Televendita a Palazzo Chigi

Questa volta il bischero della Leopolda si è presentato in compagnia di 32 slides, l’immagine di un carrello della spesa delicatamente mezzo pieno, di un pesce rosso e ha illustrato il gioco delle scatole cinesi che ha in mente di fare per procurarsi le somme occorrenti a soddisfare le promesse che ha fatto. Il governo non c’è.
La promessa di mille euro all’anno in più per una platea potenziale di 10 milioni di occupati con un salario al di sotto dei 1200 € mensile è certamente interessante e permette di raggiungere contemporaneamente alcuni risultati:
1) con 85 € al mese in busta paga fa guadagnare più di qualsiasi vertenza contrattuale e dimostra di saper fare più e meglio di ogni sindacato;
2) il consenso così guadagnato gli permetterà di far ingoiare la ristrutturazione dei contratti, l’abolizione di fatto del contratto nazionale, l’aumento della precarietà, dando l’illusione di maggiore occupazione;
3) permetterà la progressiva eliminazione di ogni garanzia, art. 18 dello statuto dei lavoratori compreso, e quindi nessuna difesa contro i licenziamenti senza giusta causa.
In tal modo la battaglia per la destrutturazione dei diritti verrà definitivamente vinta dal padronato; è tanto e alla Confindustria conviene starci e fare lo scambio, accettando pochi sgravi fiscali pur di vincere la battaglia strategica sui diritti. Tanta abilità si spiega grazie ai suoi consiglieri: infatti non c’è peggior nemico dei lavoratori che un ministro del lavoro come quello attuale, già esponente del movimento cooperativo!
Fuori da ogni intervento i pensionati considerati un peso e i disoccupati privi di ogni reddito e lasciati marcire per strada e nei pochi dormitori pubblici. Lasciati a se stessi i lavoratori costretti a prendere una partita IVA, falsamente autonomi, pur di svolgere un’attività sottopagata, pronti a svolgere un lavoro di fatto subordinato per committenti che vogliono evitare ogni gravame derivante dall’assunzione. Quelle poche garanzie date dalla cassa integrazione in deroga sono destinati a saltare e non si vede se e come verranno sostituite. Si parla di salario sociale e questo basta. Intanto la povertà cresce.
Nessun impegno sulla costruzione di infrastrutture, nessun piano strategico per i diversi settori produttivi, nessun investimento e quindi niente lavoro ma la promessa che verranno pagati i debiti dello Stato.
Anche in questo settore il venditore gioca in modo abile. In realtà le somme da pagare sulle quali non c’è coperture sono all’incirca 10 miliardi di euro. Gli altri 50 circa sono stati già stanziati e sono già nei bilanci precedenti e per questi non occorre copertura: basta solo modificare le procedure di pagamento o accordarsi con le banche e farli anticipare con la copertura della Cassa depositi e prestiti, dietro la corresponsione di congrui interessi alle banche. Le somme che mancano si copriranno con lo 0,4 % ancora non destinato derivante dal mantenimento del rapporto del 3% fra deficit e PIL.
Grazie a questo giro di cassa e allo sfruttamento dei risparmi fatti dai governi precedenti il prestigiatore fiorentino potrà accreditarsi e vincere almeno le elezioni europee (spera). Intanto la riforma istituzionale arranca e poco male se la legge elettorale fa schifo e la soppressione del Senato è del tutto improbabile, e non avverrà comunque prima della scadenza naturale di questa legislatura. Il venditore cerca di collocare sul mercato la stabilità del sistema promettendo “non più larghe intese” e ne fa una ogni giorno, sempre più larga fino a coinvolgere il suo padre spirituale, quel padre putativo al quale si ispira del quale vuole ereditare l’elettorato.
Rischia anche lui di battere il muso, ma la situazione è sempre più chiara: il governo è in mano ai poteri forti che da sempre lo gestiscono in una logica continuità con il passato. I nuovi volti della politica sembrano nuovi, ma sono selezionati secondo la rigida logica dell’avvicendamento delle classi dominanti, nel rispetto della teoria dell’elitarismo e la ferra legge dell’oligarchia formulata da Robert Michels. I salotti, gli studi professionali, quelli dei dirigenti aziendali sono pieni di rampanti scalatori sociali, individuati dal leader senza nemmeno discuterci prima ma in ragione dei ceti e dei gruppi di pressione che rappresentano. Altro che superamento del consociativismo anzi, applicazione rigorosa dei suoi principi senza il riconoscimento pubblico della rappresentanza alle componenti che fanno parte del patto sociale. Un patto ad esclusione nei confronti dei deboli, dei poveri, degli sfruttati che non hanno rappresentanza.
La velocità di azione, l’attivismo, il decisionismo diventano qualità a prescindere e l’importante è fare; cosa, come e con quali risultati importa poco.

A chi serve Renzi

A tutti coloro che stanno conducendo da tempo una battaglia per la destrutturazione del rapporto di lavoro in questo paese, a tutti coloro che vogliono una definitiva sconfitta dei lavoratori, a chi vuole la disarticolazione radicale delle loro organizzazioni, tutte, anche quelle riformiste e corporative: unico rapporto ammesso quello individuale tra padrone e lavoratore. Bisogna poi completare la terziarizzazione del paese e concentrare la produzione sui pochi settori del manifatturiero, della moda, del made in Italy che reggono sul mercato mondiale. Per il resto il paese dovrebbe essere un grande parco vacanze che fa perno sulla gastronomia, la ricettività alberghiera, lo svago. Altro che rilancio della vocazione manifatturiera!
Lo vogliono la Banca Mondiale, la stessa BCE, un folto gruppo di imprenditori e banchieri italiani e stranieri, che a livello mondiale combattono questa battaglia. Dalla stessa parte un settore del mondo ecclesiastico, quello social imprenditoriale che dietro la copertura di rapporti ispirati dalla sussidiarietà, svolge attività e fa investimenti nei settori dell’inclusione sociale.
E pensare che mettere mano alla spesa per la sola Chiesa cattolica significherebbe poter recuperare ben 7 miliardi e 500 milioni di Euro all’anno: a tanto ammonta infatti la spesa annua per l’8 per mille, il pagamento degli stipendi per Cappellani di ogni tipo, gli insegnanti di religione, gli edifici di culto, i finanziamenti alle scuole private  confessionali, alla sanità gestita da enti ecclesiastici, ecc.. Ci sono poi le esenzioni dal pagamento di imposte, di ogni imposta. Ma queste sono spese intoccabili, sottratti alla spending review e a ogni forma di verifica e controllo .sulle quali il coccolino della curia fiorentina non pensa nemmeno lontanamente di intervenire.

Il “buco” nel bilancio del Comune di Roma
Un deficit molto speciale Come è noto il Comune di Roma ha un deficit incolmabile che deve essere coperto da un intervento straordinario dello Stato.
Ma non molti sanno che una buona parte di questo debito deriva da obblighi assunti dallo Stato italiano verso lo Stato Città del Vaticano che non paga l’acqua, le tasse relative alla nettezza urbana, agli scarichi fognari e ogni altro servizio fornito dall’amministrazione comunale di Roma.
Ciò avviene in forza dei Trattati internazionali come quello del Laterano del 1929 e di specifici accordi per materia come quello che pone a carico del bilancio della società Acqua Marcia la spesa per il rifornimento idrico della Città del Vaticano e gli innumerevoli palazzi apostolici.

In questa situazione il nuovo che avanza puzza della peggiore DC,. benché una parte di essa conservasse un residuo senso dello Stato.

I resti del PD

L’unica speranza di uscire da questa situazione è la grande chiarezza del quadro politico perché non c’è chi non veda che i resti di quello che fu il partito comunista in Italia vengono via via seppelliti con i pensionati che muoiono. Il campo è sgombro da ogni equivoco e per ricominciare occorre iniziare sgombrando le macerie.
Certo le forze sono esigue e non si può che cominciare da coloro che sono privi di ogni diritto, cominciare dai disoccupati, dai senza casa e da tutti coloro che sono senza lavoro e questa purtroppo è una platea destinata aumentare e difficile da organizzare. Chi è privo di rappresentanza, che è sotto attacco deve cercare di superare ogni giorno la grande battaglia per sopravvivere e mancano le forze per produrre organizzazione.
Non servono nuovi partitini, ma aggregazioni sul territorio, capaci di gestire il soddisfacimento dei bisogni reali di coloro che lo abitano senza distinguere tra cittadini e immigrati. Dalle aggregazioni di quartiere, da quelle nelle scuole, nel sociale può nascere passo dopo passo una nuova opposizione che deve saper recuperare le esperienze passate di lotta, sapendo innovarle e trasformarle per renderle percettibili a livello sociale, nel mutato panorama della comunicazione, in una fase nella quale il partito a base ideologica di stampo ottocentesco è finito e i movimenti e le aggregazioni sui bisogni sono i luoghi sui quali può crescere l’opposizione sociale.
In questo lavoro i comunisti anarchici possono portare il loro contributo come militanti della lotta di classe.

La Redazione