Francia: un nuovo ciclo di lotte?

La recessione seguita alla crisi economica internazionale, dispiegando i suoi effetti, ha prodotto l’adozione di politiche di contenimento della spesa pubblica che da sole non spiegano la profondità della crisi sociale e dell’occupazione che caratterizza i paesi occidentali di vecchia industrializzazione. Hanno dispiegato i loro effetti le politiche di delocalizzazione delle attività produttive producendo una caduta del PIL dell’area occidentale senza precedenti, alimentata dalla crisi del mercato interno, accentuata dagli effetti congiunti dei fattori sopra descritti.
Né ha contribuito ad alimentare i profitti l’apertura al mercato dell’area dei servizi alla persona e dell’istruzione che avrebbe dovuto – come rilevavamo nella nostra analisi della situazione economica fin dal 2004 – moltiplicare le occasioni di guadagno. Anzi questa scelta ha depresso notevolmente il quadro sociale e con esso le capacità di espansione del mercato interno.
Di fronte a questa situazione drammatica era ovvio attendersi una risposta dei lavoratori sia dell’industria che dei servizi in difesa di condizioni minime di vita; risposta che è avvenuta ed è in corso ed ha come parola d’ordine: “Non pagheremo noi la vostra crisi”.
Lo slogan è quanto mai giusto e condivisibile. Tuttavia occorre chiedersi se il ciclo di lotte che si sta sviluppando è adeguato a dare le gambe a queste intenzioni e a tradurle in scelte politiche che abbiano effetti sugli sviluppi della situazione economica e occupazionale.

Pagheremo noi la vostra crisi

A reagire per primi sono stati i salariati greci che si sono visti scaricare addosso gli effetti di una politica che ha divaricato sempre di più il rapporto tra ricchi e poveri distruggendo il ceto medio e falcidiando la classe operaia. Malgrado scioperi anche violenti e forme di lotta radicali il governo di “sinistra” sembra essere riuscito ad imporre una politica di tagli sia alla spesa pubblica che ai servizi sociali che farà regredire di
decenni le condizioni di vita e i redditi da lavoro dipendente come quelli del ceto medio delle professioni liberali. Il sistema sociale scopre di poter alzare la soglia della povertà strutturale priva di ogni aiuto se non quello caritatevole. E’ tornata attuale e quanto mai necessaria la carità sociale, l’aiuto alla mendicità di ottocentesca memoria affidato alla Chiesa e ai privati caritatevoli.
Analoghi problemi si è trovato di fronte il governo spagnolo, schiacciato a livello interno anche dal concomitante scoppio della bolla immobiliare che si caratterizza per un milione di appartamenti invenduti.
Nonostante le politiche di intervento sul mercato del lavoro e sulle retribuzioni il Governo ha dovuto confrontarsi con l’iniziativa di lotta dei sindacati a tutela del lavoro, dell’occupazione e dei redditi. Tuttavia l’opposizione sociale non sembra aver assunto quella radicalità necessaria se si guarda alla profondità e drammaticità della crisi.
E’ sotto gli occhi di tutti la risposta del proletariato e dei ceti medi francesi a causa del fatto che in quel paese la politica dei redditi e l’ampiezza dell’intervento dello Stato sociale aveva raggiunto un livello più elevato di copertura sociale che negli altri paesi e perciò la reazione a drastici interventi come quello sulle pensioni sta provocando una reazione più alta che altrove.
Qualche risposta alle politiche recessive del governo si affaccia anche in Italia con lotte di operai, lavoratori della scuola, studenti (pochi, per ora) e reazioni locali in risposta al malgoverno del paese ad opera di un personale politico riciclato sotto l’ombrello berlusconiano. Tristi figuri ex socialisti, ex democristiani, ex missini, si travestono da agenti della cosiddetta II Repubblica (per fortuna mai nata) confermando la teoria di Robert Michels sull’auto riproduzione delle classi dirigenti che si trasformano in
oligarchia.
Non sappiamo quale sbocco possano avere le lotte in corso. Quel che è certo è che non aiuteranno i partiti della sinistra istituzionale a restare al potere dove lo sono, oppure a conquistarlo dove sono all’opposizione poiché il grande sconfitto di questa fase storica della politica è il cosiddetto riformismo della sinistra istituzionale.

Il fallimento dei partiti riformisti

Questi partiti non si sono ancora ripresi dal trauma del crollo dell’URSS. Si erano abituati a rappresentare il “socialismo dal volto umano”, addolcendo con le logiche occidentali l’economia di piano sovietica, oscillando tra statalismo e mercato, attingendo all’esperienza social democratica in materia di Stato sociale. Con il crollo del modello amato ed odiato son divenuti tutti liberali e liberisti e come tutti i neofiti e i pentiti, come tutti i convertiti che hanno bisogno di farsi perdonare i vecchi peccati, sono spesso più realisti del re, più liberisti della destra. Vogliosi di vincere, hanno teorizzato l’alleanza con i partiti di centro, non accorgendosi che la fase economica capitalistica aveva tra i principali obiettivi la distruzione dei ceti medi e perciò hanno perso. Queste loro alleanze hanno allontanato dalla politica ceti e classi della sinistra radicale e ciò
ha privato i partiti riformisti di ulteriori sostegni. Questi partiti faticano a capire quanto sta avvenendo e forse qualcuno di essi comincia ad accorgersi che per vincere come ha fatto Obama bisogna recuperare le ali estreme dello schieramento politico. Ma non vogliono rassegnarsi all’idea. Sono così coinvolti nei rapporti oligarchici che faticano a distaccarsi dai loro alter ego appartenenti ai partiti al governo.
Così le proposte politiche sono miserrime, al più somigliano ai discorsi del buon padre di famiglia, del ragioniere scrupoloso in maniche di camicia che, dismesso il proprio turno di lavoro, ritorna al caminetto, alla pipa, alla lettura del giornale sportivo e accarezza il cane.
Come può un movimento di lotta trovare un’interlocuzione credibile in questi pessimi soggetti?
Che funzione e che sbocco può dare alle lotte che comunque deve intraprendere in difesa dei propri interessi materiali?
Innanzi tutto le lotte sono divenute l’equivalente dei riti di passaggio, ovvero di quelle
manifestazioni collettive che segnano il passaggio del testimone tra una generazione e l’altra, che fanno diventare adulti, che disvelano lo schermo che ci impediva di vedere e di conoscere e, così facendo, contaminano le nuove generazioni, estendono il bisogno di solidarietà, generalizzano la resistenza sociale, accendo la speranza di un domani migliore e di una società più giusta. Chiamavamo una volta tutto ciò funzione
educativa delle lotte.
Ma bisogna andare oltre.

“Francesi ancora uno sforzo”

Cosi ebbe a dire Donatien-Alphonse-François de Sade, si proprio lui, all’indomani della presa della Bastiglia e raramente un incitamento fu più profetico.
Guardiamo alla Francia con attenzione, non solo e non tanto perché è dal quel paese che viene la rivoluzione del 1789 alla quale si richiama chiunque ha a cuore le libertà civili e il trionfo della ragione sull’oscurantismo, dell’uguaglianza contro lo sfruttamento, oppure perché ancora da li partì quel risveglio globale che fu il ’68, ma perché in Francia esistono oggi le migliori condizioni per reagire. Li le forze sindacali sembrano essere più sane, lo stato dell’economia non ha ancora subito la crisi e l’impoverimento nella misura in cui si è verificato in altri paesi, i giovani sono ancora ricettivi e disponibili al passaggio del testimone della lotta sociale. In Francia forse il dibattito tra le forze riformiste sembra aperto e soprattutto vi è l’impossibilità di un’alleanza della sinistra istituzionale con il centro inesistente. E allora avanti nella mobilitazione e nelle lotte.
Ma la Francia non va lasciata isolata e soprattutto bisogna lavorare per costruire una grande mobilitazione continentale, capendo finalmente che vi è un destino comune che lega quanto meno tutti i paesi europei e che questi non possono essere giocati l’uno contro gli altri. Le linee di comunicazione passano dai migranti dell’Est presenti nell’Europa occidentale, da un’unità dei lavoratori costruita a partire dal singolo villaggio, dall’officina, dai laboratori, dalle campagne, dalle scuole come dagli uffici, per dare a tutti la speranza di un domani migliore.

Giovanni Cimbalo