Liberté, Egalité, Fratenité, Maddecché

Non è fatto nuovo che quando all’interno dei confini nazionali le cose non funzionano, la soluzione preferita da parte dei governi sia quella di far calare il silenzio sulle questioni interne più scottanti e puntare i fari contro un nemico. Così se ieri Mussolini inaugurava le fallimentari imprese coloniali in Abissinia, oggi Sarkozy e il nostrano Ministro Maroni, puntano il dito contro un nemico; forse il solito nemico. Addirittura un popolo. A spaventare oggi ci sono i rom.
La questione “zingari” è un fatto endemico, riproposta ad arte a seconda del particolare momento di politica interna. In questa fase di sbandamento generale, fra crisi extraparlamentari e appartamenti monegaschi, fra tagli all’istruzione e mancati reintegri sui posti di lavoro, alzare la voce e agire sul fronte “sicurezza” è scelta obbligata per l’esecutivo. A Sarkò questa mossa è valsa due punti percentuali nei sondaggi; ma anche molte critiche. Così mentre da Parigi decollano “voli umanitari” per la Romania (i rom diventerebbero così improvvisamente stanziali e tutti romeni, quindi comunitari), lo sdegno dell’opinione pubblica internazionale è cresciuto fino a divenire trasversale. L’ex premier de Villepin parla di “macchia vergognosa” sulla bandiera francese, mentre Benedetto XVI rivolge un messaggio con il quale non nasconde preoccupazione. Lontani i tempi del famoso discorso del neoeletto presidente sulla “laicità positiva” pronunciato proprio a Roma immediatamente dopo l’elezione.
E mentre molti dei politici d’oltralpe, anche di destra, prendono le distanze dell’azione intrapresa dall’inquilino dell’Eliseo, in Italia Sarkò trova nel ministro del Carroccio un convinto alleato, pronto a rincarare la dose. Dopo aver ricordato con orgoglio tutto padano che la Francia sta copiando le politiche migratorie da lui disegnate (e non sarebbe certo da esserne fieri), Maroni, rilancia la sfida: rimpatriare i cittadini comunitari che non hanno dimora , reddito minimo e risorse sufficienti per non gravare sul sistema sanitario nazionale.
Dura, ma verosimilmente non abbastanza, la posizione dell’Unione Europea che dichiara di monitorare con attenzione la situazione in Francia e in Italia. Si tratta di dichiarazioni “giustificate” dalla direttiva 2004/38 CE e in particolare dalla parte in cui si richiede ai soggetti “di disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno. A questo proposito, gli Stati dell’Unione non possono fissare l’ammontare delle risorse considerate sufficienti, ma devono tener conto della situazione personale degli interessati”.
Investito del problema, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione di condanna del comportamento francese e ha sbarrato la strada al piano italiano di liquidazione dei rom. Ma sia il governo francese che quello italiano non sembrano avere alcuna intenzione di rispettare le richieste del Parlamento UE, e continuano ad espellere persone nate in Francia e in Italia solo perché i loro genitori in un passato ormai lontano sono nati in un altro paese.
Eppure già dalla direttiva 2004/38 accettata da tutti si evinceva che gli Stati non possono adottare delle soluzioni senza tenere in considerazione le differenti situazioni e le loro peculiarità. La condizione dei rom è una di quelle che merita indubbiamente particolare attenzione, se non altro perché queste comunità hanno alle spalle una cultura di ceppo indo-europeo che manifesta connotati del tutto particolari e una storia fatta di persecuzioni e ingiustizie. Dicerie e credenze popolari hanno alimentato diffidenze ed ostilità quasi invincibili, tanto che al Ministro padano i rom appaiono più barbari dei suoi avi longobardi o celti. E non ha timori nel confermarlo dichiarando: “purtroppo molti rom hanno la cittadinanza italiana e contro di loro non si può far
nulla”. Perché altrimenti avrebbe espulso anche loro.
In una prospettiva più ampia delle cose, che oltrepassa il Po va ricordato come la libertà di movimento e di circolazione sia già da molto tempo il cuore del processo di unificazione dell’Europa. Non è un caso che proprio su questo punto nel corso degli anni si è innestato il procedimento di ampliamento e di crescita complessiva dell’Unione. Dalla vecchia CEE, dove predominante era l’aspetto economico dei rapporti, si era arrivati ad ammettere prima la circolazione dei lavoratori, e poi degli studenti e dei pensionati, ovvero anche di soggetti non produttivi. Oggi è ammessa la possibilità di muoversi entro i confini europei non solo in risposta a una “offerta di lavoro reale ed effettiva”, ma anche per cercare lavoro. E poi ci sono i diritti fondamentali, tanto cari a Bruxelles. Per giurisprudenza ormai consolidata in materia di cittadinanza l’unico punto fermo, in un ambito tanto delicato come è questo – dove non di rado si scontrano fra loro legislazioni nazionali configgenti – all’individuo vanno comunque riconosciuti i diritti garantiti nelle Carte Costituzionali dei singoli Stati membri,
oltre che quelli che hanno ispirato l’Unione stessa: la libertà di circolazione è uno di questi.
Per quanto riguarda poi il limite dei tre mesi di permanenza nel territorio dello Stato, come datare l’inizio della permanenza dei rom sul territorio di uno Stato nell’Europa di Schengen che non pone visti alle frontiere. Chi può poi impedire ai rom espulsi di ritornare in Francia? Non sarebbe forse il caso di agire, in nome del benessere collettivo, seguendo il ben più proficuo e soddisfacente modello belga dove comunità rom ed autoctone vivono serenamente?
Fare della dimora e del lavoro (meglio se a tempo indeterminato, proprio mentre ci hanno incantato con il mito della flessibilità) il perno di ogni provvedimento nazionale in materia di circolazione delle persone, significa autorizzare un domani l’allontanamento anche un cittadino disoccupato, in quanto improduttivo, potenziale criminale.
A ben guardare dietro la vicenda rom c’è di fatto l’inarrestabile declino della solidarietà sociale, la resa incondizionata della Costituzione, apostrofata come “inutile formalismo”, nonché si intravedono i prodromi di una conflittualità sociale senza precedenti. A preoccupare non è tanto la dichiarazione di Maroni – la quale si colloca all’interno di una visione delle politiche migratorie alla quale i governi Berlusconi ci hanno oramai abituato – quanto piuttosto la vicenda francese. Quando un paese leader nel processo di integrazione europea pone in essere una politica di questo tipo, improntata alle discriminazioni e all’emarginazione, allora vuol dire che l’UE non ha solo “due velocità” sotto il profilo dello sviluppo economico, ma ora anche sotto quello dei diritti.
Occorre ricordare che i circa 20 milioni di Rom non sono solo rumeni o bulgari ma ad esempio Slovacchi, paese nel quale costituiscono il 10% della popolazione, oppure ungheresi o balcanici. I 19 milioni di euro messi a disposizione dall’Unione Europea, una volta tanto utili, non sono stati utilizzati dai vari governi e basterebbe cominciare predisponendo delle aree attrezzate, obbligandoli alla registrazione all’ingresso come
avviene in qualunque albergo, al solo fine di farli accedere all’assistenza sanitaria, di obbligarli a mandare i figli a scuola, a promuovere iniziative culturali a favore della loro musica (insegnamento e conoscenza), al fine di rendere possibile una integrazione che li lasci liberi di vivere il loro eventuale nomadismo.

Letizia Solazzi