A CINQUANT’ANNI DAL ’68
Cinquanta anni fa i giovani di molti paesi del mondo, dell’est e dell’ovest, scesero in piazza per produrre uno straordinario movimento di massa che rimise in discussione valori e assetti maturati nei 25 anni di pace seguiti alla seconda guerra mondiale.
In occidente un relativo benessere aveva fatto crescere il numero di giovani tra la popolazione: per la prima volta si trattava di uomini e donne, impegnati nello studio, anche se coloro che provenivano da famiglie operaie e contadine erano appena il 3% . Tuttavia, malgrado un relativo benessere, le prospettive di occupazione sembravano diminuire e si acquistava consapevolezza che lo studio costituiva un’area di parcheggio per le future generazioni, anche per i giovani provenienti dalle famiglie borghesi
L’Università e la scuola erano gestite in modo autoritario e padronale e si avvertiva con nettezza il contrasto fra i valori (borghesi) propagandati: importanza della cultura, della conoscenza, il valore dell’onestà e della correttezza e la pratica invece delle clientele, del nepotismo, dell’assenza di mobilità sociale.
In oriente, nell’altra parte del mondo, un partito onnipresente al potere dominava la vita di tutti e dentro di esso si era formata una classe burocratica che di fatto costituiva l’equivalente della società borghese e perbenista d’occidente. In Cina vi fu chi capì queste cose e decise di utilizzare i giovani per consolidare il proprio potere e scateno la “Rivoluzione Culturale”. In altri paesi ci fu chi si illuse che la narrazione borghese della società libera fosse meglio della “dittatura del proletariato” e si ribello come a Praga.
Nelle periferie del mondo i piccoli popoli oppressi combattevano contro le grandi potenze e come la rivoluzione popolare aveva trionfato sulla criminalità organizzata di Batista a Cuba, in Vietnam un piccolo popolo combatteva contro il grande esercito degli Stati Uniti, utilizzando contro la diossina che corrodeva i corpi e le piante, il sapone di Marsiglia; scavava tunnel sotto terra e insorgeva contro il potente invasore.
Sembrava che tutto il mondo si muovesse e si ribellasse, sembrava che fosse giunto il momento per l’umanità di fare un passo in avanti e così si cominciò dalle piccole cose, dall’indignarsi, dalla vita quotidiana, dal rimettere in discussione le relazioni personali e di genere, insieme ai rapporti di classe e di censo. Si iniziò a percorrere una strada all’insegna dell’azione diretta, del coinvolgimento di ogni persona, mettendo in discussione il principio di autorità. Ci si vergognava della bandiera nazionale in nome dell’internazionalismo e della solidarietà tra i popoli; si aborrivano le divise in quanto espressione dell’autorità; la parola patria faceva vergognare tutti, pensando al colonialismo, all’oppressione dei paesi poveri, allo sfruttamento delle colonie che continuava malgrado si parlasse di decolonizzazione.
I padroni avevano paura, non capivano; a loro sembrava incomprensibile che parte dei loro figli si ribellasse e allora tentarono di zittirli con la violenza. Non capivano che si trattava di una rivolta, di un sollevamento politico, ma anche altamente morale, all’insegna della solidarietà, tanto che, dopo la fase della ribellione, dell’indignazione, iniziarono le azioni positive: doposcuola per i bambini delle periferie, solidarietà agli operai, attenzione alle fabbriche e al territorio, no all’energia nucleare, esempi concreti di democrazia diretta e di autogestione delle lotte, lotte per la casa, lotte nei quartieri e sul territorio, ed altro, altro ancora…
Poi il bisogno tutto borghese, tutto padronale prevalse: ci fu chi teorizzo che c’era bisogno di una intelligenza politica che guidasse il processo per che fosse rivoluzionario e cosi venne il partito, e il partito si autodefinì l’avanguardia e si diede i cani da guardia, che ricorsero alla lotta armata….
Ma questa è un’altra storia che con il ’68 non ha nulla a che fare!