“…il capo è Lui”

Così parlo Umberto Bossi di Giorgio Napolitano, commentandone la richiesta di un passaggio parlamentare del Governo dopo l’ultima nomina di ministri e sottosegretari.
L’affermazione non è priva di fondamento se si guarda alla storia politica dell’attuale Presidente della Repubblica, al suo ruolo in quello che fu il Partito Comunista Italiano all’interno del quale egli fu il capo riconosciuto, dopo la morte di Giorgio Amendola, della corrente “migliorista” la quale sulla sua rivista “il Moderno” di proprietà di Napolitano e Macaluso e finanziata da Fininvest, Mediolanum e Publitalia, sosteneva
la necessità dell’accettazione del capitalismo e se ne proponeva il miglioramento attraverso graduali riforme senza ricorrere a una contrapposizione di sistema.
Uno degli assi centrali della politica di questo gruppo – da sempre sostenuto e finanziato anche da alcune cooperative cosiddette “rosse” – è stata la strenua avversione a ogni alleanza con i partiti a sinistra del PCI e una ricerca spasmodica dell’alleanza con i partiti Socialista e Social Democratico. Era questo l’asse portante del “compromesso storico” (alleanza tra Democrazia Cristiana e PCI) travolto dal riformismo di Craxi, al quale in passato i “miglioristi” avevano dato il loro appoggio e che, una volta tramontato, sostituirono con il sostegno della politica di Craxi. E’ questo il motivo per il quale questa componente del PCI fu critica verso i magistrati milanesi che da parte loro ne indagarono alcuni membri come Greganti.
Tangentopoli distrusse, com’è noto, i partiti e toccò ai “miglioristi” traghettare il Partito Comunista prima e il Partito dei Democratici di Sinistra poi verso il nuovo regime.
La stella polare della loro politica rimase tuttavia ferma: ostacolare ogni alleanza con partiti su posizioni di classe e combattere tutto ciò che vi era a sinistra. Questa strategia subì una battuta d’arresto durante la “stagione dell’Ulivo” grazie ad un compromesso: l’unificazione nei Democratici di Sinistra di ex democristiani e ex PCI creava un blocco abbastanza forte intorno al quale la sinistra poteva ruotare come una piccola galassia
di alleati, finalizzata a raggiungere la massa critica necessaria a governare. Furono ancora i “miglioristi” con D’Alema a cercare nel 1997 il grande inciucio con la Bicamerale che avrebbe dovuto trasformare il quadro costituzionale per rendere stabile il controllo delle istituzioni da parte dei “miglioristi”.

Il “migliorista” al lavoro

E’ noto a tutti come questo progetto egemonico sia fallito di fronte all’indisponibilità della sinistra parlamentare ad accettare un ruolo subalterno. E’ forse meno chiaro che a staccare la spina dell’alleanza con la sinistra sia stato Veltroni e quindi ancora una volta la cangiante alleanza delle correnti interne all’ex PCI e tra questi gli eredi dei “miglioristi” i quali si inventarono il “Partito a vocazione maggioritaria”, squallida
riproposizione della teoria gramsciana dell’egemonia, che tanto male ha fatto al proletariato italiano. Ancora una volta l’egemonia – secondo costoro – spetterebbe agli eredi del PCI, anche se il Partito per il quale era stata concepita era ormai scomparso.
La “vocazione maggioritaria” contiene in se il nocciolo duro della vecchia teorizzazione dell’egemonia: il partito è depositario del progetto e della missione di guidare la transizione verso la società futura. Il popolo bue non deve far altro che votare il Partito e quando non lo fa – proprio come avviene per i buoi guidati a suon di punture con appositi bastoni – si costruisce una legge elettorale ad hoc e s’inventa il “voto utile” in modo da cancellare ogni velleità di rappresentanza a sinistra.
Il resto è storia nota e ha avuto come conseguenza un ventennio di governi berlusconiani, ha permesso il dispiegarsi del berlusconismo, ha creato le condizioni attuali del paese. Senza il sostegno dei “miglioristi” Berlusconi non avrebbe potuto vincere. E tuttavia i “miglioristi” non sono berlusconiani, ma vogliono utilizzarne le risorse nell’opera di distruzione della sinistra, in modo da cancellare nella società italiana persino il ricordo di quella che è stata ed è la lotta di classe.
Per questo motivo l’uscita dal berlusconismo – per i “miglioristi” – deve avvenire mediante un’alleanza dell’attuale Partito Democratico con le forze di centro, alleanza nella quale questo Partito deve essere l’asse portante intorno al quale le altre forze devono ruotare. I cantori di questa strategia e i vagheggiatori di questo futuro sono i vari Cacciari, Renzi, Veltroni ed altri con qualche sfaccettatura e differenziazione tra di loro.
Ma il capo, il vero capo è Lui. Si spiegano così molte scelte e strane convergenze. Si pensi al mese di tempo dato al Governo per presentarsi alle Camere in modo da darle la possibilità di ricucire alleanze e trovare sostegni, avviando la più grande compravendita di parlamentari nella storia del paese. Una crisi in quelle condizioni avrebbe rafforzato troppo il terzo polo e i finiani e avrebbe relegato in una posizione ancillare il PD, perciò meglio aspettare.
Intanto si continua nella difesa selettiva dei magistrati, in nome della non dimenticata opposizione a “mani pulite”. Si fa un uso parco del ricorso al rinvio alle Camere delle leggi, sostituito da una “mediazione” sul testo dei provvedimenti con il Governo che ha portato a interventi sui punti più controversi. Si appoggia la guerra contro la Libia, in palese violazione dell’art. 11 della Costituzione, fino al punto da rivendicare al
Supremo Consiglio di Difesa da lui presieduto un ruolo di supplenza rispetto alle Camere nell’interpretazione della risoluzione dell’ONU e nella condotta della guerra.
Solo l’inaccettabilità estrema dei comportamenti e delle scelte berlusconiane conferiscono di rimbalzo alle decisioni del Presidente della Repubblica una dignità e un’accettabilità che altrimenti emergerebbe con chiarezza.
Bossi che è uomo pronto alla trattativa e alla mediazione, ma vuole trattare con i veri capi dialoga perciò con il Presidente della Repubblica, piuttosto che con il PD, nella consapevolezza che il Partito non potrà mai sconfessare o contrapporsi al Presidente.

La vendetta della storia

Ma a volte la storia si vendica e in questo caso lo fa proprio con il “migliorista” per eccellenza.
Una sinistra disastrata è andata alle elezioni amministrative in un paese impoverito dalla crisi nella quale si è accentuata la distruzione e la proletarizzazione della classe media. Il lungo lavorio avvenuto in questi anni di sconfitte della sinistra ha fatto si che si realizzassero due fronti di alleanza in due città importanti – Milano e Napoli – che prescindono dai partiti, checché ne dica Bersani, e sono caratterizzate ambedue da una presenza significativa e determinante della sinistra non solo nei contenuti programmatici, ma soprattutto per le fasce di popolazione alle quali si dirige. Il primo turno ha dimostrato la capacità aggregante di questi tipi di alleanza e sopratutto, se il ballottaggio lo confermerà, è possibile che venga dimostrato che solo uniti con la sinistra estrema la sinistra riformista può vincere.
Se cosi sarà, si dimostrerà ancora una volta l’impraticabilità del progetto politico tanto caro al Capo dello Stato il quale è giunto fino al punto di esternare con una allocuzione alla “sinistra” dettando le condizioni a suo dire essenziali per aspirare al governo del paese. Un atteggiamento, questo, da capo partito che spiega in larga parte l’inconsistenza e l’insicurezza di Bersani, costretto a muoversi in modo da non scontentare il Colle e obbligato a seguirlo in ogni sua scelta.
Il fatto è però che la situazione sembra essergli sfuggita di mano e che l’insofferenza per le politiche “miglioriste” sembra arrivata al suo apice e questo anche perché l’altra stampella del gioco – Berlusconi – mostra la corda e sembra essersi avviato verso il tramonto.
Avrà così finalmente fine quell’asse tra la destra e la sinistra che si sono spartiti il paese, quell’alleanza di fatto tra ex socialisti, ex comunisti, ex cattolici, distribuiti tra i partiti di destra e l’opposizione che hanno costituito dopo il 1994 quell’asse trasversale che ha bloccato la società italiana, sconfitto il movimento di classe, portato al disastro economico e sociale il paese.

Gianni Cimbalo