Stabilità vo’ cercando che sì cara

Nell’attuale festa storica i regimi di democrazia parlamentare attraversano ovunque nel mondo una crisi profonda dovuta al venir meno della fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei sistemi stessi di rappresentanza degli interessi presenti nella società. La profonda
ristrutturazione della redistribuzione della ricchezza e del reddito ha creato una esigua classe di persone molto ricche, ha impoverito la classe media e ha fatto si che una quota di popolazione che oscilla tra il 25 e il 30 per cento del totale sia da considerare strutturalmente povera. I regimi di controllo sociali sono così forti da poter sopportare una disuguaglianza cosi forte a causa del venir meno delle speranze e prospettive di rivoluzione sociale e ovunque il capitalismo ha creato un forte controllo delle forze produttive spostando in aree marginali le attività di lavoro rispetto a quelli che furono i centri di produzione più ricchi di forza lavoro. Così nell’organizzazione del controllo sociale la distribuzione del lavoro svolge un ruolo militare di contenimento delle possibilità di resistenza e di contrasto delle classi subalterne e lavoratrici. In queste
condizioni e prendendo atto dei rapporti di forza la sfiducia della maggioranza della popolazione si è tradotta nella volatilità del voto e nello spappolamento della rappresentanza.
Guardando all’Italia assistiamo a una caduta verticale di partecipazione al gioco elettorale: una percentuale di persone, oscillante tra il 30- 35 % rifiutano il voto in varie forme ed accade sempre più spesso che il non voto si avvicini o addirittura superi il 50 % degli aventi diritto, Costoro sono consapevoli in vario modo dell’inutilità e dell’inefficacia della loro partecipazione e tuttavia in queste condizioni viene meno la
legittimità della rappresentanza e risulta difficile la formazione della maggioranza di Governo. Per quanto riguarda il voto espresso l’estrema frammentazione del quadro politico necessita del ricorso a maggioranze di coalizione che producono inevitabilmente instabilità degli esecutivi; la sola risposta sembra essere la
soppressione, attraverso i sistemi elettorali, delle forze politiche più piccole e la creazione di sistemi bipolari che per funzionare necessitano di leggi elettorali disproporzionali in modo – per dirla con D’Alimonte – da “trasformare la minoranza più grande dei voti in maggioranza assoluta dei seggi”.
E’ stata questa la nobile funzione del “porcellum” e prima di questo del “mattarellum”; sarebbe ancora questa la funzione del sistema elettorale alla spagnola, di quello che assume a modello la legge per l’elezione dei sindaci, nonché di quella che utilizza l’elezione a doppio turno. All’interno di queste “necessità strutturali” si inseriscono poi gli specifici interessi delle diverse forze politiche, interessate a garantirsi il maggior numero
dei seggi attraverso la configurazione dei collegi, il controllo degli eletti, il sistema elettorale adottato nel suo complesso.

I sistemi maggioritari e la dittatura della minoranza

La teoria politica che sostiene l’adozione di un sistema maggioritario ha in Italia un padre nobile, Giuseppe Maranini, del quale il già citato D’Alimonte è allievo e sostenitore, insieme a molti altri. E’ bene ricordare che questo sistema elettorale trovava posto nel programma politico della P2 e di Licio Gelli e nel cosiddetto “Piano di rinascita democratica”. Del resto il Maranini fu fondatore di Alleanza costituzionale, un
movimento di intellettuali che propugnava la lotta contro la partitocrazia, termine da lui inventato e fu fortemente avversato, in particolare, dall’allora Partito Comunista italiano in tutte le sue componenti. Quelle idee e proposte sono oggi diffuse e motivate dalle ragioni richiamate in premessa e che di fatto mostrano la crisi dei sistemi democratici, evidenziata dal venir meno del rapporto “una testa, un voto”. La velocizzazione dei processi decisionali, il paventato bisogno di un esecutivo forte ed efficiente, richiederebbero processi decisionali rapidi e efficacia decisionale, non solo in Italia ma in tutto il mondo. E’ quanto sosteneva Mussolini per giustificare la sua riforma dello Stato è quanto da tempo sostiene una parte consistente del PD che ha in Luciano Violante il suo vessillifero, relativamente alla riforma costituzionale e istituzionale da attuare.
Peccato che l’efficacia e l’importanza dell’attività di governo degli Stati nazionali si riduce sempre più proprio per effetto di quelle stesse forze che sostengono la necessità di riforme istituzionali di tipo dirigistico al punto che, recentemente, il Belgio – ad esempio – ha potuto fare a meno di un Governo e di una maggioranza parlamentare stabile e certa per più di mille giorni, senza alcun danno per l’economia e anzi traendo almeno in parte vantaggio da questo ingorgo istituzionale. La verità è che la tanto invocata stabilità dei Governi e delle maggioranze parlamentari è solo lo schermo dietro il quale una ben individuata lobbie si nasconde per giustificare e legittimare quelli che furono Stati a democrazia parlamentare; l’occupazione delle leve istituzionali assicura lauti guadagni, rendite di posizione e soprattutto il controllo della conflittualità sociale. In
questa situazione, dittatura della minoranza e stabilità si danno mano a vicenda e succede che, grazie al consenso del 25/30 % del corpo elettorale, utilizzando un sistema elettorale all’uopo concepito, un partito o un’alleanza di partiti può legittimare l’occupazione delle istituzioni.
Il gioco entra in crisi la dove si creano – come è avvenuto di recente in Italia – sistemi tripolari, a causa di una per quanto residuale ideologizzazione dell’elettorato e per effetto di complessi fenomeni di distacco dalla politica, causati a loro volta proprio dal distacco tra elettori ed eletti, per cui ancora una volta occorre intervenire sulla legge elettorale per cercare di ricostruire l’equilibrio del sistema.

Le larghe intese e i governi di coalizione

Da molte parti si sostiene che il mancato ricorso a sistemi maggioritari obbliga alle cosiddette larghe intese, ovvero costringe almeno due dei principali attori – schierati magari su posizioni contrapposte – a dar vita a Governi sostenuti da maggioranze sostanzialmente immobiliste e incapaci di dare una qualsiasi soluzione ai problemi. Meglio sarebbe un sistema elettorale che garantisse, grazie al maggioritario, l’alternanza, anche se ad alternarsi sarebbero due schieramenti politici sostanzialmente equivalenti se non uguali nei programmi ma diversi negli uomini e nelle vesti e colori di cui essi si ammantano. Così ragionando si esclude che possa esistere invece un Governo di coalizione, nato su un programma, che, mediando tra opposte posizioni e
interessi cerca e raggiunge un equilibrio tra le diverse forze presenti nella società.
Certamente così operando c’è il rischio di governi fragili, di maggioranze instabili, che comunichino incertezza ai mercati e assumano decisioni tali da rimandare sempre nel tempo, aggravandoli, i problemi. Ma se si guarda a quello che è avvenuto nel nostro paese .ci accorgiamo che la rarefazione del processo decisionale è avvenuta soprattutto nella fase di bipolarismo del sistema elettorale che ha caratterizzato la cosiddetta II Repubblica. Malgrado grandi maggioranze assembleari niente vi è stato di più instabile e questo perché gli interessi presenti nella società si coalizzano e coagulano all’interno dei diversi schieramenti. Il solo modo per controllarli e contenerli è invece quello di renderli espliciti e palesi di fronte all’elettorato.
Ne discende che la soluzione al problema va forse cercata nell’adozione di altri e diversi strumenti che consentano di allargare la base di partecipazione al sistema politico, piuttosto che restringerla, affidandosi alla forza che controlla la maggioranza relativa dei voti espressi, rinunciando alla finzione operata attraverso i sistemi elettorali maggioritari e dotati di premio di maggioranza, di contenimento di interessi che comunque esistono..

La partecipazione come strumento di costruzione della dialettica di Governo

La critica che da sempre il comunismo anarchico sviluppa verso i sistemi elettoralistici borghesi riguarda la natura stessa dello Stato che si configura, anche grazie alle soluzioni adottate in materia di rappresentanza, come il comitato d’affari di quella minoranza che, come abbiamo visto, ne legittima artificialmente il potere. A questo sistema degenerato di democrazia i comunisti anarchici contrappongono la partecipazione che si esprime non solo attraverso gli organismi intermedi, costituiti dalle strutture locali e territoriali di Governo (quali, ad esempio, Comuni, Regioni, Dipartimenti, Amministrazioni autonome, Stati regionali o federali ecc) ma anche attraverso la presenza di una rete di strutture che la Costituzione italiana del
1947 identifica con il nome di formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell’individuo. Intendiamo con ciò riferirci non solo a istituzioni, sindacati o associazioni volontarie, ma a comitati di quartiere o aggregazioni nate su un problema o una vertenza sul territorio o in un luogo di lavoro, che ha prodotto lotte sociali, a organismi frutto della spontaneità e della creatività che ogni società esprime.
Ciò significa in concreto che le modifiche istituzionali devono prioritariamente riguardare i processi di rappresentanza e che quindi devono essere previste istanze sul territorio e nei luoghi di lavoro nelle quali eletti ed elettori, delegati e deleganti si confrontino, utilizzando un processo dialettico alla fine del quale i delegati devono sottomettersi alle richieste e alle istanze di chi li ha designati. Queste forme di partecipazione esistono
già e sono sperimentate in alcuni paesi, come in Francia, ad esempio a proposito della realizzazione di interventi a grande impatto ambientale.
Devono essere messi a punto organismi e strumenti istituzionali che assicurino efficacia ai pronunciamenti popolari. E’ certamente uno scandalo anche a livello istituzionale e soprattutto uno stravolgimento della volontà degli elettori l’azione sistematica delle istituzioni della destrutturazione dei risultati referendari sull’acqua, settore nel quale si assiste alla progressiva privatizzazione di un bene primario a dispetto e contro gli orientamenti assolutamente maggioritari espressi dal corpo elettorale. Così
operando non solo si distorcono gli orientamenti degli elettori ma si mina profondamente la loro fiducia nelle istituzioni della comunità.
I comunisti anarchici sanno bene che il luogo nel quale si vivono, si esercitano, si godono i diritti è il territorio e che quindi la partecipazione va assicurata nella scuola, nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, nel quartiere, dando voce agli interessi reali di coloro che ci vivono. In questo modo il comunismo anarchico vive lo Jus soli, ovvero il diritto che si acquisisce nascendo e vivendo su in territorio e realizzando su di esso e in
esso quella fitta rete di relazioni fatta di scambio economico e esperienziale che costituisce la modalità di elaborazione di valori sociali, di cultura di civiltà.
E’ questo il momento per avanzare questo tipo di rivendicazioni e di richiesta se siamo consapevoli che le vertenze vanno avviate quando si creano le condizioni strutturali e le condizioni economiche perché le innovazioni proposte abbiano successo. Rafforzare gli strumenti di governo sociale sul territorio anche in contrasto e in funzione di contropotere verso i livelli istituzionali di rappresentanza non è solo un nostro
obiettivo ma anche quello di chi nei diversi paesi europei spinge per il superamento delle istituzioni nazionali statali nella direzione di dar vita a nuove istituzioni e a una effettiva unione dell’Europa. Approfittiamone, sia pure con diversi fini che sono per noi una effettiva giustizia sociale, la lotta alla povertà e alla marginalizzazione degli individui, un lavoro dignitoso, la gestione sociale del territorio e delle istituzioni, la
partecipazione al confronto politico.
Partire da questo diverso approccio significa che il primo problema di una nuova legge elettorale è costituito da come si rende possibile agli elettori deleganti il controllo degli eletti/e delegati e quindi da come si consente l’esercizio del diritto di revoca della delega conferita ad un eletto/a nel caso in cui venga meno al mandato ricevuto, e questo senza attendere la fine dell’intera legislatura per destituirlo/a poiché ciò
significherebbe conferire una delega assoluta a sviluppare i propri affari, in spregio e contro l’interesse collettivo.
Una prima soluzione è data dal continuo, necessario e obbligatorio confronto tra le diverse forze in campo, dall’esistenza di una dialettica sociale costante che aborrisce nel modo più assoluto e radicale la stabilità, la quale se rassicura le classi dominanti, i mercati e i percettori di vantaggi dell’organizzazione economica della società, inocula tossine e virus mortali alla vita sociale e alla creatività sociale complessiva, degradando non solo il livello degli scambi economici, ma uccidendo la mobilità sociale tra classi
e ceti; ciò deprime insieme economia, vita sociale e fruizione dei diritti. Anche e soprattutto questo significa uscire dalla crisi: costruire una società diversa.

Gianni Cimbalo