Vigilanza e felicità pubblica

La manifestazione di studenti, ricercatori, sindacati del 3 dicembre aveva ulteriormente confermato la maturità di un movimento che si andava facendo opposizione sociale capace di cooperare con altre forze sociali. E la manifestazione del 14 scorso ha messo sotto gli occhi di tutti questo processo di unità: in piazza c’erano gli studenti delle scuole superiori e dell’università, i ricercatori, qualche altro docente, gli abitanti aquilani che sono stati soffocati dal tallone di ferro di B&B, ma che resistono e abitanti dell’area vesuviana in lotta contro le discariche della morte.
L’inizio della mifestazione del 14 rallegrava il cuore: migliaia di giovani venuti a Roma da tutta Italia, giovani che erano stati ben descritti da una studentessa di Lettere occupata a Roma dopo la manifestazione del 3 dicembre (la lettera, letta in parte anche alla trasmissione Exit, è pubblicata sul sito de “La Repubblica”).
Partiamo da quella lettera che ben descrive un cambiamento epocale dell’opposizione sociale. Insolito l’indirizzo a cui veniva spedita, il Presidente del Consiglio, cosa che poteva far pensare a una inaspetta immaturità; ma il tono di apertura spiegava bene la chiarezza d’intenti e la non ingenuità di chi scriveva in rappresentanza di migliaia di altri.
Da subito si chiariva bene la collocazione: “molti studenti presenti alla manifestazione non solo non hanno mai messo piede in un centro sociale ma possiedono anche un’ottima media; potremmo presentarle più di un libretto, ma non lo faremo perché noi
sappiamo chi siamo e questo è sufficiente.”
Dopo una citazione dello storico Thompson per richiamare le radici materialistiche di ogni azione sociale di opposizione, la lettera precisava:
“citiamo infine, uno slogan-accusa che i contadini rivolgevano nel Settecento ai mugnai, ”il male del tempo”.
Perché prima il mugnaio rubava ma con cortesia, ora è oltraggiosamente ladro. Non ci fraintenda. Noi non stiamo accusando il suo governo di essere oltraggiosamente ladro, noi accusiamo l’Italia tutta di esserlo. La nostra patria è divenuta ladra di sogni, di speranze e di verità.
Accusiamo perfino le nostre madri e i nostri padri che continuano a difenderci dal mondo, da internet e da facebook e non hanno ancora compreso che in questi anni il vero pericolo sono stati loro, la loro incapacità di critica, la loro incapacità di volere.
Condanniamo l’indifferenza poiché crediamo che la qualità di una società è inversamente proporzionale alla quantità degli indifferenti.
E in ultimo condanniamo noi stessi di non essere abbastanza bravi da rendere chiara l’evidenza.
L’evidenza è questa: noi siamo la futura generazione di precari o meglio, noi andremo a ingrossare le file di quella che possiamo definire ‘la classe dei precari’. Così come la Rivoluzione Industriale ha prodotto la classe operaia, rivoluzionaria per eccellenza, ecco che questo sistema in cui la speculazione è sfociata nello sfruttamento, ha provocato la nascita di una nuova classe rivoluzionaria, i cui membri non formano ‘strutture’, ma i cui legami si basano sulle relazioni e su una medesima condizione umana.”
A questa chiarezza di analisi materialistica della storia e della collocazione del movimento degli studenti si aggiunge quella che è la vera novità di questo movimento, che abbiamo analizzato anche in altre sedi: la richiesta di cambiamento globale in nome della ricerca, non solo della uguaglianza e della giustizia, ma della dignità di tutti gli esseri umani e dalla loro felicità. Si può in questo senso apprezzare il finale della lettera: “Lei ci insegna che un uomo può cambiare un paese. Noi, fortunatamente, siamo migliaia, forse milioni. Sta certamente comprendendo quello che le stiamo dicendo. Le daremo una dritta, da sciocchi quali siamo. Ciò che deve temere di più è la felicità pubblica, ovvero quel sentimento antico quanto la Rivoluzione Francese, che si
spiega più o meno così: l’uomo comprende di essere uomo solo quando è in movimento, e di questo ne scopre il divertimento, il piacere, puro, dello stare insieme. La Felicità Pubblica. Il resto è un colpevole silenzio e un’inquieta sensazione di noia. Ieri per la prima volta è tornata. Quello che ha visto non era follia, ma per l’appunto felicità. Felicità collettiva.
E questa volta sappiamo per certo che lei non potrà comprendere.”
La manifestazione del 14 ha messo in chiaro – crediamo – che anche il governo aveva capito come si muove quel movimento, la novità delle presa di coscienza “di classe” che rappresenta, la micidiale miscela che può innescare il collegamento con le lotte sindacali e sociali.
A quanti hanno parlato di superficialità del governo nell’affrontare quella massa di giovani felici ma decisi a contestare sotto le finestre del palazzo dove si stava compiendo l’ultimo obbrobrio di illegalità, poniamo alcune domande.
Avete mai visto le forze dell’ordine di qualsiasi parte del mondo difendere un’area mettendosi dietro a furgoni schierati a difesa dell’area stessa? A cosa serviva quel tipo di schieramento? Vogliamo pensare che Maroni, il questore di Roma e la Digos non sappiamo mettere in campo un serio sistema di difesa efficace senza creare una zona di interdizione totale?
Riflettiamo sullo svolgimento della manifestazione e sulle conseguenze di queste scelte nell’immediato e nel lungo periodo.
Gli scontri presentati da subito come risultato dell’azione di un movimento di violenti, sono stati fra i più forti soprattutto dal punto di vista mediatico degli ultimi trenta anni (colonne di fumo su Roma mentre il Parlamento prende una decisione così importante come la fiducia a Berlusconi!). Certo i furgoni in prima fila, oltre ad essere assurdi, davano l’estro all’incendio; di solito vengono tenuti nella strade laterali a quelle dove si
presume avverrà lo scontro fra manifestanti e forze dell’ordine sia per poter meglio manovrare con le altre forme di difesa, sia per averli a disposizione per azioni difensive “protette” se lo scontro prende altre direzioni, per effettuare caroselli che permettano di disperdere i manifestanti, poter trasportare chi viene arrestato. Tanto valeva mettere le sbarre come a Genova se si voleva davvero isolare l’area rossa” (mancano i soldi per farlo?).
Viene il dubbio legittimo che la scelta non sia stata neutra, ma una vera provocazione, e anche altri elementi concorrono in questa direzione.
I filmati che girano in rete da alcuni giorni dimostrano che fra i manifestanti c’erano molti agenti in borghese che incitavano, sfasciavano. Che dire poi del giovane che sta accanto al furgone della polizia, mostra un buon rapporto con alcuni della stessa, e a un certo punto scatta contro un giovanissimo (ora in ospedale con commozione cerebrale in attesa di essere operato) lo colpisce mentre qualcuno fa il saluto fascista. Il giovane aggredito, si dimostrerà dopo, era proprio un liceale con frutta nello zaino come arma contundente. Gli arrestati, il 90% minorenni, sono stati presi fra i meno violenti, a giudicare dal fatto che nei loro zaini c’era solo la frutta da lanciare contro un sistema marcio, arrivato “alla frutta”, appunto.
Nonostante tutto ciò i mass media nei giorni seguenti hanno fatto a gara a gridare agli studenti “tutti terroristi”, Maroni propone ora di estendere la legge per i violenti della tifoseria del calcio alle manifestazioni politiche. Come durante fascismo e nazismo, chi non è già in carcere, viene bloccato a casa o in cella ad ogni manifestazione. Così si estirpa la mala erba!
E domani? Quando i movimenti fanno quel salto di qualità che li porta a generalizzare la lotta e lo socntro di classe, il potere cerca subito di criminalizzarli. Lo diceva l’ex Ministro della Difesa Cossiga che, da capo di associazioni paramilitari segrete, se ne intendeva: “bastano una decina di provocatori addestrati e collocati per screditare un movimento e reprimere”.
Di fronte a questo pericolo il movimento di classe non deve solo vigilare ma sostenere che si lascia prendere dallo sconforto e ricorre con disperazione alla violenza. L’opposizione di classe ha i suoi tempi per crescere e bisogna rispettarli.

Adriana Dadà