Un porcellum per tutti i lavoratori

Mentre i suicidi per mancanza di lavoro, per fallimento e per sfratto vengono oscurati, mentre i licenziamenti si susseguono incessanti e senza rimedio, mentre le strutture produttive e industriali vengono smantellate producendo una decrescita infelice, arriva improvviso l’accordo sulle rappresentanze sui posti di lavoro a lungo perseguito e sempre rifiutato. Cambiano le regole per il rinnovo dei contratti di lavoro: la rappresentanza delle OO. SS. confederali sui posti di lavoro viene misurata sulla base delle deleghe relative ai contributi sindacali. Così facendo vengono esclusi i sindacati di base (primi tra questi Usb o i Cobas, che, non essendo firmatari di contratti nazionali, non beneficiano delle trattenute sindacali). Inoltre, ai fini della misurazione del voto espresso nelle Rsu “varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni organizzazione sindacale aderente alle confederazioni firmatarie della presente intesa”. Ciò fa si che i voti ad altri sindacati, per lo più minori, non saranno validi.
Finora a Cgil, Cisl e UIL veniva garantito il 33% dei seggi a prescindere dall’esito del voto. Ora le deleghe sindacali avranno un peso del 50% sulla rappresentanza mentre l’altro 50% sarà calcolato sui voti ottenuti per le Rsu. Nel pubblico impiego per poter sedere al tavolo dei rinnovi contrattuali occorrerà avere una rappresentanza di almeno il 5% tra iscritti e votanti Rsu. Un altro modo per bloccare i piccoli sindacati. L’accordo stabilisce che, da ora in poi, i contratti di lavoro saranno validi se sono formalmente sottoscritti da organizzazioni sindacali che rappresentino almeno “il 50% più 1” della rappresentanza, ovvero dalla maggioranza dei sindacati o della Rsu.
Ma dove è finita l’assemblea dei lavoratori? Semplicemente non c’è né nella fase di definizione delle piattaforme né in quella di approvazione dei contratti. Il punto di riferimento è la cosiddetta “consultazione certificata” dei lavoratori a maggioranza semplice. E’ pur vero che definire le modalità di consultazione è compito delle categorie, ma qui le posizioni delle OO. SS. divergono: per la Fiom dovrebbe essere utilizzato il referendum, la Cisl invece chiede di far votare i lavoratori in assemblea per alzata di mano riservando il voto solo agli iscritti al sindacato. Questo problema dunque irrisolto e la sua mancata soluzione minaccia di rendere l’accordo inapplicabile per la parte più importante e cioè l’espressione della partecipazione e della volontà dei lavoratori.
Ma dove sta l’interesse dei padroni nello sponsorizzare l’accordo? I contratti siglati con le nuove regole “saranno efficaci ed esigibili” e l’accordo costituisce un “atto vincolante per entrambe le Parti”.
Conseguentemente le Parti firmatarie “si impegnano a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti”. Si tratta di un vincolo molto rigido per le parti firmatarie, che esse assumono a nome di tutti i lavoratori che di fatto condiziona il voto dei lavoratori sull’accordo siglato in modo assoluto, in quanto da ciò consegue che
una volta siglato l’accordo non si può più scioperare. Così il ruolo dei lavoratori si annulla totalmente ed essi vengono consegnati alle OO. SS. confederali.
Tuttavia, per ora lo sciopero è garantito dalla Costituzione e la sua limitazione è problematica senza una legge specifica. L’idea è quella di approfittare della revisione della Costituzione prossima ventura per inserire la regolamentazione dello sciopero e così quel che rimane del movimento operaio e dei lavoratori del pubblico impiego avrà perso tutti i suoi diritti.
Ne è consapevole il Presidente di Confindustria che ha così commentato: “Dopo 60 anni raggiungiamo le regole per la rappresentanza, il che ci permette di avere contratti nazionali pienamente esigibili”. Si regola “l’esercizio del diritto di sciopero e sanzioni per mancato rispetto e le conseguenti violazioni”, ha spiegato Squinzi, tutto contento.

La redazione