Le manovre e i manovratori

Mentre scriviamo la quinta versione della manovra economica è all’approvazione della Camera e benché il testo sia stato già approvato dal Senato non è detto che non cambi ancora.
Quel che non cambierà è la sua impostazione di classe e la sua impostazione ideologica. Un manifesto contro le politiche keynesiane con l’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio (sia pure con disegno di legge costituzionale) ma soprattutto il mantenimento e anzi l’inasprimento dell’art. 8 che abolisce di fatto il contratto nazionale e dà via libera ai licenziamenti.
Ci si è domandati da più parti chi sia a volere questa disposizione nella manovra e in un primo momento si è individuato l’autore nel necroforo Maurizio Sacconi che divide la propria attività tra affari sui malati terminali dei quali vuole prolungare la sofferenza con una disposizione di Stato [sua moglie è amministratrice delegata di un’azienda farmaceutica che produce “farmaci e attrezzature” per malati terminali e in stato vegetativo permanente] e la persecuzione dei lavoratori, avendo come alleati i sindacati gialli di CISL e UIL. Benché il personaggio sia sufficientemente scellerato non possiede
la forza politica necessaria per condurre a termine da solo o anche come attore principale l’operazione. Non gli basta nemmeno il sostegno del Ministro Brunetta che rinvia sempre di suicidarsi dalla vergogna, buttandosi giù da un marciapiede. La loro comune militanza di ex socialisti non li rende tanto potenti nella corte del cavaliere,
anche perché la paternità delle manovre non appartiene nelle sue linee essenziali a questo “Governo di malavita” e di questa maggioranza, plurindagati dalla magistratura.

Un comitato d’affari al governo del Paese

In effetti c’è a Palazzo Chigi un governo che non governa, non solo perché incapace di disegnare una politica economica, ma perché privo di ogni credibilità nei mercati, dissipatore di risorse e specialista nel fare macelleria sociale. Un governo che somiglia sempre più allo sceriffo di Nottingham che rubava ai poveri per dare ai ricchi, che lascia agli imprenditori e agli speculatori la più ampia facoltà di fare e disfare. L’art. 8 della
manovra s’inserisce in quest’ottica e i veri padrini sono il Governatore della Banca d’Italia, le autorità monetarie europee, il Presidente della Repubblica che si è autonominato commissario ad acta di questo governo. Lo decise quando dette al Presidente del Consiglio un mese di tempo durante il quale comprarsi un numero sufficiente di voti alla Camera, cosciente che un governo sostenuto da una maggioranza siffatta sarebbe stato sempre sotto schiaffo,…. del Quirinale.
In queste scelte c’è tutta l’inconsistenza, il pressappochismo, la collocazione di centro destra dei miglioristi, ancora presenti nel DS, ma ben insediati alla più alta magistratura dello Stato. Insomma il governo tecnico c’è già ed è al lavoro dal novembre 2010 con risultati disastrosi. In questa situazione il problema comincia a non essere più il cavaliere, ma la classe politica di merda (per usare le sue parole) che ha allevato, da Frattini alla Gelmini, da Carfagna a Sacconi, da Brunetta a Romano, per tralasciare i vari Cicchitto, Gasparri, La Russa. Sono già iniziate le schermaglie tra Alfano e Formigoni su chi dovrà essere a guidare le truppe della destra, mentre l’arzillo regnante si cimenta nelle sue diverse performance: anfitrione ai diversi festini, benefattore di famiglie dissestate, consigliere di latitanti faccendieri, gestore di mega truffe al fisco e in favore delle sue aziende, autore di numerosi sketch di successo sulle questioni più varie.
L’eredità che lascia ai padroni che lo hanno sostenuto e che ora fanno finta di piangere lacrime di coccodrillo lascia una classe operaia e un mondo del lavoro sconfitto, stanco, impoverito e con un futuro quanto mai incerto. Sono stati definitivamente trasformati in sindacati gialli sia la CISL che la UIL, investiti del potere di decidere sul licenziamento di ognuno insieme al padronato.
E’ iniziata l’opera di smantellamento dei servizi alla persona e per i giovani non c’è futuro; molti si rifugiano nell’aiuto che può fornire il volontariato come nei secoli bui del medio evo e sotto lo stimolo della paura cresce il rifugio nella fede e nelle istituzioni religiose che offrono protezione ai loro adepti, mentre a livello sociale una parte del paese grida alla secessione e al localismo quasi che l’economia del contado possa
offrire protezione dall’impoverimento e dalla miseria.
Certo questo progetto di recessione guidata a livello sia economico che sociale non è solo frutto del berlusconismo; si farebbe a esso troppo merito nel riconoscergli così tanto potere. Si tratta di un progetto mondiale che copre almeno tutto l’Occidente e che è destinato ad azzerare anche attraverso una guerra non combattuta con le armi (in alcuni casi) i fondamentali di questa economia per costruire forse sulle sue rovine un
nuovo processo di accumulazione.

Il futuro è solo nelle nostre mani

Per contrastare queste tendenze ci vorrebbe ben altro, occorrerebbe generalizzare politiche come quelle prospettate in altra parte di questa newsletter e che non stiamo a ripetere ma occorrerebbero i soggetti politici capaci di promuoverle e gestirle e queste non ci sono, a meno che…
A meno che non cresca e si sviluppi un grande movimento di lotta che investa tutto l’Occidente, del quale quel che è avvenuto nella sponda sud del Mediterraneo potrebbe forse essere l’inizio, e travolga uno per uno questi sistemi politici ormai putrescenti dove ad una forma parlamentare sottostà un tessuto sociale che vede la ricchezza concentrarsi nel dieci per cento della popolazione e gli altri precipitare nell’indigenza e nella fame al punto che chi lavora è povero forse ancor prima di chi non lavora. Ormai tutte le riserve vanno consumandosi e il disagio diventa visibile e palpabile e non esistono quindi più spazi di mediazione. La pentola tarda a esplodere e tutto sembra incredibilmente calmo ma … per quanto ancora?
La storia ci insegna che più è lungo il periodo d’incubazione e più forte è l’esplosione; forse ci sono ancora riserve da consumare, forse la società possiede in alcuni suoi ceti ancora risorse alle quali attingere.
Quello che è certo è che stiamo vivendo dei risparmi e del riciclaggio di ciò che era stato accumulato. Quella che si vede è la distanza sempre maggiore tra le diverse componenti della società. C’è ancora qualcuno che pensa a un atterraggio morbido a una frammentazione guidata dal paese e gestita da un’élite politica che si va formando, capace di suddividere il paese in tanti territori che viaggiano a diverse velocità. Nuovi partiti dunque e nuove entità territoriali, non necessariamente degli Stati ma delle aggregazioni fatte di tante gabbie non solo salariali ma sociali: ciò che l’art. 8 della manovra dovrebbe ambiziosamente andare a gestire.
Contro questo progetto, che è ben più grave di quanto è avvenuto negli anni della festa e dell’edonismo gestiti dal cavaliere, non resta che rimboccarsi le maniche e prepararsi a combattere, con la consapevolezza che dietro di noi non ci sono le retrovie nelle quali rifugiarsi ma che il solo modo per vivere è andare all’attacco.
E’ allora rifiuto della delega ai partiti, a ogni partito, rifiuto della delega al voto, rifiuto della delega sul posto di lavoro e nella società, ognuno per dove è e dove può nella consapevolezza che si tratta di uno scontro definitivo e che il vecchio mondo è finito.

Gianni Cimbalo