Il Grillo calante e le elezioni amministrative in Italia

E’ passato ormai tanto tempo dall’ultima volta che i partiti si sono presentati alle elezioni politiche che hanno dimenticato chi sono i loro referenti elettorali. Perciò tutti mutano pelle e si profilano, cercando di adeguarsi ai desiderata di un elettorato mutevole, distratto, incerto, sempre più propenso all’astensione. Questa operazione di camuffamento è più facile nelle elezioni amministrative per via del sistema elettorale che consente le coalizioni e permette l’utilizzo delle liste civiche per produrre aggregati clientelari. Prova ne sia il fatto che in molti comuni i simboli di partito sono scomparsi per nascondersi dietro nomi più o meno di fantasia.Per questi motivi le elezioni comunali che sono il test più inadatto per sondare un movimento di opinione che non fa alleanze e quindi non può sfruttare l’apporto delle liste civiche e i premi di coalizione,
come pure il voto disgiunto che caratterizzano le elezioni comunali. Ecco perché il Movimento 5stelle non arriva al ballottaggio anche se la quantità di voti ottenuti dalle sue liste è aumentata. D’altra parte il Movimento 5 stelle non ha territorio, vive nel digitale e nella rete. Perciò è fluido e la sua visione di democrazia è ispirata alla cosiddetta contro-democrazia, ovvero a quella che potremmo definire democarzia del controllo e della sorveglianza del garante supremo: Grillo.
In questa situazione è del tutto naturale il Movimento fatichi a “stare sul territorio”, a selezionare e presentare candidati conosciuti e autorevoli, anche perché se acquistano una personalità autonoma, come nel caso di Pizzarotti il Grillo vorace li fa fuori.
Sul piano politico desta un certo scalpore la svolta “a destra” del M5stelle, come se questo fosse mai stato un partito di sinistra. La “svolta”, per la verità avviene sui temi dell’emigrazione e dei rapporti con le componenti marginali della società.
Ne beneficia il PD che in realtà, come tale, perde voti e nelle ammucchiate con il centro destra, come a Palermo, contribuisce alla vittoria dell’immarcescibile Leoluca Orlando e sotto le spoglie delle liste civiche si presenta al ballottaggio con la destra.
Mantiene i suoi voti Forza Italia e aumentano i propri consensi sia la Lega che, in misura minore, Fratelli d’Italia, cavalcando anch’essi le politiche liberticide sulla sicurezza e le polemiche contro l’immigrazione.

Il trionfo dell’astensione

Al di la di queste riflessioni sui numeri e il sistema elettorale un dato però è incontestabile: il fallimento dei 5 Stelle nel fare da argine all’astensione e la fine dell’illusione che sia possibile trovare le soluzioni alla crisi sociale all’interno del sistema della rappresentanza e attraverso la delega. Butta la maschera un partito che ha
fatto da psicofarmaco, da sonnifero alle lotte, alimentando l’idea che una alternativa istituzionale è possibile. E questo può essere certamente un bene.
Non è riuscita a trovare un’espressione politica la galassia dei raggruppamenti di sinistra, frutto della frammentazione di quelle organizzazioni che sembravano rappresentarla. I suoi elettori hanno continuato ad astenersi.
E’ tuttavia troppo presto per vedere all’opera gli scissionisti del PD, incerti e balbuzienti sul da farsi, impegnati a trovare un coagulo organizzativo capace di aggregare in modo convincente le membra sparse della sinistra riformista. Non è solo la struttura organizzativa unitaria – pure necessaria – a mancare, ma l’assenza di un programma.
Il disastro dei socialisti francesi e l’esperienza positiva del Labour, la campagna elettorale di Sanders non sembrano aver insegnato niente e perciò le risposte che vengono date sono dei no pure importanti, senza che questi si concretizzino in un programma organico e alternativo al centro rappresentato dal partito renziano.
La sinistra riformista deve dire dove trovare le risorse per lo sviluppo, deve dare un ruolo alla cassa depositi e prestiti e alle banche, deve rilanciare gli investimenti strutturali e, partendo da queste e altre idee, rilanciare l’occupazione. Il mercato del lavoro va riformato non solo ripristinando quelle garanzie che furono proprie dell’art. 18, contro i licenziamenti arbitrari, punitivi e da rilancio selvaggio dello sfruttamento. Lo Stato sociale va profondamente ridisegnato, rafforzandone prestazioni e garanzie, a partire dalla sanità, dalla scuola e passando per la tutela dell’ambiente e il riassetto idrogeologico. L’attenzione ai problemi del territorio non può limitarsi al periodo elettorale. Una profonda revisione del sistema fiscale si impone procedendo alla tassazione dei più ricchi.
Si tratta di cose tutte al di fuori della portata delle forze politiche riformiste, preoccupate di posizionarsi in vista delle elezioni legislative e attente soprattutto alle nomine come quella del prossimo Governatore della Banca d’Italia e della Consob che avverranno in autunno.
Potenzialmente la sinistra di classe ha tutto lo spazio necessario per operare, ammesso che abbia le proposte e ne abbia la forza.