Liberisti che sbagliano

Ho appena finito di leggere l’ultimo lavoro di Aldo Giannuli [2].Il testo, se considerato nelle sue singole parti contiene moltissime informazioni. Ma è il quadro generale che esso costruisce che lo rende un’opera davvero significativa.
Pur essendo edito presso un editore non piccolissimo (Ponte alle Grazie) ancora si trovano poche recensioni “di peso”. Eppure, questo volume getta ben più di un sasso nello stagno e molti nostri politici (ma non solo), almeno uno sguardo, se non è stato perso ormai anche il minimo segno di reazione, dovrebbero darglielo.
Eh sì, perché Giannuli ci mette di fronte ad un mondo assai diverso da quello rispetto al quale il paradigma dominante vorrebbe narrarci.
Innanzitutto, chiunque, per disgrazia nostra, si trova nelle condizioni (temporanee?) di decidere dei destini di altre persone, avrebbe il dovere di farsi frullare nella testa un piccolissimo pensiero e prendere atto del fallimento definitivo dell’ideologia totalitaria e liberista che ci pervade ormai da quasi un trentennio.
Un’ideologia così pervicace che non cede nemmeno di fronte alla più eclatante realtà “oggettiva” (termine che da quelle latitudini si usa assai spesso).
Il futuro che si incarica di riservarci Giannuli non è certo dei migliori e si continuerà a tenere il timone attuale finiremo diritto contro un iceberg di dimensioni inusitate.
La grande crisi del 2008 è ben lungi dall’esser finita e anzi, se ne prospetta una di dimensioni ben più grandi.
Infatti la cura seguita al crollo di tre anni orsono segue esattamente lo stesso percorso che a quella catastrofe ha portato, con la novità davvero rilevante di un capitalismo di stato dalle dimensioni terrificanti. Il gigantesco debito causato dall’emissione di mutui a briglia sciolta, infatti, si è trasferito agli stati, mentre la strada che si sta seguendo, da parte degli USA (tassi d’interesse bassi, moneta debole, manager con stipendi del tutto fuori controllo e in pieno conflitto d’interessi) porterà dritti al baratro.
Bisogna vedere se arrivati al precipizio, faremo anche il passo successivo. Ma le aspettative non inducono certo all’ottimismo. Stante le caratteristiche poc’anzi richiamate della “socializzazione delle perdite” saranno gli stati e quindi i rispettivi cittadini a prendersi in pieno la tramvata.
Tuttavia la favola delle vite “vissute al di sopra delle proprie possibilità” che ci hanno raccontato in televisione appartiene solo alle “narrazioni morali” che ci devono indurre sempre a grande cautela.
Come diceva Samuel Johnson “Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”. Potremo senz’altro sostituire “patriottismo” con “moralismo”.
In effetti, come ci spiega bene Giannuli, i crediti folli (a prima vista) che le banche hanno concesso a chiunque (anzi, preferendo i possibili insolventi….) non sono stati errori di percorso, ma autonomo processo di formazione culturale, appartengono in pieno alla follia lucida del “mercato” quando esso viene lasciato al suo destino. Le logiche diventano tutte interne procedendo con una propria autonoma vita.
Tuttavia, vi è anche una spiegazione più prosaica: la società dei manager ha trasformato questa categoria professionale in una casta del tutto fuori dal mondo reale.
Stipendi di 500/1000 volte superiori a quello di un lavoratore comune e un continuo aumento dei prezzi avrebbero ridotto sul lastrico un’intera classe sociale. Quella Middle Class sulla quale sono stati costruiti non solo gli USA ma l’intero “occidente” da Reagan in qua. Per coprire questa disparità imbarazzante il “mercato” (che non è né neutro né giusto) ha favorito l’accesso al credito da parte di milioni di cittadini che così proseguivano nel loro appoggio convinto al “migliore dei mondi possibili”.
E’ ovvio che una situazione del genere non può durare, è un gioco pericoloso, nel quale chi perde perde tutto.
Così è stato, nel 2008. Ma non si è trattato solo del credito, ad esso si è aggiunta la quasi totale scomparsa del capitalismo produttivo. Si è pensato a fare soldi attraverso quella che, alla fine, è diventata carta straccia.
Titoli spazzatura o terrificanti e astruse combinazioni di prodotti spalmati su più prodotti finanziari, fino a renderli irriconoscibili, hanno causato una bolla senza nessun rapporto con il mondo dell’economia produttiva.
L’autore fa bene a ricordare che questo mondo nasce anche prima degli anni ’80. La fine degli accordi di Bretton Woods sono davvero il punto iniziale di questa economia virtuale (ma dagli effetti del tutto reali) che ci pervade ormai da quasi mezzo secolo.
E’ molto interessante, inoltre l’analisi che fa Giannuli della “madre” o delle “madri” di questa concezione dell’economia: la fiducia totale nei logaritmi matematici (ma il mondo reale non soggiace alle leggi matematiche in maniera matematica) e lo sviluppo delle tecnologie informatiche (che hanno permesso e permettono lo spostamento di cifre inimmaginabili in tempo reale).
Ma la storia non finisce certo qui. Da buon storico non accecato da ideologie, Giannuli sa bene che la politica non è un’ancella dell’economia e le due realtà vanno a braccetto spesso ma a volte vanno anche in direzioni opposte.
Del resto Marx con il termine “sovrastruttura” non intendeva certo dare un giudizio morale o di minor importanza rispetto alla “struttura”. Ammesso e non concesso che le scelte politiche siano “sovrastruttura”.
Infatti, oltre che questa situazione già devastante, entro il 2012 ci troveremo di fronte perlomeno a diversi eventi ragguardevoli (a dir poco) con conseguenze a cascata sul mondo intero:
– verranno a scadenza un numero spropositato di titoli con i quali gli Usa in pratica, riescono ad andare avanti. Moltissimi di questi sono in mano cinese. Non è affatto detto che la Cina voglia continuare a finanziare il debito stratunitense senza avere dei ritorni che comprendano non solo “premialità” economiche ma che vadano anche nella direzione del riconoscimento della Cina come potenza e del rispetto della propria sovranità statale (Tibet, contenzioso con Google).
– Nel 2012 la Cina inoltre dovrà trovare un nuovo timoniere. Viste le diverse componenti esistenti nel partito comunista cinese, questo non sarà senza conseguenze.
– Inoltre sempre in questo anno fatidico, si terranno le elezioni in USA.
La carne al fuoco, direi, mi pare abbastanza.
In tutto questo marasma, il nostro paese brilla per una totale assenza. La politica estera nel nostro paese (e lo vediamo anche oggi con le sollevazioni in Medio Oriente, del resto già previste da Giannuli in questo libro) è del tutto scomparsa e questo non giocherà certo a nostro favore, nel prossimo futuro.
Mi fermo qui per motivi di spazio, poiché il libro meriterebbe un’analisi assai più approfondita. Tuttavia, riprendendo il titolo di questo breve articolo, viene a mente la frase che negli anni ’70 si usava, da qualche parte, per cercare di comprendere le scelte della lotta armata: si parlava allora di “compagni che sbagliano”.
Credo che, viste le conseguenze che le scelte in materia economica hanno su milioni di persone, possiamo senz’altro parlare in questo caso di “liberisti che sbagliano”. Oggi come allora l’errore non sta solo nella seconda parte della frase.

[2] Aldo Giannuli, 2012. La grande crisi, Ponte alle Grazie, 2010.

Andrea Bellucci