ILLUSIONE ELETTRICA

Premessa

La storia degli autoveicoli non è esente da misteri, non molto misteriosi per la verità, ma di cui si tende a non parlare. Nella seconda metà del XIX secolo i veicoli a propulsione autonoma hanno conosciuto un rapido fiorire di svariate invenzioni e multiformi possibilità di alimentarli. Già all’epoca oltre al motore a combustione interna (alimentato a benzina, alcool, gasolio) venivano sperimentati motori ad idrogeno, a vapore, ad elettricità. Alcune di queste alternative allora cadute nel dimenticatoio, conoscono negli ultimi tempi un rinnovato interesse. Sta di fatto che negli anni della prima guerra mondiale la scelta industriale (Ford, FIAT) cadde sul motore a benzina ed in seconda battuta sul motore Diesel a gasolio. Non c’era alcuna preminenza scientifica dei due sistemi rispetto alle altre possibili scelte, che anzi il rendimento energetico del motore a scoppio non è certo brillante. Non è quindi fuori contesto supporre che le cointeressenze dei signori dell’emergente mercato degli idrocarburi (Rockfeller) abbiano giocato un ruolo non secondario nel determinarsi di questa scelta che ha segnato per un intero secolo lo sviluppo degli autoveicoli e la ricerca con questo sviluppo correlata.

L’imbroglio verde

Già negli anni novanta l’industria dell’auto, complici le istituzioni, hanno perpetrato un’autentica truffa ai danni dei consumatori, facendosi scudo di una parola d’ordine ecologista e battezzando impropriamente “verde” il nuovo carburante. Fino ad allora l’antidetonante utilizzato per evitare inneschi indesiderati dannosi per il motore era principalmente il “piombo tetraetile”. Questa presenza ha giustificato il pesante attacco alla “benzina rossa” ad ottani, per la tossicità del piombo, la cui eccessiva assunzione provoca molti danni alla salute e in ultima analisi il saturnismo; in verità il piombo è un elemento pesante e i fumi provenienti dai tubi di scappamento lo depositavano sul suolo in un raggio di 8 metri. Occorre precisare che gli antidetonanti presenti nella “verde” fanno parte del ciclo del benzene ed i prodotti aromatici sviluppati nella combustione e espulsi dalle automobili, essendo molto leggeri, non si depositano, ma si diffondono nell’aria. Per ovviare al problema le nuove auto imposte negli anni novanta del secolo scorso dall’Unione Europea vengono dotate delle “marmitte catalitiche, le cui prestazioni la tecnologia continua a migliorare; resta il fatto che le marmitte catalitiche iniziano a funzionare sopra una temperatura di 400 C, cioè ad una velocità costante più elevata di quella consentita nelle città, il che apre una finestra molto inquietante circa gli effetti sulla salute, dato che i prodotti aromatici sono cancerogeni. Ma le marmitte catalitiche presentano ulteriori problemi, perché quando sono esauste vengono classificate quali rifiuti speciali ad alto inquinamento ed il loro smaltimento è tuttora un problema irrisolto [1]. Infine per produrle si utilizzano due metalli molto rari: il rodio ed il palladio. I giacimenti sia del primo che del secondo si trovano in Sudafrica (che ne produce l’80%), ma mentre il prezzo del rodio è rimasto nell’ultimo decennio praticamente costante, quello del palladio è in costante crescita (segno di penuria dell’offerta): nel solo 2017 è cresciuto del 55% [2].

Si fa presto a dire elettrico

Attualmente la frontiera è un’altra: passata l’era degli Euro-1, Euro-2, etc. fino al nuovissimo Euro-6.2, nell’immaginario collettivo il futuro è l’auto elettrica. Molte grandi città europee annunciano che tra pochi anni il loro territorio potrà essere percorso solo da auto elettriche, nella prospettiva di rendere auto storiche quelle alimentate dal gasolio o dalla benzina verde, come nel corso di due decenni fa è accaduto alle auto alimentate con la benzina ad ottani. In questo caso è ovvio che dal punto di vista dell’inquinamento cittadino non si tratta di una nuova truffa: le auto elettriche non produco gas di scarico e quindi garantiscono effettivamente l’assenza d’inquinamento nell’aria che respiriamo; ciò è comunque vero per il metano. E per questo, con facile assimilazione del messaggio, sembrano tutti d’accordo sulla loro generalizzazione; tutti, proprio tutti. Ma è tutt’oro ciò che riluce? È chiaro che l’introduzione dei veicoli elettrici comporta un rapido ricambio dell’intero parco macchine, con evidenti benefici per l’industria dell’automobile, che vede in declino il settore del diesel ed è quindi in cerca di altri settori su cui basare le prospettive di crescita. Se ciò fosse solo un portato di un beneficio comunque generalizzato non sarebbe un problema. Ma siamo veramente sicuri che l’auto elettrica sia davvero la soluzione finale ai problemi dell’inquinamento ambientale e sociale?

L’elettricità non cresce sugli alberi

L’energia elettrica non esiste in natura, se non sotto forma di fenomeni incontrollabili. Per averla in forma utilizzabile occorre produrla, facendo uso di altre fonti di energia primarie. Ciò conviene perché l’energia elettrica è molto versatile nelle possibilità di produrre effetti adatti alle esigenze ed è facilmente trasportabile. Poiché nel produrla in generale una gran parte dell’energia primaria viene sprecata [3] e visto che essa è così pregiata, conviene utilizzarla solo quando è assolutamente necessario.
Quanto fu dissennata la scelta che la Francia operò negli anni settanta puntando sul “tutto elettrico” e che ora sta pagando amaramente! Nel secolo trascorso la tendenza prevalente era quella di produrre l’energia elettrica in impianti di taglia via via crescenti, allontanando pertanto i luoghi della sua produzione da quelli del suo consumo, con un aggravio delle perdite da trasporto, cui si è ovviato in parte aumentando il voltaggio delle linee di trasmissione fino ad 1 GV. Ne sono scaturite ai margini delle città gli impianti di trasformazione del voltaggio, per riportarlo dopo vari passaggi a quello adatto all’utilizzo industriale e domestico, con ulteriori perdite; in Italia nella distribuzione dell’energia elettrica si perde oltre il 6% della produzione. Da tutto ciò discende che la prospettiva di ricaricare giornalmente i veicoli per poterli poi utilizzare, indipendentemente a dove essi vanno collegati per assorbire energia elettrica, comporta un forte aumento della produzione; a meno che il fabbisogno non venga soddisfatto facendo un ricorso sempre più massiccio a fonti rinnovabili e poco inquinanti (ogni tipo di produzione produce, comunque, uno squilibrio, seppur piccolo, dell’ecosistema), non può che trasferire altrove, fuori dalle città, le produzioni nocive con un effetto di ritorno ineluttabile. Non è il caso di scomodare l’effetto “farfalla”, ma è ovvio che inquinare porzioni di territorio non è privo di effetti nei luoghi limitrofi ed anche oltre di essi.

Che ne sappiamo delle batterie?

Venendo all’auto elettrica è del tutto evidente che per avere una certa autonomia essa necessita di un parco di batterie in grado di assicurargliela. Il peso di questi banchi di batterie è elevatissimo, anche se la tecnologia è al momento simile a quelle, molto meno ingombranti, che abbiamo in tutti i nostri apparati elettronici, a partire dai cellulari e dai computer portatili; si tratta delle batterie agli ioni di litio. Per produrle si utilizzano oltre al litio, altri minerali di cui alcuni non molto presenti in natura: cobalto, nichel, manganese e terre rare. Il loro crescente utilizzo nell’industria elettronica li ha resi materiali strategici, per i quali è in corso una vera e propria corsa a controllarne l’approvvigionamento, corsa in cui la Cina è impegnata senza esclusione di colpi[4]; su di essi si basa gran parte della strategia geopolitica delle grandi potenze economiche. Vediamo in dettaglio questi elementi.
Litio: Circa l’85% del litio proviene dal triangolo andino (Bolivia, Argentina e Cile), in particolare dalla Bolivia; altre riserve si trovano in Australia e Asia [5]. Il litio non è, comunque, troppo scarso ed il suo prezzo nel 2018 è calato del 15%, dopo essere più che raddoppiato nel 2017. Il suo utilizzo nella produzione di batterie non è esente da rischi [6] e quest’ultime possono persino esplodere, particolarmente in caso di incidente [7]. C’è da aggiungere che l’estrazione del litio provoca dissesti economici e sociali, come evidenzia il caso della grande miniera di Antofagasta in Cile [8].
Cobalto: Non è certo un caso se le nuove ricerche sulle batterie cercano di trovare soluzioni per evitare la necessità di utilizzare il cobalto [9]. Il maggior produttore di Cobalto è il Congo (Kinshasa), seguito dallo Zambia. Il suo prezzo nel corso dell’ultimo anno è sceso del 61%, tornando ai livelli del 2017. Questo non deve ingannare: il calo del prezzo è dovuto ad un sovraccarico speculativo che si è esaurito[10], ma il materiale rimane strategicamente importantissimo. Il problema è che la sua estrazione nei paesi africani comporta situazioni disumane di sfruttamento, di bambini in particolare [11].
Nichel: Altro elemento essenziale per le batterie agli ioni di litio è il nichel, che vede i suoi giacimenti dislocati principalmente in Canada, Australia, Indonesia, Russia e Filippine. Nonostante la crescente richiesta per le batterie e nonostante le Filippine abbiano chiuso 17 miniere, nel 1917 il prezzo del nichel si è ridotto del 10% a causa del calo della domanda cinese che ha abbassato la propria produzione di acciaio [12]. La chiusura delle miniere filippine risponde al deterioramento delle condizioni ambientali e al forte impatto sulla salute dei lavoratori che l’estrazione e la lavorazione del nichel comporta [13].
Manganese: Il manganese viene prodotto principalmente in Sud Africa, Australia e Cina. Attualmente la crescente richiesta può essere soddisfatta a prezzi sostanzialmente stabili; però già si pensa a sfruttare i giacimenti presenti nelle profondità marine, del Pacifico in particolare, l’operazione che può generare un grave dissesto dell’ecosistema del mare [14]. Per di più studi recenti dimostrano che il manganese è neurotossico [15].
Terre rare: Si tratta di 17 elementi della Tavola di Mendeleev, non esistenti in natura. Alcuni di essi ad esempio: Neodimio. Praseodimio. Gadolino. Cerio. Ittrio. Disprosio. Europio. Lantanio sono fondamentali per la produzione delle batterie ricaricabili agli ioni di litio. La frontiera è recuperare questi elementi dalle batterie esauste, problema non facile da risolvere su grande scala, perché il loro approvvigionamento dipende pressoché totalmente dalla Cina, che ne produce il 97% del totale mondiale [16]. La guerra commerciale con gli Stati Uniti, che ha coinvolto il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei, non riguarda soltanto lo sviluppo dei sistemi informatici di ultima generazione (5G), ma anche questi materiali strategici. Le ricerche per sfruttare i giacimenti di manganese sui fondali oceanici, che contengono anche le terre rare sono un’altra strada per affrancarsi dalla dipendenza dalla Cina.

L’ibrido

Le auto ibride presentano un impatto meno pesante di quelle elettriche, attenuando alcune caratteristiche negative del “tutto elettrico”, ma, nel contempo, non azzerano le emissioni nelle città. Prima di tutto l’ibrido non abbisogna di ricarica elettrica dalla rete elettrica, producendo l’energia elettrica in proprio. Consente un utilizzo più efficiente dell’energia primaria, perché ricarica le batterie anche in fase di frenata recuperando energia meccanica altrimenti dispersa. Poiché l’autonomia dei veicoli non è delegata esclusivamente alle batterie, il banco di accumulatori necessario è più piccolo, diminuendo il fabbisogno degli elementi sopra descritti; ciò attenua i problemi considerati, ma non li azzera. Nel complesso si può dire che le auto ibride sono un compromesso tra i veicoli tradizionali e l’abbaglio della conversione totale all’elettrico, che vede l’energia elettrica come pulita, nella scotomizzazione dei problemi legati alla sua produzione ed alla sua distribuzione.

Città pulite a quale costo

Tirando le somme di quanto detto, certamente con la diffusione dei veicoli elettrici l’aria che respireremo nelle nostre città sarà sicuramente più pulita, ma con quali conseguenze altrove. Sposteremo in aree diverse l’inquinamento necessario a produrre l’energia elettrica, aree che nel caso di territori densamente popolati e quindi privi di zone lontane e desertiche, sono comunque non troppo lontane dai centri abitati. L’incubo nucleare si sta allontanando lentamente, ma basta ricordare che la nube generata dall’incidente di Cernobyl è giunta fino all’Umbria e che un eventuale incidente al Super-Phénix di Creys Malville, nella valle del Rodano avrebbe interessato tutto il nostro paese e gran parte dell’Europa. Ma anche altre fonti di energia utilizzate per produrre quella elettrica sono nocive all’ambiente e persino l’idroelettrico ha prodotto il disastro del Vajont. Scarso impatto ambientale hanno fotovoltaico ed eolico, ma abbisognano degli stessi materiali sopra trattati. E questo è l’altro punto dolente, scarsamente preso in considerazione. L’approvvigionamento di quegli elementi comporta disastri ambientali, convulsioni sociali, sfruttamento esasperato della manodopera, spesso minorile, nocività per i lavoratori nelle fasi di estrazione e di trattamento. Tutto ciò a scapito soprattutto dei paesi del terzo mondo. In altri termini, i più diseredati, pagheranno il prezzo della nostra “aria pulita”; ma noi siamo ricchi e loro poveri e ciò conforta il nostro sistema economico, basato sull’egoismo, un egoismo di cui raramente ci rendiamo conto. Ma c’è un ulteriore problema: la scarsità di quei materiali e la loro rilevanza strategica genera conflitti al momento solamente commerciali, ma che, come sempre, non tarderanno a sfociare, in scontri apertamente militari, sovrapponendosi a quelli in corso o in fieri per petrolio e gas naturale.  Con l’aggravante che la Cina sta rapidamente impossessandosi di molti degli elementi strategici, ove già non ne possegga in proprio il quasi monopolio; prima o poi il collo di bottiglia della loro scarsità, unita ad una domanda crescente e strategicamente essenziale, accenderà una scintilla di difficile controllo. Cullandoci sul sogno di un’aria tersa, stiamo sedendoci su di una miccia accesa e nel frattempo ributtiamo sui meno tutelati le scorie nocive del nostro benessere.

[1] Cfr.: https://www.automoto.it/news/motori-e-inquinamento-oggi-la-marmitta-catalitica-iii-parte.html
[2] Cfr.: https://www.metalli-preziosi.it/it/15-metalli/282-il-metallo-pi%C3%B9-prezioso-il-rodio.html
[3] Nelle tradizionali centrali termoelettriche, ad esempio, circa il 66% dell’energia termica viene dispersa nell’ambiente, il 60% nelle centrali nucleari. Altre forme di energia primaria (sole, vento, geotermia etc.) hanno perdite molto inferiori o quasi null3. Un altro problema sono le perdite dovute al suo trasferimento da luogo a luogo.
[4] https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-03-26/la-corsa-cinese-litio-e-cobalto-dominare-ciclo-batterie-211122.shtml?uuid=AErGa8vD&refresh_ce=1.
[5] http://www.informazionefacile.it/2017/05/07/litio-la-geografia-dei-giacimenti-franco-guarino/.
[6] https://www.prevor.com/it/batterie-agli-ioni-di-litio-un-pericolo-chimico-dentro-le-nostre-auto.
[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Accumulatore_agli_ioni_di_litio.
[8] https://www.global2000.at/sites/global/files/Impatti%20Nascosti_IT.pdf, pp.12-13.
[9] http://www.rinnovabili.it/mobilita/auto-elettriche-tesla-senza-cobalto/.
[10] http://www.metallirari.com/sorpresa-prezzi-cobalto-scendono/.
[11] https://www.lifegate.it/persone/news/bambini-congo-miniere-cellulari; https://www.ilpapaverorossoweb.it/article/morire-di-cobalto-accade-congo-colpa-delle-multinazionali: “Per più di un decennio l’estrazione di queste risorse è stata collegata a conflitti, violazioni dei diritti umani e corruzione. Nella provincia meridionale del Katanga, le vite delle persone sono state distrutte a causa delle operazioni di estrazione. Piccoli minatori, anche di 6-7 anni d’età, lavorano in condizioni spaventose, subiscono detenzioni arbitrarie, percosse, maltrattamenti o addirittura la morte per mano della polizia o del personale di sicurezza delle miniere. Intere comunità sono state sfrattate dalle zone minerarie.”
[12] http://www.metallirari.com/come-stato-2017-per-nichel/.
[13] https://www.greenme.it/muoversi/auto/24835-auto-elettriche-miniere-nichel.
[14] http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/le-miniere-marine-di-profondita-causano-danni-a-lungo-termine-allecosistema/
[15] https://www.evolutamente.it/manganese-nellambiente-neuro-tossicita/.
[16] http://www.occhidellaguerra.it/quale-sara-petrolio-del-futuro-lo-controllera-avra-mondo/; https://www.corriere.it/scienze/12_giugno_12/terrerare-riciclo-ostaggio-cina_b278c63e-b3e3-11e1-a52e-4174479f1ca9.shtml.