Moriremo democristiani?

Quando nel 1993-94 i partiti storici dell’Italia repubblicana si sciolsero sotto la scure di “mani pulite” assistemmo alla diaspora dei cattolici che si sparpagliarono nelle nuove formazioni politiche. Si disse che era finita l’unità politica dei cattolici e ci si illuse di essersene liberati. In realtà i resti di quello che fu la DC andò a inseminare tutte le altre formazioni politiche. Infatti non può dirsi che essi non fossero nella Lega dove
portarono da buoni crociati l’idea della difesa delle tradizioni italiche e delle radici cristiane dell’occidente.
Certamente molti cattolici divennero berlusconiani entrando in un partito che dichiarava apertamente di difendere i valori della famiglia e quelli più tradizionali della nazione. I cattolici erano presenti certamente tra i missini confluiti in Forza Italia n. 1 nel nome del fatto che la religione cattolica sarebbe quella storica della nazione.Ma una parte non irrilevante dei cattolici e soprattutto del personale politico democristiano transitò a
“sinistra” unendosi con una parte di quello che fu il partito comunista. I meccanismi di unione e convergenza attraverso l’esperienza della Margherita salvarono più dirigenti che truppe e toccò all’elettorato ex PCI fornire voti agli antichi avversari per garantirne l’elezione. Questa strana accozzaglia di rifiuti ha dato luogo ad un partito mai nato come tale che oggi ha nome PD (nome dietro il quale si nasconde in modo sempre più chiaro non tanto il partito democratico ma il Partito Democristiano). E, in effetti democristiani sono i suoi leader presenti Letta Enrico e Renzi Matteo e un esperto di movimento cattolico è Bersani, laureatosi con una tesi su questo argomento e proveniente da una famiglia DC.

Il trasformismo democristiano

Nel ventennio berlusconiano i politici cattolici hanno mutato spesse volte casacca. Una parte di loro, con Casini, si rese autonoma nell’UDC, alcuni finirono con Rutelli (pochi, ma perché è un mediocre) e questo fino a quando non scese in campo Monti. Molti di loro pensarono che era giunto il momento di manifestarsi in tutto il loro splendore e che con l’avvicinarsi della crisi berlusconiana era giunto il momento di ritornare sul
palcoscenico della storia in prima persona. Ecco infatti schierarsi accanto al bocconiano i politici allevati dalla Comunità di Sant’Egidio, presente nel governo in prima persona con Riccardi, ecco l’asse privilegiato con Casini e il sostegno a Monti proveniente sia dalla fila PDL che da quelle del PD. Su quest’asse si è retto il governo del Professore per tutta la sua durata mentre si scaldavano le truppe per la costruzione di una forza
politica dichiaratamente cattolica.
Ma l’esperienza aveva insegnato che era meglio agire in ordine sparso per colpire uniti. Così, punito dai risultati elettorali il partito dichiaratamente cattolico, coloro che lo sostenevano e lo sostengono nelle diverse aggregazioni politiche uscirono allo scoperto, proponendo il governo retto da Enrico Letta. A votarlo in Parlamento non solo il recalcitrante ma domo PD, ma anche il centro e il PDL; le larghe intese avevano
un’ampiezza tale da raccogliere il sostegno dei cattolici sparsi in tutti gli schieramenti politici. Intorno ad essi si coagulavano per gemmazione reti di alleanze capaci di sostenere il Governo. Il solo pericolo era costituito dagli affari personali di Berlusconi, l’uomo che più di ogni altro ha sostenuto gli interessi della Chiesa Cattolica in Italia, contendendo al PD questo compito con pervicace determinazione.

Il Governo Alfetta

I guai giudiziari di Berlusconi hanno costituito da sempre la mina vagante capace di distruggere l’alleanza tra PDL e PD. Probabilmente già dalla riunione del Governo nell’Abazia di Sarteano il 12 maggio del 2013, dietro lo scontro formale tra i due principali azionisti del Governo, si stipula una solido patto venuto alla luce il 30 settembre sotto la pressione delle intemperanze del vecchio leader a fronte della decisione di dichiararne la decadenza dal Senato.
Berlusconi pretenderebbe un voto contro il Governo per ripagarlo dell’assenza di ogni intervento che lo salvi dalla decadenza. I ministri PDL inseriti al Governo si oppongono e insieme a loro l’ala cattolica del partito riconducibile a Comunione e Liberazione, in sintonia con Assolombarda e ambienti qualificati di Confindustria.
E’ lo strappo in un partito ormai lacerato, che vede la gran parte dei suoi dirigenti transitare nella neonata Forza Italia e il riaggregarsi al suo esterno dell’area di quella che fu Alleanza Nazionale. Si assiste ad un generale riposizionamento e al ritorno alle case madri. Il tempo dell’esperienza berlusconiana sembra ormai finito, ma non è trascorso inutilmente.
Se un nuovo soggetto politico dichiaratamente cattolico nascerà non è detto che esso debba raccogliere le membra sparse del cattolicesimo politico, perché i gruppi che ne sono espressione sembrano aver capito che è più conveniente e efficace marciare divisi e colpire insieme. Gli unici a non avere da riaggregarsi intorno a qualche idea forza sono le componenti dell’attuale PD alla ricerca disperata di un progetto politico che non hanno, Eccoli quindi buttarsi nel sostegno al Governo Alfetta, tutti, meno la componente renziana che vede allontanarsi il tempo delle elezioni e non è ancora sicura di riuscire a prendere il controllo del partito.
I grandi sconfitti di questa manovra sono i 5 stelle i quali hanno di fronte un Governo stabile con una maggioranza certa che rende inutili sia loro sia i pochi transfughi.

Chi paga è il Paese

A pagare per l’acquisita maggioranza del Governo è il Paese che vedrà le spoglie di quel che resta diviso tra gli appartenenti a una nuova oligarchia che ha bisogno di infeudare alle sue diverse componenti settori produttivi, bacini elettorali, banche, società di Stato. La componente Alf del Governo ne ha bisogno perché sa bene che il vecchio padrone controlla ancora voti, clientele e consensi e per radicarsi sul territorio e
strappaglieli occorre creare una rete di interessi che li supporti. Emblematico l’esempio della Sicilia dove le truppe sono divise tra Micciché che sembra essere quello più radicato sul territorio, Schifani che raccoglie il consenso di alcuni maggiorenti del centro destra e Alfano che è quello che ha una clientela più incerta degli altri ed è a capo di un ministero che può fare tanti favori ma dare anche tanti dolori.
A contendere ai pidiellini cattolici il mercato delle clientele il Presidente del Consiglio, forte dei legami internazionali, dell’appoggio della gerarchia cattolica ma debole per il poco controllo che ha del partito, insidiato com’è dalle mille correnti. Ecco perché deve fare favori, anche perché re Giorgio non durerà in eterno e non potrà stendere perennemente il suo mantello a protezione della componente Etta del Governo. Perciò
per ottenere il consenso dei poteri forti l’Enrico dovrà portare a termine la riforma delle istituzioni e della Costituzione sperando che tutti i quaranta saggi restino a piede libero.

Il Governo e noi

Chi appare tagliato fuori dal gioco politico è ciò che di sinistra resta nel Paese. La classe operaia, i lavoratori sono all’angolo, a causa della disoccupazione altissima, della chiusura continua delle attività produttive, e il Paese conosce una riduzione del PIL superiore all’8%. La deindustrializzazione dell’Italia è arrivata a livelli impensabili, anche nelle previsioni più pessimistiche. Abbiamo perduto ogni posizione nella divisione internazionale del lavoro e il Paese sembra destinato a diventare una grande Disneyland, con un’attività turistica nemmeno tanto efficiente. L’attività delle industrie manifatturiere si riduce giorno dopo giorno. Il governo e le istituzioni sono incapaci di riprogrammare l’utilizzo del suolo attraverso la promozione della riqualificazione dell’edilizia esistente, in modo da far ripartire questo settore trainante per l’occupazione.
Si sprecano risorse nella Tav e nell’acquisto degli F 35 e l’unica soluzione sembrano essere i tagli lineari nella spesa pubblica e nuove tasse. Sul piano istituzionale 40 individui dall’incerta immacolatezza della fedina penale (cinque di loro sono indagati per manipolazione di concorsi universitari) progettano una nuova Costituzione, realizzando il primo esempio di Costituzione criminale.
Bisogna a tutti i costi ripartire con la mobilitazione, cominciando dai disoccupati e facendo forza sui gruppi superstiti di classe operaia prima che scompaia perfino la loro memoria collettiva.
Non vogliamo morire democristiani.

Gianni Cimbalo