È tecnico? Perfetto!

L’Italia ha un Esecutivo tecnico: tecnici i ministri, tecnici i viceministri e tecnici i sottosegretari. Ovviamente questo Esecutivo fa scelte tecniche, cioè tecnicamente ineccepibili, e quindi, in quanto tali prive di alternative. Come si può, pertanto, discuterne le correttezza e l’efficacia? Sarebbe come affermare che la forza di gravità punti verso il cielo o che gli alberi perdano le foglie in primavera. Ciò che è
scientificamente verificato e tecnicamente comprovato non è soggetto alle opinioni dei profani. Ne discende che questo è il migliore dei governi possibili (ovviamente nell’attuale circostanza), che le sue proposte sono le migliori possibili (anzi, scusate, le uniche possibili) e che l’amara medicina da bere è quella, la sola, che può guarire i mali della nostra economia, quella tecnicamente adatta.
Non è per cercare il pelo nell’uovo, ma esiste un piccolo particolare, certamente trascurabile. Gli abili manovratori, tutti tecnici ovviamente, che si sono insediati ai posti di comando adottano misure di intervento che incidono sul nostro vivere quotidiano. Ora per definizione la politica è: Teoria e pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello Stato e la direzione della vita pubblica
(Devoto-Oli). Sorge quindi il dubbio, certo poco tecnico, se questa definizione sia maggiormente aderente ai nostri attuali banchieri prestati al governo del paese oppure ai vecchietti bavosi ed alle loro cortigiane, ambiziose quanto incolte, che li hanno preceduti. Ma sorvoliamo e scacciamo questo dubbio fastidioso.
Torniamo all’unicità delle operazioni da intraprendere. Nel far ciò ovviamente trascuriamo considerazioni tecnicamente trascurabili quali: l’effettiva necessità del pareggio di bilancio entro il 2013, l’attendibilità delle agenzia di rating che orientano i mitici “mercati”, la comprovata importanza dell’enorme debito sovrano italiano che ben attestato a circa la metà di quello nipponico, l’affidabilità delle teorie economiche che orientano le teste di coloro che prendono le decisioni a livello mondiale e che sono tecnicamente estranee alla disastrosa crisi in corso, e così via elencando dettagli di scarsa importanza tecnica. Ammettiamo, quindi, che gli obiettivi che la Bce ha indicato al nostro paese (come alla Grecia, alla Spagna etc.), ovviamente solo da un punto di vista puramente tecnico, siano indiscutibili. Anche se sorge un altro piccolo dubbio: perché la Bce, oltre agli obiettivi, ha indicato anche i mezzi per raggiungerli, fornendo un parere, è ovvio, puramente tecnico? E questi sentieri così tecnicamente tracciati in modo stretto sono obbligatori, o esistono altre strade, meno lastricate di lacrime e sangue, per giungere gli stessi porti? A noi profani occorre scacciare questi tarli della mente che offuscano il nitore della tecnica.
Da un punto di vista assolutamente tecnico appare evidente come il punto vero da cui partire per risanare il paese e la sua malandata economia siano le pensioni. È un dettaglio irrilevante per la tecnica il fatto che il sistema previdenziale italiano abbia subito nell’ultimo ventennio una serie di riforme e di ritocchi che ne hanno mutato profondamente la struttura, tali da far sì che le generazioni che si sono affacciate al lavoro alla fine degli anni settanta del secolo scorso, cioè ormai oltre trenta anni fa avranno una trattamento di quiescenza irrisorio e che per avere un minimo di sicurezza in più siano stati costretti a bruciarsi la liquidazione. Come altrettanto irrilevante per la tecnica è il fatto che il sistema pensionistico sia in equilibrio, tra contributi versati e
prestazioni erogate, per almeno un altro ventennio, oltre al fatto che esso, grazie ai contributi dei lavoratori, abbia sostenuto oneri ad esso impropri e che dovevano ricadere sulla fiscalità generale. La tecnica, fredda e impassibile, ci fa sapere che in Italia nel 2010 coloro che sono andati in pensione con quaranta anni di contributi avevano un’età media di 57,8, inferiore a quella del resto d’Europa; che colpa ne ha essa se loro sono andati a lavorare mediamente prima dei diciotto anni, mentre i loro coetanei in Europa probabilmente studiavano? E poi, si sa: i pensionati negli ultimi lustri sono vissuti al di sopra delle proprie possibilità!
I dati sono i dati. Sempre la tecnica, per tramite dei propri indagatori statistici, ci informa che nei paesi laddove i lavoratori vanno in quiescenza più tardi, la disoccupazione giovanile è più bassa e la correlazione uno ad uno è sotto gli occhi di tutti. È inutile indagare sullo stato del mercato del lavoro in quei paesi, sul loro tasso di disoccupazione generale, sulle tipologie di produzione, sull’innovazione tecnologica, sul livello di istruzione e via dicendo: quisquilie!
E la tecnica ha individuato l’altro grande cancro dell’economia del nostro paese: quegli immarcescibili egoisti dei lavoratori attaccati al loro posto di lavoro, tanto da rifiutarsi di farsi licenziare in assenza di una causa giustificata e giustificabile. A cinquanta anni passati chiunque abbia buona volontà e voglia di mettersi in gioco può rifarsi un mestiere, soprattutto poi quando le offerte occupazionali abbondano come nel momento
attuale; per cui se un lavoratore sta antipatico al datore di lavoro, poco importa: ne troverà uno più sorridente o inizierà una attività in proprio oppure, se infingardo, attenderà pazientemente che la lauta pensione maturata gli venga liquidata ad un’età più tarda, via via più tarda. L’importante è fare largo ai giovani che troveranno impiego (forse non con le stesse garanzia di chi li ha preceduti, ma che importa) in luogo di coloro che sono stati cacciati a forza, ma non di coloro che, vetusti, sono stati trattenuti a forza.
D’altra parte dove potrebbe la tecnica, nitida ed imparziale, trovare altrove i denari per coprire il debito e far ripartire la crescita? Potrebbe forse fare un accordo con la Svizzera (lo ha fatto la Germania, per esempio) e prelevare un altro 15% di tasse dai capitali che due anni fa hanno beneficiato del cosiddetto “scudo fiscale”?
Questo porterebbe il prelievo sui quei depositi, tutti leciti ovviamente, ben al 20%, una cifra inferiore a quella di tutti gli altri paesi che fecero una manovra analoga; porterebbe nelle casse dello Stato oltre 15 miliardi, coprendo quasi per intero la manovra, l’ennesima in corso d’anno è vero, ma solo la prima operata dalla Tecnica. Ma come chiederLe di abbassarsi al livello di un mastino finanziario? Sarebbe davvero poco tecnico e raffinato!
Potrebbe forse, colpire, pesantemente i grandi patrimoni? La destra insorge: come tassare due volte gli stessi redditi? (in vero già abbondantemente tassati all’inizio e mai sfuggiti alle maglie fittissime del fisco!). La destra fa barricata: sarebbe un’operazione recessiva, perché chi possiede svariati milioni di euro vedrebbe menomata la propria capacità di comprare ed investire da un esborso di qualche decina di migliaia di euro;
meglio alzare la percentuale dell’Iva, che colpisce indistintamente tutti i consumi e quindi pesa lo stesso sui redditi bassi e sui redditi alti (in assoluto si intende, non in percentuale). La tecnica ringrazia per l’ultimo proficuo suggerimento che fa proprio, ma alle altre contestazioni fa orecchie da mercante: la manovra deve essere equa, per Bacco, e quindi i patrimoni vanno toccati, ma per carità in modo “light”, perché, si sa la
Tecnica è imparziale ma educata!
Potrebbe vendere a prezzi di mercato le frequenze, realizzando finalmente dei profitti per lo Stato, a detrimento dei profitti di qualche sconosciuto ed oscuro imprenditore delle televisioni, ma la Tecnica non può scendere dal proprio piedistallo e mettersi a fare ingiuste ritorsioni. Potrebbe rinunciare ad alcune opere pubbliche faraoniche, e quindi, spesso inutili se non dannose, ottenendo effetti occupazionali più larghi e
diffusi, meno costosi per ciascun posto di lavoro creato e quindi più lunghi nel tempo, sbloccando le opere pubbliche degli Enti Locali, con capitali già esistenti, ma bloccati dal patto di stabilità. Potrebbe smettere di finanziarie spese militari rivelatesi disastrose per chi le intraprende e soprattutto per chi le subisce; potrebbe interrompere gli acquisti di armamenti del tutto superflui, atti a colmare solo la vanità degli alti gradi militari.
Ma cielo! Tutto ciò vorrebbe dire fare politica e la Tecnica, si sa, fa solo operazioni tecniche e non fa politica.

La Redazione