) che sembrava essersi arrestata nel 2007 quando lo
scontro si era polarizzato a tutto vantaggio dei gollisti che avevano raggiunto il 31,18%, a fronte del 25,87 % dei socialisti. Il centro di Bayrou aveva raggiunto un ragguardevole 18,57%. La composizione del consenso sembrava distribuita in modo tale da emarginare notevolmente la componente di sinistra.

La composizione della destra

Dal suo punto di vista e in prospettiva, ad avere ottenuto un indiscutibile successoè Marie Le Pen, la quale è riuscita a coagulare su di se il voto di un elettorato pronto a seguirla e a lavorare per erodere quei centri di potere rappresentati dal vecchio partito gollista che è il vero sconfitto di questa fase politica. La destra del Front National riesce oggi in Francia a intercettare lo scontento sociale e a raggiungere il massimo dei voti, tra le macerie del centro e nei centri operai in crisi in nome della difesa della Francia e dei francesi ed è diventata il punto di coagulo di tutte quelle componenti della società che sono state proletarizzate dalla crisi. Per gestire questo consenso Le Pen ha adottato una strategia politica che difende le identità e ha assunto le vesti di una
destra sociale, nella consapevolezza che la crisi, la perdita del lavoro e la mancanza di tutela suscitano paure e bisogni che possono avere risposte in chiave nazionalista.
Il disagio sociale, le disoccupazione giovanile e quella degli ultra cinquantenni espulsi dal mercato del lavoro non producono necessariamente la crescita delle forze progressiste della sinistra preparano un cambiamento sociale. Questo è ancora più vero se si tiene conto della difficoltà della sinistra di mobilitare e mobilitarsi in difesa dei salari, delle condizioni di vita e di lavoro, di fronte alle profonde divisioni tra lavoratori
di nazionalità francese e immigrati, alimentate dall’incapacità di fare una politica di solidarietà di classe. Su questo terreno la destra lancia la sua sfida ai sindacati e ai partiti della sinistra. La crescita della recessione e della disoccupazione crea nelle banlieue situazioni di sempre maggiore disagio, sociale rispetto alle quali si
rischia l’incontrollabilità.
A questa situazione il neo Presidente pensa di rimediare rilanciando la spesa nella scuola con ben 60 mila assunzioni, ridiscutendo il fiscal compact con la Germania della Merkel: troppo poco per ora, per realizzare una inversione di tendenza, per la quale sarebbe necessaria una lotta più incisiva verso politiche neoliberiste che soffocano lo sviluppo. Ma quel che più manca in questa fase è un progetto di società futura intorno alla quale aggregare risorse e forze, un progetto che passa necessariamente per la rifondazione dell’Europa e delle sue istituzioni.
In questa prospettiva il primo punto sul quale fare chiarezza è se si vuole una società aperta al confronto e al dialogo, una società che garantisca i diritti a tutti, oppure se si lavora per la difesa della fortezza europea, sempre più assediata ma sempre più in declino dal punto di vista economico e del benessere sociale. L’Europa potrebbe farsi promotrice di un grande confronto a livello planetario sulle condizioni di lavoro e quindi sulle modalità con le quali si cede lavoro contro salario, facendo si che la generalizzazione dei diritti e delle tutele ponga fine, o almeno freni, ad una concorrenza spietata su chi riesce a costruire un modello che è in grado di sopportare il più gran numero di poveri possibili, anche perché una competizione su questo terreno porta
inevitabilmente con se la diminuzione delle libertà e l’approfondimento della recessione economica.
Inoltre il nuovo Presidente francese deve dire la propria sulle politiche energetiche, sulla gestione dei beni comuni e non può limitarsi a indirizzare la propria azione prevalentemente al settore delle libertà civili e degli statuti personali, ovvero a problemi come il matrimonio omosessuale o l’adozione da parte delle coppie gay.

La grande assente: la sinistra

Guardando i risultati elettorali il complesso delle sinistre (socialisti, comunisti, verdi, troschisti, lotta operaia) sale dell’8,97%. Il dato più interessante è, comunque, quello relativo al partito comunista, rimasto oscurato da quanto previsto dai sondaggi di quanto sia poi risultato effettivamente. I numeri però parlano chiaro: il partito è passato dal 3,37% del 2002 all’1,93% nel 2007 (ormai quasi scomparso), ma nel 2012 ha
ottenuto l’11,1% (+9,17%), cioè voti pressoché decuplicati. Forse è giunto il momento che l’opposizione al capitalismo cominci a riguadagnare, terreno nella consapevolezza che l’alternativa ad esso non possa essere solo un capitalismo riveduto e corretto.
Se è vero che la sinistra sembra aver ritrovato la propria unità intorno a un candidato è anche vero che essa non ha saputo andare ancora verso una effettiva autonomia progettuale ed è rimasta prigioniera delle vecchie logiche, ritenendo che i problemi siano risolvibili sostituendo agli uomini e alle donne di uno schieramento, quelle di un altro, quando non ipotizzando ad elezioni finite il coinvolgimento di una parte dei personaggi più eminenti dello schieramento avversario.
E’ vero che si pone il problema politico di come recuperare il centro Il Movimento Democratico (Modem) di Bayrou dimezza i propri voti passando dal 18,57% al 9,13% (-9,44%); tuttavia il suo schierarsi a favore di Hollande merita una risposta politica. In questo scenario la domanda che si pone riguarda quale ruolo verrà riservato ai centristi, quale alla sinistra del Rassemblement de la Gauche? Sapranno capire i socialisti che solo spostandosi a sinistra, costruendo alleanze in quella direzione possono raccogliere le forze necessarie a invertire la tendenza.
Soprattutto sapranno capire le diverse componenti del Rassemblement della sinistra che solo una politica di intervento nel sociale, di mobilitazione di massa può essere la strada per uscire fuori dalla crisi e cominciare a creare nella società, dal basso, quelle strutture del movimento di massa che permettano di ricreare l’unità di classe ? Senza ricostruire un’alleanza tra popolazioni storiche d’Europa e popolazioni immigrate, senza una fusione di esperienze e di capacità di rappresentanza politica dei propri interessi attraverso la partecipazione diretta non si creano i presupposti necessari ad una svolta, a un’uscita positiva dall’attuale fase economica.
Ancora una volta nella storia delle classi sfruttate l’internazionalismo, l’alleanza tra tutti gli sfruttati è essenziale per il successo delle lotte. Senza di essa cresce lo spazio del capitale sia industriale e monopolistico che finanziario di trovare sempre nuove occasioni di sfruttamento e di impoverimento complessivo del pianeta.
Lo sfruttamento globale induce la Banca Mondiale a porsi il problema dell’eccessiva durata della vita fino ad affermare che viviamo per troppo tempo e che, finita l’età lavorativa piena, dovremmo essere così cortesi da togliere il disturbo per non gravare sulle spese dello stato sociale.
Come nel 1929 nei momenti di crisi ritorna – anche se parzialmente camuffata – la eugenetica sociale, la selezione in base alle capacità produttive in un regime di minori costi possibili. Bisogna avere coscienza che l’attacco e globale ma che la nostra capacità di comunicare esperienze di organizzazione di classe e di lotte costituisce l’unica difesa e insieme l’unica speranza di un futuro diverso.

La Redazione