Teatrino della politica e lotta di classe

Gli spettacoli messi in scena nel teatrino della politica durante il mese di agosto e in questo primo scorcio di settembre hanno visto all’opera un politico consumato in grado di cuocere a fuoco lento il presidente del consiglio impegnato per il tramite dei suoi giornali a dimostrare che anche il presidente della camera e i suoi famigli sono
coinvolti nel malaffare affaristico che si sta mangiando le istituzioni. Una volta si diceva che il bue chiama cornuto l’asino per dire che sono cornuti tutti e due. Eppure nonostante il disgusto per questa classe politica c’è chi si entusiasma e tifa per l’uno o per l’altro, dimenticandosi dei problemi reali della gente, vittima delle logiche e dei meccanismi della società dello spettacolo.
Da parte nostra sappiamo bene chi è e cosa esprime il presidente del consiglio, lo abbiamo imparato in 20 anni di scellerato governo. Ma dovremmo sapere chi è il suo antagonista che ci fa fremere con il suo saper far politica: un fascista “rinnovato”, che ha cambiato abito ma non la sostanza del suo essere politico e rappresenta la destra revisionista europea in Italia e lo dice. Cretini sono coloro che accecati dall’antiberlusconismo non lo capiscono.
In verità qualche politico di nuova generazione dichiara di averlo capito (Zingaretti) e dice di sapere che è più pericoloso degli altri anche se i berlusconiani o la Lega non sono niente di meglio.

La lega e Berlusconi

Già, la Lega. La principale responsabilità della sinistra, sia di quella istituzionale che di quella di classe, è di averla liquidata come un fenomeno marginale, come un aggregato culturalmente regressivo, nella convinzione che essa fosse la manifestazione di qualcosa di vecchio e che non rispondesse allo sviluppo del capitale e quindi non fosse uno dei reali avversari di oggi e di domani.
E’ stato un errore che sta alla base della sconfitta della sinistra riformista e dalla messa alle corde della sinistra di classe. E’ mancata un’analisi del movimento leghista condotta con il metodo del materialismo storico e dell’uso delle categorie economiche, è mancata l’inchiesta nei territori per capire e valutare le dinamiche relative ai rapporti di classe che ne hanno sostenuto il radicamento e l’espansione.
La Lega vive opera e si espande lavorando su un tessuto di rapporti produttivi e sociali presenti sui territori. Sostiene l’idea della personalizzazione dei rapporti di lavoro tra lavoratori e impresa, sostiene un’economia che potremmo definire “neo-curtense” che sposa le teorie economiche del “piccolo e bello”, del municipalismo, facendo credere di essere un movimento contro la globalizzazione della quale cerca invece di sfruttare al meglio i meccanismi e della quale sa di non poter fare a meno. Infatti, usa e abusa degli immigrati e del loro lavoro, li sfrutta e ne succhia le risorse ma dice di volerli combattere e di volerli espellere. E’ così divenuta maestra nella gestione dell’esercito industriale di riserva e offre questa sapienza all’imprenditoria e al capitale il quale ricambia sostenendola nel governo del territorio. Attraverso questa strategia la Lega ingloba e
riassorbe in un’alleanza inedita (o se vogliamo come faceva una volta il movimento politico dei cattolici) capitale e lavoro.
Il suo alleato naturale è oggi il movimento messo in piedi da Berlusconi, la cui composizione sociale e politica non è stata opportunamente analizzata da chi vi si contrappone. Si tratta di un aggregato di classe media decaduta che ha conservato pretese di rappresentatività e ruolo sociale i cui appetiti sono gestiti da una classe
politico-affaristica erede del rampantismo ex socialista degli anni ottanta di craxiana memoria, condito con spezzoni mafiosi, speculatori, affaristi, corruttori alla ricerca di appalti pubblici e tutti i cascami di una classe media decaduta. Costoro riescono ancora a parlare ai diseredati del paese e a coinvolgerli mediaticamente in un progetto di rivalsa fatto di rampantismo, culto del corpo, disponibilità alla prostituzione fisica e morale, pur di emergere.
Questa alleanza è tuttavia contingente e ha anche un potenziale ricambio in un asse possibile, se gli scenari della politica lo richiedessero, tra PD e Lega, poiché nella gran parte di quelli che furono i politici con precedenti esperienze nel PCI vi è la tendenza a allearsi con le forze che gestiscono i rapporti interclassisti che si sviluppano nel territorio, forti della pretesa di essere capaci poi di esercitare l’egemonia su questa alleanza. Si tratta di un vezzo di lontana origine gramsciana e riguarda la presunzione di questa forza politica di essere l’intellighenzia della sinistra, i soli capaci di esercitare l’egemonia.
Spinti da questo progetto i DS, che non riescono a liberarsi della zavorra dei vari Veltroni, D’Alema & Co e che procedono per cooptazione reclutando i vari Renzi, Colaninno spacciati per nuovo mentre sono peggio dei vecchi seguono le alchimie del teatrino della politica e tutti discettano su come e se costruire un’alleanza tra l’API di Rutelli, quanto non l’UDC di Casini, un difficile rapporto con l’Italia dei Valori e l’ex sinistra radicale nella persona di rapporti con i leader superstiti. Oggetto di ulteriori esercitazioni dialettiche è quale sia il possibile rapporto con l’aggregazione politica di Fini.
L’unica novità sembra essere rappresentata da Vendola il quale per lo meno utilizza un linguaggio affabulatorio e non dimentica che per vincere bisogna recuperare a sinistra piuttosto che puntare al centro come si ostinano a fare ex comunisti e cattolici.
E’ certamente vero che un accordo ponte per una nuova legge elettorale con chiunque è un espediente tattico condivisibile se ha lo scopo di cambiare la legge elettorale. Ma anche quando ciò avvenisse la sinistra è destinata a perdere.

La necessità della lotta di classe

Il nodo centrale del problema sia della sinistra parlamentare che per coloro che vivono in questo paese è la rinascita del conflitto sociale e la presenza della lotta di classe per poter riporre al centro del dibattito il problema dell’occupazione, del lavoro, di migliori condizioni di vita per tutti.
Senza porre attenzione primaria ai problemi del lavoro e del reddito, disoccupazione, miseria, indigenza non potranno che crescere. Nessuna forza politica parlamentare ha posto con convinzione questi problemi ma continua a discutere di case di approssimativamente 70 mq a Montecarlo, piuttosto che delle frequentazioni criminali e mafiose di faccendieri e politici.
La battaglia dei metalmeccanici a Pomigliano e a Melfi non ha ricevuto appoggio e lo stesso avviene per la lotta dei chimici e degli auto-reclusi dell’Asinara. Qualche generica solidarietà, ma mai un’iniziativa politica complessiva, una mobilitazione convinta a sostegno dei milioni di licenziati e di cassaintegrati, delle migliaia
di precari, dei disoccupati. Nessuna lotta per la politica dell’occupazione: anzi emarginazione politica della FIOM. Anzi un a volte anche esplicito sostegno alla politica di contenimento della spesa attuata tramite il taglio dei servizi e le riduzioni lineari di spesa: le critiche a Tremonti sono di facciata, prova ne sia che viene proposto per un esecutivo di transizione! Il flebile guaito di qualche personaggio della cosiddetta sinistra è il solo suono consentito. Tace il sindacalismo di base che non riesce se non in rari casi a trovare un’intesa con la FIOM.
Dopo di che lo sciopero della fame dei precari è violenza politica, l’azione sindacale della FIOM è violenza anch’essa, perché uno sciopero è un’azione violenta ma le decisioni di Marchionne di imposizione di un contratto capestro, di licenziamenti disciplinari e politici, di chiusura delle fabbriche sono esercizio della libertà di impresa. Silenzi anche sulla disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici da parte di
Confindustria.
E ancora è esercizio delle libertà sindacali la scelta di CISL e UIL di svolgere il ruolo di sindacati collaborazionisti ma è violenza fischiare il collaborazionista Bonanni, sindacalisata di regime. Una provocazione invitarlo: da qui le giuste proteste che dovrebbero estendersi a tutti i dirigenti e quadri sindacali CISL e UIL che vanno espulsi da tutte le assemblee dei lavoratori. Non è invece violento Bossi quando minaccia di impugnare i fucili o spara la bufala di voler portare dieci milioni di persone a marciare a Roma. Si dirà: cretino chi ci crede. Ma il paradosso è comunque evidente: ci sono violenze consentite e quelle vietate.
Alle lavoratrici e ai lavoratori, ai proletari, a tutti coloro che vivono di rapporti di lavoro subordinato e pensioni non resta che scendere in lotta avendo l’accortezza di osservare alcune precauzioni:
1. Avere prioritariamente cura di stabilire alleanze e di formare un fronte comune tra lavoratori autoctoni e immigrati;
2. partire dal territorio e dai posti di lavoro per promuovere la mobilitazione;
3. coinvolgere sempre nella lotta comune cassintegrati, precari, disoccupati;
4. puntare a ottenere servizi per tutti attraverso una rimodulazione delle spese e un razionale utilizzo delle risorse, accompagnato da una lotta all’evasione e elusione fiscale;
5. porre particolare attenzione ai problemi della scuola dell’Università, della formazione e innovazione. Se l’innovazione è strategica per lo sviluppo dell’occupazione, il sostegno alla scuola di ogni ordine e grado è strumento di realizzazione di una sostanziale e tendenziale uguaglianza, è strumento di coesione sociale e unità di classe.

Gianni Cimbalo