Alamanni e Saccomanni

Intendiamoci! In una certa logica, il Ministro dell’Economia ha ragione.
Che poi tale logica sia più che altro incerta è un ragionamento diverso. Andiamo in ordine. Sta nei dettami del neoliberismo imperante che i conti pubblici siano come suol dirsi “in ordine”. Diceva il Monti (non il traduttore dei traduttori d’Omero, ma il bocconiano compassato) che messi a posto quelli, tutti i beni, compresa la ripresa economica, sarebbero seguiti automaticamente. Quanto tale dottrina sia corrispondente alla realtà è sotto gli occhi di tutti. Ma è un destino (destino?) cinico quello che impone al nostro paese, ed anche ad altri, di avere per ministri dell’economia dei finanzieri (non quelli delle fiamme gialle, ma proprio quelli che dirigono le banche), ovverosia coloro che con le loro politiche hanno determinato il caos economico mondiale e che ora sono chiamati a “rimediarvi” utilizzando le stesse politiche.
È come se ad un malato di Sars si desse come cura di vivere in un pollaio infetto.
Il neoliberismo monetarista, dicevamo, richiede il rigore nei conti pubblici e la Germania, forte della propria preminenza economica, lo impone a tutta l’Europa. Da tempo sosteniamo che a lungo andare ciò si rivolterà contro i tedeschi, che illusi dal loro benessere non si accorgono che stanno seccando i mercati dove riversano metà delle loro esportazioni. Da tempo sosteniamo che la versione impietosa della teoria di Milton
Friedman trova applicazione solo in Europa, mentre gli altri (Stati Uniti d’America, in primis, e Giappone) battono allegramente moneta per sostenere la congiuntura. Ma prendiamo per buoni i dettami della politica economica dominante. Allora, come si diceva all’inizio, il povero ministro Saccomanni “tiene raggione”. Se si abbassa una tassa, bisogna trovare una copertura, e quindi metterne un’altra: il bilancio dello Stato è in rosso (2,9% l’anno scorso, 3,1% o 3,2% quest’anno) e il debito pubblico continua a crescere. Così è stato fatto per l’IMU, riversando il recupero dei mancati introiti su di una tassa da istituire il prossimo anno (la cosiddetta Service Tax), molto probabilmente più onerosa per i cittadini. Così si pensava di fare per la mancata crescita dell’1% dell’aliquota IVA più alta, trasferendo l’aumento di imposte su vari generi voluttuari e sulle accise gravanti sui carburanti.
È chiaro che da questo punto di vista quella parte politica che si richiama esplicitamente al liberismo ha poco da lamentarsi. Quando Brunetta attacca Saccomanni sa di essere in difetto. Prima di tutto perché l’IVA è già aumentata di un punto e sia questo che il nuovo aumento furono decisi nel 2011 in pieno governo Berlusconi. Poi perché le copertura, nella logica suddetta, vanno comunque ricercate e quindi bisogna trovare le
risorse introducendo nuove imposte; e visto che di patrimoniale non si può parlare, fino al punto che il PdL ha fatto un punto d’onore del richiedere che si esentassero anche i più facoltosi dalla tassa sulla casa, è facile dedurre su chi ricadrebbero gli aumenti, facendo rientrare dalla porta quello che si è gettato dalla finestra.
Verrebbe quindi da solidarizzare con Saccomanni quando discute con i suoi avversari poco coerenti e molto demagogici, se non fosse che i concetti che lui ed i suoi avversari sostengono non sono condivisibili; e ciò non per puro spirito di contraddizione, ma perché i fatti economici si incaricano giornalmente di smentirli.
La partita si gioca su due piani: quello della pratica attuazione e quello, più profondo, della fondatezza della teoria economica dominante. Abbiamo già accennato alla messianica attesa della ripresa, che dovrebbe derivare spontaneamente dal rigore sui bilanci pubblici. Il povero Saccomanni così ha appreso e così ripete.
Peccato che ogni intervento di aumento delle tasse provochi una contrazione dei consumi; e da ciò consegue una diminuzione del gettito fiscale ed una contrazione del mercato e quindi della produzione: cioè non certo ripresa, ma recessione. D’altra parte ogni riduzione di spesa comporta diminuzione del circolante e quindi minori consumi, minore produzione, aumento della disoccupazione e perciò recessione. La teoria è
sbagliata, ma chi ha il coraggio di dirglielo?!
Quanto detto ha, come sempre, qualche eccezione. Sul fronte delle entrate si può osservare che gli effetti della tassazione non sono sempre uguali. È ovvio (vero Saccomanni?) che togliere 100 € a coloro che già hanno limitato i propri consumi per mancanza di risorse sufficienti implica un ulteriore taglio; togliere invece 1.000 €
a chi possiede rendite cospicue e che finora non ridotto in alcun modo il proprio tenore di vita non ha conseguenze sui consumi; quello che conta non è la percentuale dell’aumento di tassazione sul reddito percepito, ma di quanto questo reddito esuberi anche i bisogni più bizzarri. D’altra parte è anche vero che la contrazione dei consumi non è proporzionale agli investimenti che dovessero venire tagliati, ma quale rapporto
esiste tra le risorse impegnate e la loro ricaduta in stipendi per tutti coloro che sono impegnati nella filiera produttiva?
Esemplifichiamo. Tante opere pubbliche di piccola scala che comportino molte assunzioni e piccoli margini di profitto, hanno sicuramente effetti positivi sul volume della domanda di consumi. Opere pubbliche faraoniche (TAV di Valsusa, sottoattraversamento TAV di Firenze, ponte sullo stretto, F 135, etc.) hanno pur
esse ricadute stipendiali atte a sostenere i consumi, ma che sono caratterizzate da una maggior quantità di risorse che prendono rivoli diversi (e troppo spesso illegali), vanno ad accrescere patrimoni ingenti e non producono alcunché sulla richiesta di consumi, se non nei generi di lusso, sulla cui esclusiva produzione nessuna economia può realmente sorreggersi. Per di più le opere suddette sono per la maggior parte inutili, se
non addirittura dannose. Fino ad arrivare all’assurdo degli aerei F-135, che dovremo acquistare all’estero con ricadute minime in commesse alle aziende italiane fornitrici della Lockheed.
Saccomanni non ha il piglio di Monti, non ha l’arrogante prosopopea di Tremonti, e la calma dimessa con cui ripete stancamente le stesse indimostrate formule di politica economica farebbe tenerezza, se non ci danneggiasse tutti ed in particolare le classi meno abbienti. Già perché da oltre trenta anni la pratica quotidiana si incarica di renderci palese il fatto che il neoliberismo monetarista è la teoria economica che più favorisce l’arricchimento di pochi a scapito degli altri. Il keynesismo era pur esso una teoria capitalistica, ma basava la propria essenza sul coinvolgimento delle classi lavoratrici all’interno del sistema e per ottenere questo risultato operava una parziale redistribuzione del reddito per garantire un certo “benessere” alla maggior parte della popolazione. Dall’avvento delle teorie di Milton Friedman (che a questo scopo erano state formulate) le diseguaglianze economiche sono cresciute a dismisura e i finanzieri hanno potuto effettuare gli affari più lucrosi e meno puliti della loro carriera.
C’è un’ultima curiosità, se così la si vuole chiamare. Allorquando il governo dei due Letta (con la supervisione di Sua Maestà del Colle) ha mostrato i primi segni di intoppo, lui, Saccomanni, ha cominciato ad intravedere una luce in fondo al tunnel della crisi. Per la verità era una voce internazionale quella che la crisi si avviasse ad una svolta positiva, voce che si è infranta subito negli Stati Uniti d’America. Ma se a livello
internazionale qualche pallida, ahimè, quanto pallida, reviviscenza della congiuntura si poteva intravedere, quanto deve aver sforzato i propri occhi il Ministro dell’Economia per scorgerli nell’economia italiana.
Curiosità che se ne tira dietro d’obbligo un’altra. L’ultima settimana di settembre Lui non trovava le copertura per sterilizzare l’aumento dell’IVA (tanto da ricorrere ad un aumento delle accise sui carburanti più pesante di quello che il punto in più di IVA avrebbe comportato) e la settimana successiva, quando la piroetta del giovane Letta intravedeva uno spiraglio di riuscita, dichiarava che i nostri conti pubblici erano in ordine. Che sotto l’aria schiva del tecnico prestato alla politica non si nasconda un furbetto in carriera?
Questo Governo, perigliosamente rimasto in sella, non riserva nulla di buono per il futuro economico del paese: i consumi sono calati a picco, la disoccupazione cresce costantemente, gli investimenti languono, le imprese ed i negozi chiudono e la politica dei pannicelli caldi è del tutto inefficace. La realtà che non si vuole mettere mano alle rendite di posizione ed ai patrimoni. Troppo spesso illecitamente accumulati. Gli oneri
ricadono sempre sulle solite spalle, alle quali viene detto in pratica di attendere con fiducia che le cure abbiano efficacia. “Sire, il popolo non ha pane!” “Fornitegli delle statistiche”.

Saverio Craparo