ELEZIONI REGIONALI

Nel prossimo mese si svolgeranno le elezioni regionali in Calabria e Emilia Romagna.
In Calabria il voto si svolge in una Regione sconvolta da una maxi inchiesta sulla ‘ndrangheta o almeno su alcune delle sue cosche e, al momento, non è chiaro quando e come questo orienterà il potere condizionante del voto mafioso.
La destra ha scelto di candidare la vice sindaco di Cosenza e coordinatrice regionale di Forza Italia, alla ricerca di un ruolo nella prospettiva della liquefazione del suo partito. Con questa scelta viene però scaricato l’attuale sindaco della stessa città, architetto, che ha inciso sulla gestione urbanistica del territorio lasciando però il deserto intorno e che fortemente sostenuto negli ambienti ecclesiastici aveva già creato propri comitati elettorali. Pertanto non è escluso che mantenga la candidatura come indipendente. Altrettanto complessa la situazione a sinistra, dove l’accordo per la candidatura è stato
raggiunto su una personalità “civica” quella dell’industriale Callipo, industriale. Tuttavia l’attuale Presidente di Regione, proveniente dal PD è deciso a ricandidarsi ed ha creato una propria rete di sostegno, con la difficoltà che il suo uomo addetto all’organizzazione è stato colpito da un provvedimento di divieto di dimora in Calabria emesso nell’ambito della citata inchiesta.
Si potrebbe dire che i due aspiranti a un’auto candidatura hanno ambedue la rogna, per essere oggetto di inchieste e provvedimenti giudiziari che sono serviti a impedire la loro ricandidatura da parte dei rispettivi schieramenti, ma questo non è sufficiente ad escluderli dalla competizione elettorale. Questo perché, malgrado le inchieste giudiziarie le ‘ndrine della piana di Gioia Tauro, legate agli agrari, sono ancora intatte e la criminalità organizzata condiziona l’area ionica intorno a Cassano.
E dire che in occasione delle ultime comunali si era sviluppato a Catanzaro un interessante movimento di giovani di sinistra che ha messo fortemente in difficoltà la destra e il Pd locale, sfiorando il successo, Una valutazione più attendibile di quello che può succedere potrà essere fatta dopo il 28 dicembre quando scadrà il termine per la presentazione delle candidature, perché è evidente che la divisione all’interno di uno solo dei due schieramenti indebolirà quello avverso mentre la frammentazione di quattro candidati lascia estremamente incerto il risultato.

La proposta dell’usato sicuro

Il Governatore uscente in Emilia Romagna ha impostato la propria campagna elettorale all’insegna della parola d’ordine “scegli l’usato sicuro”, puntando sui risultati positivi dell’azione di governo nell’attuale mandato e sulla tradizionale buona amministrazione della Regione. In effetti la sanità funziona e così l’economia; il tasso di disoccupazione è basso e la qualità della vita è buona, e così dicasi della sicurezza. Muovendo da questi dati di fatto, ricandidandosi, a supporto della sua posizione, Bonaccini ha rifiutato il simbolo del partito (PD), si è contornato di liste di sostegno; ha incontrato tutti i sindaci
della Regione, di qualsiasi colore politico; ha cercato di escludere la Regione dagli scontri della politica nazionale, giocando sul fatto che a candidarsi contro di lui era direttamente il segretario della Lega che fa politica nazionale e sostiene una candidata inconsistente, assolutamente incapace, reclutata nei centri sociali come il suo mentore, ignorante conclamata per aver dichiarato di non avere memoria dell’ultimo libro letto, lei sottosegretaria alla Cultura, ben conosciuta dai bolognesi che ascoltano i suoi interventi demenziali in Consiglio Comunale e ne ridono di gusto (i dibattiti sono trasmessi in diretta su radio Città del Capo e molto ascoltati).
A giocare contro questa strategia non solo la propaganda leghista, ma la scesa in campo del movimento delle sardine che, mentre la Lega radunava le proprie truppe anche provenienti da fuori regione per riuscire a riempire PalaDozza (6.500 posti) e i governatori di Veneto e Lombardia si presentavano come i liberatori degli emiliano romagnoli, facendoli incazzare, se non altro che per spirito campanilistico, a Bologna scendevano in piazza in almeno in 13.000 dando vita a un movimento a livello nazionale. La performance si ripeteva puntualmente nelle città della Regione e così la competizione elettorale, già
considerata come la battaglia sull’ultima trincea della sinistra contro la Lega montante, si trasformava irrimediabilmente, assumendo significati politici nazionali.
Nel momento nel quale scriviamo la situazione è quanto mai incerta perché il Governatore uscente ha scelto di parlare ai ceti medi che anche in questa Regione scarseggiano. La Lega da parte sua è penetrata nei piccoli paesi, diffondendo paura e rifiuto preconcetto dell’emigrazione. Ha largamente infiltrato la bassa padana (provincia di Ferrara e Forlì), minaccia il ravennate e trova udienza nella fascia appenninica. Agli abitanti della Regione nessuno ha spiegato che senza gli immigrati gli allevamenti intensivi di pollame, maiale e bovini non funzionerebbero in un’area dove scarseggiano perfino i casari che lavorano il parmigiano, certamente ben pagati, sostituiti da immigrati pachistani.
Al Governatore restano le città è i grandi centri dove il nemico è la voglia di cambiamento, dovuta alla presenza di una macchina burocratica pesante, efficiente, ma senz’anima, senza una motivazione ideale che si vede arrivare addosso le politiche criminali nazionali di attacco ai diritti, alle condizioni di lavoro e di vita delle classi subalterne, senza che si riesca a fare una sola cosa di sinistra.
Nella sue arroganza il Governatore uscente non ha voluto aprirsi nemmeno a un confronto sull’autonomia, andando a rimorchio di Lombardia e Veneto, cedendo anche sulla regionalizzazione del sistema scolastico, tematica sulla quale la popolazione regionale è molto sensibile, prova ne sia che una lista di sinistra nata in appoggio al governatore si autodefinisce, per coscienza di se, “i coraggiosi”, forse a voler significare che a votarlo ci vuole coraggio e che per farlo bisogna proprio tapparsi il naso. Succede così che il governatore uscente perde non solo i voti dei 5 stelle accreditati all’8% ma anche quelli di Potere al popolo accreditati al 3,5 % una perdita che potrebbe fare la differenza.

G.C