Democrazia e dignità الديمقراطية والكرامة

La crisi libica va certamente collocata all’interno della caduta dei sistemi politici della sponda sud del Mediterraneo, ma presenta certamente delle specificità che vanno analizzate e che aiutano a capire le trasformazioni politiche in atto nel loro complesso.
Il tratto comune delle manifestazioni popolari e del grande movimento di rinnovamento sociale e politico al quale stiamo assistendo è costituito dalla natura antidittatoriale che lo caratterizza. Non si tratta di una lotta per la democrazia nel senso occidentale del termine, ma di una battaglia in nome della dignità, principio che nella cultura araba assume un valore suo proprio e dal quale si fanno discendere le garanzie di ogni altra libertà e dell’uguaglianza, principio in nome del quale vengono declinati i diritti umani nella cultura giuridica e sociale del mondo arabo.
Questo concetto è di difficile comprensione per la cultura occidentale a causa del fatto che l’occidente è da tempo abituato a essere imperialista anche nei valori e non ha dimenticato la vecchia pratica del colonialismo, soprattutto viva nella cultura giuridica e sociale che non si è evoluta, come invece è avvenuto per le metodiche di sfruttamento economico, le quali hanno saputo trovare grazie al mercato, all’internazionalizzazione del capitale, al capitalismo finanziario e alla speculazione, il modo per coinvolgere le
classi ricche dei paesi islamici e non solo nello sfruttamento e nel predominio di classe.
Il parametro per giudicare e valutare il tasso “democratico” delle istituzioni è rimasto quello della condivisione del costituzionalismo e del parlamentarismo nelle loro diverse articolazioni. In buona sostanza la fine del colonialismo ha lasciato in eredità ai paesi ex coloniali Costituzioni e Parlamenti ed è giunto all’aberrazione di sostenere l’esportazione della democrazia con le guerre balcaniche, l’invasione dell’Iraq e l’intervento in Afganistan. E dove non riusciva a imporre la sua dottrina l’occidente ha imposto le “dittocrazie”, ovvero dei regimi che usavano il ricorso alle elezioni e al parlamentarismo apparente come elemento di sostegno a governi filo-occidentali che dovevano rappresentare un argine all’islamismo radicale e soprattutto difendere gli interessi dei paesi della sponda nord del mediterraneo e degli Stati Uniti.
Così operando l’unica opposizione alle dittature filo-occidentali era rappresentata dai movimenti islamisti i quali cercavano in tutti i modi di promuovere insurrezioni e colpi di mano, registrando molte difficoltà nel dominare ed egemonizzare perfino le componenti religiose della società. Si può anzi dire che i movimenti islamisti hanno giocato in questi anni un ruolo di sostegno indiretto ai regimi dittatoriali filo
occidentali i quali venivano sostenuti per paura del peggio, rappresentato dal fondamentalismo che a loro volta alimentavano.

Il ruolo del concetto di dignità

Per uscire da questa situazione le popolazioni dei paesi islamici del mediterraneo e quelli a essi limitrofe, inserite nella medesima area di dominio, non avevano altro modo che quello di elaborare il concetto di laicità per correlarlo con la cultura islamica, forti della progressiva e inarrestabile secolarizzazione dell’Islam e dei suoi valori a causa della diffusione e individualizzazione dell’accesso alle comunicazioni.
La crisi economica che ha intaccato i livelli minimi di sussistenza e l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità hanno creato le condizioni strutturali della rivolta che ha trovato nella diffusione della rete di comunicazione un alleato e uno strumento prezioso. Non si tratta qui di enfatizzare il ruolo di internet e di strumenti come Facebook e Twitter ma di richiamare l’attenzione su un mutamento complessivo della comunicazione che vede in prima fila il ruolo delle televisioni satellitari – quelle in lingua araba, ma anche
quelle in inglese – che hanno costituito un’alternativa validissima alle televisioni nazionali controllate dai governi. Così è nata la convinzione che un’altra opposizione fosse possibile e le notizie sulle rivolte si sono diffuse a macchia d’olio e sono sfuggite ai controlli dei governi.
Tutti i commentatori si sono soffermati sul fatto che ben il 50% – 60 % delle popolazioni di questi paesi è costituito da giovani, in molti casi scolarizzati; che analoga è la percentuale di coloro che hanno accesso pressoché giornalmente alla rete e che comunicano e si formano un’opinione anche grazie a essa. Non si tratta di effetti nuovi e originali. Forse pochi ricordano che i primi paesi dell’URSS a entrare in crisi sono state le Repubbliche Baltiche, area – all’epoca – che registrava il più alto livello d’informatizzazione del paese.
Liberatisi delle dittature gli Stati e le società islamizzate del Nord Africa cercano ora di costruire finalmente delle istituzioni post-coloniali radicate nella loro cultura, partendo dal concetto che lo Stato per autonomo processo di formazione culturale.l’Islam tradizionale non può essere legislatore, ma dispone di un potere che gli consente di reggere la cosa pubblica, fondato sul Corano e sulla Sunna. E in questi testi è rinvenibile il concetto di dignità, si sente ancora forte il valore dell’onore, della dimensione comunitaria e quindi del sacrificio e del martirio per il bene collettivo e la salvaguardia del senso di se. Si tratta di valori che benché trovino origine nell’unità del popolo dei credenti – la ummah – e nei cinque pilastri dell’Islam, si sono oggi diluiti nella cultura di questi popoli e permeano di se tutta la compagine sociale. Da qui la protesta
estrema espressa dandosi fuoco, sacrificando se stessi in una denuncia morale e pubblica della profonda ingiustizia nella quale si vive, da qui la forza della protesta e la lotta per una vita dignitosa e libera.

Le specificità libiche

Ma la società libica presenta delle specificità. Essa conserva ancora forte la struttura di una società basata sui clan, sull’appartenenza tribale e articolata su tre grosse aree, la Tripolitania, la Cirenaica, le tribù delle montagne sopra Tripoli, di cultura berbera.
La Cirenaica è stata da sempre permeabile alla cultura e alle idee politiche provenienti dal vicino Egitto; le tribù berbere distribuite sul confine tra Algeria e Libia hanno da sempre avuto dinamiche interne transazionali e una forte spinta identitaria che le ha poste ai margini del potere; la Tripolitania ha visto prevalere il clan Gheddafi. Fino a prima della crisi, oltre a circa sei milioni di libici (in Libia non esiste l’anagrafe) erano
presenti nel paese da 2 – 3 milioni di lavoratori immigrati e non ci riferiamo agli specialisti delle società europee, pur numerosi, ma tunisini, egiziani, persone provenienti dall’Africa sub Sahariana e dall’Asia addetti ai servizi e ai lavori comuni, cioè di salariati a basso reddito. La crisi sociale ha contagiato la popolazione del
paese e la guerra civile ha provocato l’esodo di questa parte della popolazione verso i paesi d’origine, scegliendo come via di fuga naturale la frontiera tunisina e quella egiziana. Niente fuga in Italia, come farneticava il Ministro degli Interni. Per ora a questi profughi, piuttosto che all’Italia l’Unione Europea e gli Stati uniti dovrebbero dirigere gli aiuti fornendo cibo, assistenza medica e logistica.
Quando la crisi libica arriverà al suo epilogo il paese avrà bisogno di ricostruire il suo esercito industriale di riserva: la Libia è un paese ricco e non dotato di una popolazione numerosa e quindi attingerà al mercato del lavoro costituito dai migranti. Perciò chi è fuggito ritornerà e i profughi che si presenteranno sulle coste italiane o europee saranno quelli provenienti dalla migrazione epocale dai paesi del sud del mondo e
contro i quali, probabilmente, i futuri governi libici speriamo si rifiutino di fare il lavoro sporco previsto nel Trattato di amicizia firmato dall’Italia con Gheddafi. Non è chiaro il ruolo del Governo italiano che potrebbe star trattando per conto di Gheddafi una tregua o un accordo con gli insorti. Non possiamo escludere aiuti di multinazionali o di paesi occidentali ai rivoltosi e non è chiaro il ruolo di emittenti come al Jazeera o Al Arabiya nel manipolare le informazioni sui massacri. Tuttavia non possiamo che esprimere la nostra solidarietà alle ragioni che muovono il movimento di lotta e al metodo da esso adottato.
Ritorneremo certamente a parlare della situazione libica, di ciò che sta accadendo nel mondo islamico poiché quanto avviene merita la nostra attenzione, magari con un Dossier specifico.
Per ora ci limitiamo a segnalare almeno due cose:
a) quanto avvenuto fa cadere una pietra tombale sulle teorie relative allo scontro di civiltà e dimostra che quanto scritto da quella psicopatica che fu Oriana Fallaci e dai suoi epigoni non era altro che ciarpame;
b) che questo movimento segna la crisi – speriamo irreversibile – del fondamentalismo islamico, prova ne sia che gli effetti del movimento rivoluzionario in atto sulla sponda sud del mediterraneo si fanno sentire anche in Iran.
Certo dipende da noi e non solo dai governi dell’occidente, dalla nostra capacità di capire, di sostenere e di appoggiare la loro lotta far si che la rivoluzione dei popoli del sud del Mediterraneo abbia successo, anche perché forse toccherà a noi, in un futuro non tanto lontano, salire sui barconi per chiedere asilo politico a Tunisi, al Cairo o sulle coste libiche.

Gianni Cimbalo