Isis e Al-Qaeda: franchising e network

È apparentemente incomprensibile perché le varie anime, le principali in particolare, del radicalismo islamico non trovino spazi consistenti di collaborazione. Di conseguenza non è esercizio peregrino il chiedersi quale delle due abbia maggiore vitalità e possa quindi perpetuarsi nel tempo, anche dopo che la reazione degli stati occidentali abbia dispiegato la propria azione di annientamento.
Partiamo dalle analogie. Entrambe le strutture sono frutto della strategia estera statunitense, volta a legare ai propri interessi l’area mediorientale, in considerazione dell’importanza che essa riveste quale depositaria della maggior parte delle risorse energetiche. Se questa strategia sia stata un clamoroso errore, oppure se i suoi
risultati si siano abbastanza avvicinati agli scopi prefissi solo lo svolgersi degli eventi sarà in grado di chiarire.
È, comunque, escluso che l’allargarsi dell’area fondamentalista e terrorista fosse un evento del tutto inatteso e che come tale resti soltanto un effetto collaterale. L’intento degli Usa, ormai da quattro decenni è quello di espellere dall’area interessata la presenza dell’URSS, prima, e della Russia dopo e minare la stabilità interna
dell’imperialismo rivale. Questo tema maniacale ha dato all’inizio i frutti sperati: poco meno di quarant’anni fa la vecchia Unione Sovietica è esplosa e la Russia ha perso al sud del proprio confine asiatico la cintura protettiva degli stati con popolazione a maggioranza musulmana. Per di più il terrorismo e la guerra civile si sono incuneati all’interno del territorio russo con le rivolte cecene e del Daghestan. Poi l’attenzione si è rivolta, appunto, agli stati mediorientali che mantenevano buoni rapporti con la Federazione Russa: Iran, Yemen e Siria.
Per capire gli esiti recenti occorre ripercorre le nascite dei due protagonisti di questo articolo. La disastrosa avventura sovietica in terra afghana ha stimolato negli Stati Uniti d’America un afflusso di aiuti militari e di risorse finanziarie alla guerriglia in quel paese; questo stimolo ha fortificato gli studenti islamici (talebani) e prodotto la nascita di Al.Qaeda, coccolata dall’amministrazione statunitense. Quando i guerriglieri
musulmani hanno constatato che l’aiuto d’oltre oceano non corrispondeva ad un rispetto e ad un’amicizia volta alla propria fede religiosa, ma rispondeva solo ad interessi strategici ed economici, ben presto hanno rivolto le loro ben coltivate capacità terroristiche contro le mani che li avevano a suo tempo beneficiati.
La nascita dello Stato islamico è anch’essa un frutto delle “capacità” strategiche degli autoproclamati Stati Uniti d’America. Lo scopo era quello di eliminare dal panorama mediorientale del regime siriano di Assad, alleato della Federazione Russa. Il raggiungimento di questo obiettivo avrebbe aperto senza ostacoli l’intera area delle penisola arabica, con tutto il suo tesoro di risorse energetiche, alla sola influenza statunitense, e per di più isolato l’altro stato nell’orbita russa, l’Iran. La manovra è stata duplice. Il mantenimento del controllo acquisito sull’Irak comportava l’accordo con la maggioranza sciita e la marginalizzazione della minoranza sunnita, già al potere all’epoca di Saddam Hussein; ma quella minoranza costituiva il nerbo militare del
precedente regime e con le armi che possedeva è passata alla resistenza ed è divenuta uno dei due pilastri su cui si è basata la nascita dell’ISIS. Contemporaneamente gli USA hanno fomentato, supportato e finanziati la resistenza anti-Assad in Siria, e quelle frange di guerriglia sono confluite con le armi ricevute nella nuova formazione territoriale, costituendone il secondo pilastro.
Ma per quanto analoghe siano le loro origini, analoghi i riferimenti al fondamentalismo religioso, analoghi, gli scopi che si prefiggono ed infine analoghi i metodi di lotta praticati, le due formazioni rivelano caratteristiche di funzionamento molto diverse, caratteristiche che producono vite, sviluppi e destini diversificati.
Recentemente in Europa e negli USA si sono moltiplicati gli attentati, più o meno efferati, più o meno micidiali, con un comun denominatore: la matrice riconosciuta, rivendicata, proclamata era quella di Daesh.
Nell’ultimo anno però, da quando cioè l’attraversamento delle frontiere dello Stato islamico è divenuto più problematico anche in ragione della loro aleatorietà e delle loro oscillazioni, alle azioni eclatanti e militarmente bene organizzate si sono venute sostituendo incursioni di cosiddetti “lupi solitari”, spesso non indenni da palesi sociopatie, se non da veri e propri problemi mentali. I mezzi utilizzati sono stati i più vari e meno prevedibili, ma tutti tali da non prevedere per il loro utilizzo alcuna preparazione militare. Per di più, molti degli attentatori non avevano un passato riconoscibile di assidua frequentazione religiosa, tanto meno radicale, e la loro adesione all’ISIS risaliva a poco prima dell’azione, per lo più delle volte con uno scambio di mail e senza alcun
passaggio nei territori controllati dagli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi. Ben diversi i tempi degli attacchi a Charlie Hebdo ed al Bataclan. La sensazione è che chiunque abbia qualche rancore e poche motivazioni a vivere si rifugi, per esprimere al massimo la rabbia che cova, sotto le comode bandiere di Daesh e che, di converso, lo Stato Islamico trovi conveniente mettere il proprio cappello su ogni azione a puri scopi di
propaganda e per apparire più forte e pervasivo di quanto in realtà sia.
L’approccio al terrorismo di Al-Qaeda segue schemi più classici. Formazione di militanti, creazione di cellule dormienti, preparazione accurata delle azioni, individuazione di obiettivi significativi e legati alla propria strategia. Per Al-Qaeda un attentato riveste un significato politico e non spara nel mucchio al solo scopo di creare panico e paura diffusa. Le regole di funzionamento dell’organizzazione creata da Osama Bin Laden
rispondono più allo schema di un network di militanti addestrati e consapevoli, pronti ad attivarsi al momento in cui venga deciso che è giunto il momento di agire e di colpire. Tale tipo di struttura risulta più evanescente e quindi meno afferrabile e contrastabile e quindi ha in sé le risorse per continuare ad agire a lungo nel tempo, forte della propria parziale invulnerabilità.
L’Isis, invece avendo scelto di controllare militarmente un territorio, ha avuto inizialmente il vantaggio di attirare miliziani da tutto il mondo e di legare a sé parte della popolazione, offrendo servizi sociali e mezzi di sussistenza, grazie alle risorse derivanti dalla vendita clandestina di petrolio. Ma così facendo è vulnerabile a seguito di azioni militari, cosa che avverrà nel momento in cui la sua funzione sia esaurita a giudizio di quei paesi che finora ne hanno tollerato l’esistenza o l’hanno addirittura sfruttata comprando il greggio a basso costo o, come la Turchia, utilizzando il suo facile schermo per combattere, con il beneplacito internazionale, la propria battaglia interna per il dominio sui curdi.

Saverio Craparo