Il flop del liceo del made in Italy

Fin dalla sua costituzione e il Governo in carica ha fatto dell’egemonia culturale una cifra importante e qualificante della sua azione politica. L’obiettivo dichiarato è quello di porre fine a l’egemonia a una supposta egemonia della cultura di sinistra che avrebbe dominato il paese per sostituirla con la visione culturale che la destra ha e che ne costituisce uno dei suoi caratteri distintivi. Per dirla con Gramsci, che ha coniato l’espressione, il fine è: «…stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale, cioè di riorganizzare l’egemonia culturale». Per lui, la borghesia era la classe egemonica, dal momento che era detentrice della cultura, mentre i proletari che ne erano privi, rappresentavano la classe subalterna e perciò occorreva ribaltare questo rapporto. Ci limitiamo a rilevare un riguardo che, a nostro avviso, sono soprattutto le condizioni  materiali, ovvero il fatto che il padrone conosce 20.000 parole più dell’operaio che concorrono a determinare questa egemonia. Da questa considerazione discende che solo l’assunzione in prima persona nell’azione politica determinano, attraverso l’esperienza maturata nelle lotte, la crescita di quella cultura di massa fatta di esperienze collettive di solidarietà, di rapporti materiali, quell’acquisizione di conoscenze che pone le basi della contro cultura proletaria.
Rimane tuttavia il fatto che da quando la destra è divenuta maggioranza elettorale in questo paese è in atto il tentativo di declinare una «nuova» egemonia culturale, seguendo due direttrici diverse e parallele. Da un lato, vi è proceduto ad occupare tutti i luoghi del potere culturale, facendo coincidere la nuova egemonia con una sistematica occupazione fisica dei posti di potere in campo culturale, utilizzando a piene mani i criteri propri dello spoils system.
Dall’altro lato è stata utilizzata ogni occasione per manifestare una forma di dominio culturale, attingendo a pensatori di destra, come Giuseppe Prezzolini, Gabriele D’annunzio, ripescando Giovanni Gentile ed Ezra Pound, o grottescamente riscoprendo e valorizzando J. K. Rowling e la “filosofia “ alla quale è ispirata la sua saga.
Incaricato della bisogna avrebbe dovuto essere il ministro pro tempore della cultura Gennaro Sangiuliano che ha dimostrato la sua totale inadeguatezza sia dal punto di vista culturale, infilando una serie di gaffe che l’hanno reso famoso, facendo sfoggio di incultura in ogni occasione, dimostrandosi “uominu ‘e gniente”, come direbbero in Sicilia, nei rapporti personale e umani, caratterizzando il suo ministero per nomine ripetute di clienti, famigli e sodali di ogni tipo. Il suo successore Alessandro Giuli, benché privo di titoli accademici, dovrà dimostrare di essere all’altezza del compito affidatogli, che tuttavia appare decisamente arduo, visti i modus operandi fino ad ora utilizzati.

Dalla cultura all’istruzione: due ministeri del “demerito”

Il titolare del dicastero, Giuseppe Valditara, leghista e storico di discutibile valore – che tuttavia ha avuto il pregio, al contrario del suo collega della Cultura, in questi due anni di attività di offrirsi in un minor numero di occasioni all’attenzione della stampa con dubbie performance – operando di concerto con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, si è assunto il compito di dare concretezza agli obiettivi del mondo imprenditoriale verso quello della formazione e della scuola inventandosi una nuova scuola, il Liceo del made in Italy. registrando un clamoroso flop: lo scorso anno, quando i tempi per le iscrizioni erano già quasi scaduti, i due si sono inventati una nuova scuola da far nascere dal seno dei licei. Viene approvata la legge 206 2023 che per stabilisce per l’a.s. 2024/2025, che solo le scuole che hanno al loro interno il Liceo Economico Sociale (LES) possano attivare classi di Liceo del Made in Italy (MiI), purché il numero totale di classi dei due licei non superi quello attuale del LES.
Alla campagna mediatica rivolta a convincere il personale scolastico e le famiglie a dar vita alla nuova scuola lanciata con un gran battage pubblicitario, rispondevano dirigenti scolastici servili e proni, opportunamente sollecitati a proporsi attivamente. Rispondevano all’appello ben 93 dirigenti scolastici, meschini e servili, pronti a guadagnarsi il riconoscimento del ministro per la loro adesione ad una proposta culturale e professionale inesistente e priva di prospettive, posto che la nuova scuola si proponeva di formare una classe dirigente che “sappia individuare, valorizzare e tutelare le eccellenze italiane nel mondo dal punto di vista economico e della nostra identità culturale” attraverso l’acquisizione degli “strumenti necessari per la ricerca e per l’analisi degli scenari storico-geografici e artistico-culturali, nonché dello sviluppo industriale ed economico dei settori produttivi del Made in Italy.” Queste tematiche, definite “di ampio respiro, hanno un obiettivo molto ambizioso e utile per la nostra economia e per la nostra cultura e ”sono destinate
a formare “ i nuovi ambasciatori della bellezza italiana, della qualità dei prodotti e dell’inventiva italiana nel mondo.”
Aderivano all’iniziativa 375 studenti, caduti vittime con le loro famiglie, della “proposta culturale e professionale” fuffa, che prometteva “di approfondire lo studio dell’economia e del diritto, dedicando anche attenzione anche alle scienze matematiche, fisiche e naturali e all’analisi degli scenari storici, geografici, artistici e culturali che sono alla base del tessuto produttivo del nostro Paese” e la conoscenza della ”evoluzione storica e industriale dei settori produttivi del made in Italy e acquisire competenze e conoscenze relative alla gestione d’impresa, alle strategie di mercato, allo sviluppo dei processi produttivi e organizzativi delle imprese del made in Italy.”(sic!)
Di questo pasticcio si rendeva conto la Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato che a luglio di quest’anno esprimeva perplessità e sospendeva il parere sul regolamento che definisce il quadro orario degli insegnamenti e degli specifici risultati di apprendimento, in assenza del parere consultivo della Conferenza Stato-Regioni.
Presto fatto, la maggioranza di governo, forte del controllo della maggior parte delle Regioni agli inizi di questo mese di settembre faceva pervenire il parere positivo. E questo anche se i magistrati hanno espresso perplessità in relazione all’introduzione del nuovo regolamento relativo proprio all’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del liceo e
chiesto di rivedere la formulazione relativa al rapporto tra approfondimento e sviluppo di conoscenze e abilità. Ulteriori perplessità hanno manifestato in merito alla Fondazione “Imprese e competenze per il Made in Italy”, incaricata di supportare il potenziamento e l’ampliamento dell’offerta formativa chiedendo maggiore chiarezza sui significati di “potenziamento” e “ampliamento” dell’offerta formativa. Il Consiglio di Stato si è mostrato preoccupato dei costi di questo liceo constatando che su questo punto nella relazione tecnica di accompagnamento non viene specificamente precisato che “tale disposizione non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Alla luce di queste
perplessità la Sezione aveva sospeso l’emissione del parere.

Il ruolo della Fondazione “Imprese e competenze” nell’affare

Ma per cogliere l’importanza e il vero ruolo dell’iniziativa bisogna fare riferimento a quanto disposto dall’articolo 19 della legge 206 2023. istitutiva della nuova scuola. la quale prevede la costituzione della “Fondazione imprese e competenze per il made in Italy” e a tal fine stanzia 1,5 milioni di euro per l’anno 2024 e a 500.000 euro annui a decorrere dall’anno 2025. Ne sono membri fondatori il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’istruzione che ne definiscono, d’intesa, gli obiettivi strategici e sono invitati a farne parte le imprese del made in Italy, per “creare sinergie e coordinare competenze e risorse con l’obiettivo di costituire un sistema, a partire dai principali distretti industriali, in cui i licei del made in Italy possano sviluppare i progetti formativi in coerenza con le direttrici di sviluppo economico sostenibile del Paese”.
Anche se il suo compito principale sembra essere quello di conferire “ogni anno il premio di «Maestro del made in Italy» a imprenditori che si sono particolarmente distinti per la loro capacità di trasmettere il sapere e le competenze alle nuove generazioni nei settori di eccellenza del made in Italy anche attraverso iniziative formative e di sensibilizzazione dei giovani”, la Fondazione, in quanto tale, può ottenere “in comodato gratuito beni immobili facenti parte del demanio e del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato”, e ciò sembra costituire uno dei suoi principali obiettivi. insieme a quello di distribuire posti ed incarichi clientelari ben retribuiti agli amichetti di turno.
L’altro è indubbiamente quello, fallito, di soddisfare gli appetiti dell’industria sulla scuola, prova ne sia che il Presidente della Fondazione Agnelli ha giudicato l’iniziativa decisamente fallimentare, visti i risultati delle iscrizioni e la configurazione e il pressappochismo con il quale la nuova scuola è stata costituita.

Il flop sacrifica gli interessi di studenti e famiglie

Ma il valore dell’iniziativa per la maggioranza di governo è strategico e d’immagine e perciò, pur tenendo conto del numero esiguo di studenti su tutto il territorio nazionale sono state autorizzate, 17 classi-scuole in Sicilia, 12 in Lombardia e nel Lazio, 9 in Puglia, 8 nelle Marche e in Calabria, 6 in Abruzzo, 5 in Toscana, 3 in Liguria, Piemonte e Veneto, 2 in Molise e 1 in Basilicata, Emilia–Romagna, Sardegna e Umbria, E questo anche perché autorizzando tutte le richieste ogni scuola avrebbe avuto da quattro a 5 studenti! Inoltre la distribuzione regionale delle classi, posta in rapporto alla presenza dell’industria del made in Italy nel paese, la dice lunga sul rapporto tra imprese e scuola e sulla natura clientelare dell’iniziativa posto che inoltre fra i soggetti istitutivi vi sono anche le scuole private.
Realizzare questo risultato non è stato facile, perché bisognava aggirare la norma varata dallo stesso ministero che prevede come numero minimo per la formazione di una classe quello di 27. Ecco allora spuntare la proposta compiacente, poi ritirata, della deputata leghista Giorgia Latini, sodale del ministro, che prevedeva l’estensione della deroga al numero di studenti per classe prevista dal cosiddetto “Decreto Caivano” che permette di derogare al numero minimo di alunni per classe in certe aree geografiche e situazioni particolari anche per i nuovi licei Made in Italy. Un tale rimedio deve essere sembrato eccessivo perfino a questo governo e perciò si attende una disposizione del ministero per aggirare la normativa vigente e questo non rendendosi conto che i problemi creati dalla costituzione di una nuova scuola con un numero così esiguo di studenti crea ben altri e maggiori problemi.
Nascendo all’interno di plessi scolastici preesistenti, la nuova scuola deve ritagliarsi spazi sottraendoli a quelli delle classi già esistenti, benché le strutture siano sotto stress a causa del fatto che con la riorganizzazione didattica dovuta agli effetti del PNRR, vengono introdotti i nuovi arredi scolastici e ristrutturate le classi con modalità che richiedono l’utilizzazione di maggiori spazi, essendo previsti banchi disposti a raggiera, laboratori e quant’altro. In questa situazione diviene difficile reperire gli spazi per una nuova struttura nata senza alcun tipo di finanziamento, ma come gemmazione di quelle già esistenti. E tutto ciò per non parlare dei problemi che emergono relativamente agli insegnanti destinati a svolgere le loro attività all’interno delle nuove strutture.
In altre parole un pasticcio che dimostra il pressappochismo con il quale degli inetti governanti affrontano il problema di una necessaria riorganizzazione dell’insegnamento che deve fare di tutto per mantenere standard adeguati di efficienza e questo anche perché l’egemonia culturale non può prescindere dal buon funzionamento della scuola e del sistema educativo nel suo complesso, dalle scuole materne all’università, preoccupazione è questa che sfugge alle capacità intellettuali, tecniche, gestionali, ideative, culturali, dei titolari del dicastero dell’istruzione, come risultava essere
totalmente estranea al titolare di quello della cultura.

La Redazione