L’Amministrazione Biden all’attacco

Si è concluso il primo viaggio del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America nel vecchio continente e ci sono importanti novità. Le notizie giornalistiche ci raccontano di una rinnovata sintonia tra Biden e l’UE, di una concordanza sulla necessità di tenere a bada quegli Stati che non marciano all’unisono con gli interessi dell’occidente industrializzato (Russia e Cina, per la precisione), di un nuovo ordine internazionale; come ha detto il Mario nazionale, si sono riannodati quei fili che la precedente Amministrazione Trump aveva allentato. Ed è proprio così. Anche se le motivazioni addotte non sembrano molto credibili.

Europa

L’UE che il presidente statunitense ha trovato non è la stessa di quattro anni addietro. Trump ha soffiato sul fuoco della Brexit ed il vertice in Cornovaglia, con Johnson padrone di casa, si è svolto con la presenza di unità separate. È almeno dubbio che Biden abbia apprezzato questa novità ed il leader britannico, nonostante giocasse da ospite, ne è risultato un po’ in ombra. Gli interessi europei e quelli statunitensi non coincidono, ma ancora una volta i governi continentali si sono piegati ai voleri altrui. Si sa, per esempio, che gli USA non gradiscono la messa in opera del nord stream 2, ma esso è ormai in fase di ultimazione e la Germania (futuro hub del gas russo per tutta l’Europa) vi punta molto per la propria strategia energetica. Su questo gasdotto è probabile che gli europei la spuntino, ma ciò comporta e comporterà altre concessioni alla geopolitica statunitense, non sempre positive per le nostre economie.
Inoltre Biden non ha condiviso la brexit soprattutto per gli effetti prodotti rispetto alla questione irlandese. Lui che ha origini in quel paese teme, anche per ragioni geopolitiche il riaccendersi del conflitto nell’isola e inoltre, ha differenza di Trump punta ad un’area NATO potenziata e coese in quando ha estremo bisogno dell’Alleanza Atlantica per la sua politica di contrasto alla Russia. Johnson invece continua a giocare
sporco con l’UE – da ultimo si veda la questione della pesca – nascondendo agli inglesi di non aver trovato il Biden il partner per un asse privilegiato tra Londra e Washington. Molto più importante in questo momento l’accordo con l’ UE come dimostra l’accordo sulla vertenza Airbus-Boeing e la fine della guerra dei dazi.

Russia

Uno dei due grandi nemici planetari individuati dalla nuova Amministrazione degli Stati Uniti d’America e la Federazione Russa; le critiche ufficiali si appuntano sulla questione ucraina. Quale sia il gioco di lungo periodo che gli USA hanno intrapreso in quel paese abbiamo già detto (vedi questa newsletter n° 145).
Quale sia la consistenza delle accuse rivolte al governo russo è presto detto ed è bene sempre ricordarlo:
– Crimea; territorio da sempre russo e di cui i russi costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione, con la presenza di esigue minoranze (come i tatari) di cui non fanno parte gli ucraini; nel 1954 Krusciov la annesse all’Ucraina, tanto allora era tutt’uno (URSS); vi ha sede la base navale più importante che i russi abbiano sul Mar Nero; nel 2014 gli abitanti della Crimea hanno chiesto l’annessione alla Federazione Russa con il 95,32% di voti nel referendum popolare all’uopo convocato.
– Donbass; vi infuria la guerra civile portata avanti (col supporto russo) dalla popolazione a maggioranza russofona; vi hanno sede molte industrie dedicate ai sistemi d’arma di fabbricazione russa, che difficilmente troverebbero sbocchi di mercato altrove e vi si trovano importanti giacimenti di carbone; la prima decisione del governo ucraino indipendente è stata quella di abrogare l’insegnamento della lingua russa nelle scuole.
L’interscambio tra USA e Federazione Russa ammonta a 25 miliardi di dollari, mentre quello dell’Unione Europea a 240. Come si vede da queste semplici cifre le sanzioni che vengono applicate alla Russia pesano sull’economia europea dieci volte di più che su quella statunitense. Non è molto probabile che un Ucraina indipendente entri nell’orbita della Germania (come essa spera), ma semmai sarà maggiormente attratta
per affinità etnica dalla Polonia e comunque la più che ventennale attenzione  statunitense per quel territorio depone a favore di un protettorato d’oltre oceano, che non risulterebbe molto utile agli europei.

Cina

Del tutto diverso è il caso cinese. L’interscambio commerciale del paese è superiore ai 600 miliardi di dollari sia con gli USA che con l’UE. Non è quindi il caso di pensare a sanzioni. Di converso l’ingente mole di merci che viaggiano tra i partner, fa della Cina un temibile concorrente, prova ne sia che per la fornitura di alcune componenti le aziende occidentali dipendono dall’industria cinese. Per di più, la competizione
commerciale non si svolge su prodotti tecnologicamente poveri, ma il capitalismo cinese è ormai all’avanguardia nelle produzioni di punta (cellulari, batterie elettriche, telecomunicazioni, Microchip) insidiando il primato statunitense. Ne è una prova il fatto che i paesi europei hanno chiesto a Biden massicci investimenti per la produzione di componenti elettroniche e il potenziamento della ricerca nel settore. I paesi europei sono attratti dagli affari che prospettano le industrie dell ‘ex trono del dragone; questo costringe gli Usa a correre ai ripari, cercando di vincolare a sé gli europei.
Quella con la Cina è una battaglia fatta di propaganda, che punta a minare la credibilità dei prodotti cinesi e l’affidabilità delle sue industrie. È un terreno difficile perché la Cina ha il quasi monopolio delle terre rare, necessarie per le produzioni elettroniche, e sta conquistando un insediamento ben radicato ed esteso nel continente africano acquisendo anche qui il controllo dell’estrazione di terre rare e di minerali  particolarmente ricercati dall’industria. Inoltre delocalizza molte sue produzioni nel Sud Est asiatico creando porti commerciali e basi navali come sta avvenendo sulla costa birmana dello Stato del Rohingya dopo averne scacciato la popolazione.
La politica estera e la politica commerciale e industriale cinese operano quanto mai di concerto: investono in infrastrutture in Africa e in Asia, ne detengono la gestione per decenni a pagamento dell’investimento e insediano quelle produzioni da essi controllate che sono funzionali a soddisfare il mercato interno di questi paesi, producendo in qualche modo sviluppo, ma infeudandoli come consumatori.

I diritti civili

Per queste guerre commerciali si punta a far leva sull’opinione pubblica agitando la difesa dei diritti civili: la Russia di Putin avvelena e getta in galera gli oppositori (Navalny in Russia, Protasevich in Bielorussia) e la Cina soffoca l’irredentismo di Honk Kong. Tutto vero, i due regimi sono pericolosamente tirannici, ma da quale pulpito! Negli USA la popolazione di colore è tutt’ora (nonostante il passaggio del primo presidente nero) discriminata e uccisa spietatamente nelle strade dalla polizia per futili motivi; ma quello è il paese che al di fuori di ogni diritto internazionale tiene ancora in funzione il carcere di Guantanamo e che rapisce o uccide coloro che ritiene potenziali nemici sul suolo di altre nazioni; ed infine è quel paese che esulta per la condanna
dei criminali di guerra da parte della Corte penale internazionale dell’Aja, ma che non ne riconosce la potestà (in buona compagnia, per altro, di Russia ed Israele). Nei campi d’Italia migliaia di immigrati lavorano praticamente in stato di schiavitù. Le periferie di Francia e Belgio sono divenute autentici ghetti dei figli dei precedenti flussi migratori dalle colonie. La Germania sceglie chi accogliere in base alle proprie convenienze
economiche. Dei paesi del nord Europa e della loro politica dell’accoglienza è detto in altro articolo di questo numero. Ma la propaganda è assordante e copre il rumore delle malefatte di casa nostra.

La Redazione