IL CONTO, PER FAVORE

La democrazia nelle società di mercato e/o capitaliste ha alla base un conflitto sociale che non può essere coartato in nome di un qualche “interesse generale pacificato” (i fascismi furono un tentativo), ma che va riconosciuto come elemento fondamentale per il progresso delle stesse strutture democratiche.
Il Conflitto fra capitale e lavoro è oggettivo nelle società capitaliste e non è una patologia, ma l’esatto contrario.
Al netto del fatto che in una società socialista il conflitto possa essere ridotto (ma mai eliminato) è fondamentale che lo Stato, pur non potendo essere mai neutro, sia perlomeno un arbitro un po’ di parte (e da che parte tirare l’arbitro è uno dei compiti della politica e non una malattia secondo un purismo etico non solo impossibile ma neppure auspicabile).
Se si coarta, si nega, si ridicolizza il conflitto. Oppure lo si definisce sotto altre forme (“invidia sociale”) lo si sminuisce rispetto ai “tempi moderni” (post-ideologia) lo si sposta all’esterno, lo si considera, insomma non più esistente, essendo esso oggettivo e mancando alla sua esplicitazione il necessario riconoscimento e l’azione pedagogica della politica, nei momenti di crisi, ovvero quando le teorie della “società unificata” mostreranno le crepe, si ripresenterà sotto altre forme pre-o post-politiche.
Quali le teorie del complotto (non esistenti laddove lo scontro di classe sia, come è sempre stato, alla luce del sole), razzismo (mancando gli strumenti per riconoscere l’avversario di classe è una deviazione ovvia e scontata), la rabbia senza un oggetto ben preciso (ritornando così al “loook back in anger” di 70 anni fa) e, alla fine questo provocherà uno spostamento a destra di quell’asse conflittuale situato in precedenza dalla parte opposta, mancando una seppur minima capacità di mettere a critica il sistema economico e sociale capitalista e declinando semmai questa critica nella
contrapposizione fra un capitalismo buono (e “mitico”) territoriale e il capitalismo cattivo senza “patria”.
Oppure sull’accettazione (“resilienza”) di un sistema storicamente determinato come se fosse immanente. Inutile dire che in entrambi i casi l’accento verrà spostato alla cornice del conflitto e non al centro del quadro ma anche che, in genere la realtà oggettiva il conto, alla fine, lo chiede.

Andrea Bellucci