Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali dell’Unione Europea si è pronunciato sulla legittimità del contratto a “tutele crescenti” introdotto dal Jobs Act per violazione dell’art. 24 della Carta Sociale Europea.
Così l’istituto cardine della riforma renziana del mercato del lavoro è stato ritenuto configente con il diritto dell’Unione; la strategia di predeterminare e limitare al massimo i costi degli abusi perpetrati in danno dei lavoratori, esce clamorosamente sconfessata dal primo organismo europeo che ha avuto modo di pronunciarsi sui suoi
contenuti.
La norma in vigore in Italia dal 7 marzo 2015 ha abrogato per tutti i nuovi assunti l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (e cioè la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo), sostituendolo con una modesta indennità risarcitoria: da un minimo di quattro a un massimo di ventiquattro mensilità, agganciate semplicemente all’anzianità (due mensilità ogni anno di servizio). L’indennità in questione era stata poi aumentata dal cosiddetto “decreto dignità”, passando così a sei mensilità nel minimo e trentasei nel massimo: misura del tutto insufficiente, non soltanto perché non aveva rimesso la reintegrazione al centro del sistema sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, ma anche dal punto di vista della adeguatezza economica del risarcimento.
Al lavoratore vittima di un licenziamento illegittimo, secondo il Comitato, va assicurato il risarcimento integrale dal danno subito, senza limiti di sorta: solo così il sistema sanzionatorio può essere considerato veramente dissuasivo per i datori di lavoro rendendo finanziariamente gravoso il licenziamento e coerente la tutela con la
normativa europea.
Le decisioni del Comitato Sociale Europeo, pur non essendo esecutive nel nostro ordinamento, stigmatizzano l’illegittimità della norma vigente.