Il pantano afgano

Venti anni dopo l’invasione dell’Afghanistan le truppe USA e quelle della NATO lo abbandonano precipitosamente; la ritirata, come in tutte le sconfitte, avviene in disordine. Venti anni dopo l’invasione dell’Afghanistan le truppe USA e quelle della NATO lo abbandonano precipitosamente; la ritirata, come in tutte le sconfitte, avviene in disordine. La guerra è costata migliaia di morti, soprattutto alla popolazione civile e migliaia di persone, soprattutto bambini, sono stati dilaniate dalle bombe seminate ovunque. Non è un caso che chi ha voluto fare qualcosa di buono per il paese si è prodigato a curare i feriti di ogni parte negli ospedali messi su con determinazione,
come ha fatto il compianto Gino Strada. Gli USA hanno investito nella guerra oltre 2.200 miliardi di dollari, (all’Italia 8,4 miliardi di euro), hanno ammassato armi tecnologicamente tra le più avanzate che il cosiddetto esercito ”regolare” ha ceduto senza colpo ferire ai talebani, ma hanno fallito soprattutto nel trasformare l’economia del paese, incidendo così sulle cause del conflitto, preferendo barcamenarsi in alleanze con questa e quella fazione di trafficanti di oppio, posto che la coltivazione dei papaveri, il commercio dell’oppio, hanno continuato a prosperare ed anzi i mercanti afghani si sono emancipati dotandosi di laboratori per la raffinazione in proprio divenendo esportatori anche di eroina.

La struttura dell’Economia afghana

In Afghanistan la coltivazione dell’oppio ha una grande importanza economica. Nel paese viene prodotto oltre il 90% dell’eroina mondiale, come emerge dal report dell’ufficio droghe e crimine dell’Onu. “Questo significa che i talebani – spiega Saviano sul Corriere della Sera – assieme ai narcos sudamericani, sono i narcotrafficanti più potenti e ricchi del mondo. Negli ultimi dieci anni hanno iniziato ad avere un ruolo importantissimo anche per l’hashish e la marijuana”.
Dalla coltivazione dell’oppio dipendono centinaia di migliaia di contadini afghani. Per gestirne la produzione non sono necessarie particolari attrezzature: il prodotto si lavora facilmente e i panetti semi essiccati sono trasportabili facilmente ai laboratori di trasformazione in eroina, disseminati sul territorio controllato dai talebani che li gestiscono e che commercializzano un prodotto acquistato prima di essere coltivato.
I contratti agrari vigenti nella regione dell’Helmand e nel sud del paese, dove si trovano le coltivazioni, seguono uno schema perfetto: il raccolto viene acquistato alla semina dai contadini, che si vedono garantito il raccolto e ricevono in tal modo i finanziamenti necessari per l’acquisto delle sementi. Si crea così un indebitamento che li vincola a continuare a produrre oppio se non vogliono fallire e continuare a vivere.
Viene da pensare che basterebbe usare gli aerei per spruzzare diserbante sulle coltivazioni: gli americani sono specialisti in questo lavoro, basti pensare a quello che hanno fatto in Vietnam. Ma questa operazione avrebbe prodotto un’esplosione di povertà, generando rabbia e perdita di consenso. Ne avrebbe guadagnato la guerriglia, rafforzando il consenso di cui gode sul territorio. Ebbene gli Usa e la NATO non hanno fatto nulla per spezzare questo circolo vizioso. Solo tentativo quello del contingente italiano che ha cercato per un certo periodo di introdurre la coltivazione dello zafferano che è più redditizio dell’oro,visto che il suo prezzo al grammo oscilla fra i 35 e i 60 euro. Risulta inoltre che l’UNODC a Jalalabad stesse sperimentano la produzione dell’olio essenziale di rosa. Ma il paese è privo di strutture di supporto sia commerciali che di trasporto per l’agricoltura che avrebbero permesso anche di commercializzare la grande produzione di frutta; per farlo sarebbe stata necessaria la collaborazione iraniana per l’accesso al mare, evitando il ricatto pakistano, ma i rapporti degli USA con l’Iran sono noti. Così l’oppio continuerà a vincere Altrettanto miope e inefficace la politica relativa al potenziamento delle attività estrattive. Da circa un decennio, si sa che il Paese è ricchissimo di risorse naturali, dall’uranio al litio, ferro, rame, cobalto, oro,
europio, tellurio: tutti minerali preziosi, fondamentali per lo sviluppo industriale ed economico. L’Afghanistan è uno dei depositi di risorse naturali più ricchi al momento conosciuti; così ricchi da poterlo trasformare nel più importante centro minerario del mondo. Ebbene, solo la Cina lo sta sfruttando, gestendo la più grande miniera di rame al mondo, nella provincia di Logar, mai attaccata dai talebani che praticano la vera attività tradizionale afghana: il pizzo sul transito delle merci, vista la posizione strategica del paese. Il questo deserto di iniziative gli USA hanno realizzato però lo stabilimento di produzione della Coca Cola!
Il vero business è stato costituito dall’economia di guerra; il pagamento degli stipendi delle forze di sicurezza (la polizia) e l’esercito; un’attività destinata a cessare con la fuga degli americani e degli occidentali.
Sono queste le ragioni per le quali i vincitori cercano di mostrare moderazione in quanto hanno bisogno di capitali e quindi di rapporti con la Cina, la Russia, l’Iran, il Pakistan, la Turchia, l’Arabia Saudita.

I nuovi padroni

I talebani sono alla ricerca di una soluzione politica interna che permetta di mediare tra i vari signori della guerra che controllano l’economia e la produzione dell’oppio, proteggono i trafficanti, ma non producono né commerciano. Intendono continuare a esercitare il mestiere tradizionale degli afghani: la riscossione dei dazi sulle merci in transito e su tutta la catena produttiva dell’oppio, ma per guidare il paese nei prossimi anni dovranno stabilire relazioni internazionali, avranno bisogno di aiuti umanitari e di finanziamenti.
Il ritiro degli americani e della NATO apre a nuovi scenari di relazione con le potenze regionali. L’Iran dovrà rivedere la sua politica, sfruttando le diverse componenti etniche e tribali per limitare l’influenza sunnita; perciò, soprattutto nelle aree di confine cercherà di mantenere alta l’instabilità nella gestione del territorio tanto più che si candidano come attori a farle concorrenza sia la Arabia Saudita che la Turchia, le quali si contendono le influenze sui vincitori: la prima in ragione degli antichi e consolidati legami con l’integralismo talebano, i secondi quali sponsor della resa degli USA e delle trattative che hanno portato al ritiro: è infatti cresciuta l’influenza politica dei Fratelli Musulmani sui talebani e la Turchia ha potuto spendere la carta di potenza musulmana, ma membro al tempo stesso della Nato: ora l’utilità di questa ambiguità è finita, ma ad interessare i talebani potrebbero essere sia la copertura diplomatica turca sia la disponibilità di capitali turchi.
A preoccuparsi di questa crescente influenza è il Pakistan, da sempre santuario dei talebani, ma legato a questi attraverso popolazioni pakistane vicine ai talebani. Pur avendo sostenuto militarmente e con i servizi segreti il successo delle operazioni militari talebane il Pakistan non dispone tuttavia dei capitali necessari ad investire in Afghanistan ed ecco quindi insinuarsi il ruolo attivo della Cina la quale potrebbe usare il Pakistan come sub agente a sostegno dei suoi interessi. Sono noti gli investimenti cinesi in Pakistan, quelli relativi ai porti nell’oceano indiano, al passaggio di oleodotti e gasdotti, allo sfruttamento delle risorse minerarie dell’area. La Cina, infatti, è interessata soprattutto ai giacimenti afghani di terre rare e di quant’altro vi si trova.
La comunanza di interessi cino-pakistana ha poi un’altra rilevante motivazione nel contenimento dell’India che è la vera sconfitta di quanto è avvenuto in Afghanistan.
Ora la strada è libera e la politica cinese può cercare di consolidare la presenza in Afghanistan fornendo capitali, inserire Afghanistan e Pakistan in un’area dell’Asia centrale comprendente le Repubbliche ex sovietiche nella quale la Cina potrebbe imporsi a patto di riuscire ad isolare il problema costituito dagli indipendentisti musulmani Uighuri che operano nella provincia cinese dello Xinjiang. Le alleanze che la Cina sta stipulando hanno anche la funzione di isolare politicamente la sua minoranza interna.
Il quadro di alleanze appena ricostruito è alla base dell’attivismo diplomatico della Russia, dettato non solo dal bisogno di isolare dal contagio islamico le ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, ma anche di porre un argine all’attivismo cinese e a contenere la penetrazione ai suoi confini di potenze regionali come la Turchia che hanno mire verso le aree mussulmane dell’Asia centrale che facevano parte dell’URSS.

L’ipocrisia dell’Occidente

Lungi dallo spiegare all’opinione pubblica le ragioni e gli interessi di questo complesso gioco oggi l’Occidente gioca sulla rovinosa fuga da Kabul e sulla inevitabile repressione che si abbatterà sulle donne afghane. Diciamolo francamente: si tratta di pura ipocrisia.
La fuga dal paese e le condizioni della resa sono state oggetto di negoziato. Solo degli imbecilli sprovveduti non potevano prevedere il crollo immediato del regime fantoccio, solo degli irresponsabili potevano lasciare nelle mani di un sedicente esercito afghano una mole così grande, in qualità e quantità, di armamenti. Militari di questa fatta andrebbero licenziati per incompetenza al pari dei politici[1]. Niente da stupirsi perciò della calca intorno all’aeroporto; le lacrime sul disastro umanitario sono da coccodrilli
C’è poi la questione delle libertà civili, dei diritti umani e delle vessazioni sulle donne. Ebbene si calcola che in 20 anni di occupazione (una generazione) gli occidentali sono riusciti a crearsi un bacino di consenso nelle città di circa due milioni di persone su una popolazione di 40 milioni. Come è chiaro il risultato è pessimo ed è dipeso dal fatto che l’economia di guerra, senza alcun vero sviluppo non può che produrre un consenso
esiguo di persone che vengono visti dagli esclusi come collaborazionisti: non si poteva fare di peggio!
Una riflessione dovrebbe farla anche la politica italiana che ha sostenuto per 20 anni una guerra, ha sperperato risorse del paese, ha prodotto morti e feriti tra i militari inviati in guerra e tra i civili afghani.

[1] Persino l’ex premier britannico Tony Blair ha fatto risentire la propria voce non richiesta, criticando la mossa di Biden. Farebbe meglio a tacere, visto che lui è uno dei maggiori artefici di questa folle avventura iniziata venti anni orsono.

La Redazione

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