Cosa c’è di nuovo – USA al bivio

Il ferimento di Donald Trump riapre i giochi della campagna elettorale negli Stati Uniti, fino ad allora monopolizzati dal dibattito piuttosto stucchevole relativo al ritiro o meno del candidato democratico, trasmettendoci l’immagine di un paese dove i rapporti di forza fra le sue due anime si risolvono a colpi di mitragliatore. Ciò che avviene ha tutte le caratteristiche delle convulsioni di un serpente colpito a morte, che si dimena nel tentativo di trovare un equilibrio, plastica raffigurazione del declino progressivo dell’impero che dopo le sconfitte dell’Iraq e dell’Afghanistan, è lacerato da due guerre che spiccano sui circa 60 altri conflitti aperti nel mondo: quello in Ucraina, e quello in Medio Oriente.
Se per quanto riguarda il Medio Oriente possiamo parlare di un conflitto subito, in quanto imposto dall’iniziativa di Hamas e dalla conseguente risposta di Israele, per quanto riguarda l’Ucraina gli Stati Uniti e i loro alleati ce l’hanno messa tutta per preparare e poi gestire il conflitto, e questo anche se la guerra viene presentata come l’aggressione russa nei confronti di un paese sovrano.
A fronte di questi eventi il popolo degli Stati Uniti è diviso e dilaniato, sottoposto com’è all’assalto dei poveri del mondo che dai paesi più remoti, dalle località più povere del continente latino – americano e non solo, si dirigono verso il Nord America, nel tentativo di trovare condizioni di vita più accettabili, sfuggendo alla povertà, alla miseria e alla violenza e non sapendo invece di andare ad immergersi in un paese che fa della violenza materiale e sociale un paradigma che ne guida la vita in ogni aspetto. Lo dicono la distribuzione della
ricchezza, le condizioni di lavoro, le diseguaglianze, le sacche di povertà, le contraddizioni che caratterizzano i rapporti sociali ed economici nel paese, l’inesistenza di un sistema sanitario universale, che fanno delle sacche di povertà e di arretratezza di parte della popolazione un elemento funzionale all’assetto generale del sistema economico e di potere, che tuttavia penalizzano milioni di cittadini degli Stati Uniti.
Anche se l’economia del paese sembra marciare con il vento in poppa, attira investimenti e crea lavoro l’inflazione erode progressivamente i salari, creando sempre nuovi poveri, mentre sul piano globale il paese deve confrontarsi con un mondo che si sta organizzando al di fuori di esso. I paesi Brics costituiscono ormai un blocco, sia pure non omogeneo, ma che ha come riferimento il 44 % del mercato e rivendica quote sempre più cospicue di ricchezze e di profitti.
Sia l’egemonia finanziaria e che quella valutaria degli Stati Uniti sono profondamente in crisi e vengono rimessi in discussione dai nuovi assetti che si vanno profilando; in questa situazione il paese è un bivio. Continuare ad impegnarsi su scala mondiale, come potenza egemone, magari agendo di concerto con il blocco dei paesi anglosassoni per mantenere una supposta egemonia sul mondo, oppure rinchiudersi su se stessi e adottare una politica isolazionista sono le alternative di fronte alle quali si troverà la futura presidenza degli Stati Uniti.
Si tratta in sostanza di scegliere se si è prioritario continuare ad aggredire la Russia e lavorare al suo smembramento, oppure se è bene concentrare ogni risorsa per contrastare sui mercati e nella politica internazionale di potenza il crescente peso della Cina. In ambedue i casi l’Europa rimane schiacciata, ridotta nel primo caso a un ruolo di vassallaggio e nel secondo coinvolta nell’azione di contrasto al crescente peso della
Cina nel mondo, sia dal punto di vista economico e finanziario, che di potenza anche militare. Non è un caso che a prescindere da come vadano le cose l’Alleanza atlantica abbia già esteso il proprio raggio d’azione sia l’Africa che al Pacifico.
Anche se la rendita derivante a Trump dall’aver subito l’attentato gli consente di presentarsi come vittima di fronte al paese e costituisce una rendita di posizione innegabile, tutti i giochi non sono ancora fatti e il dibattersi continuo del serpente in preda alle convulsioni, rischia con le sue spire di schiacciare tutto quello che c’è intorno e di produrre danni incalcolabili per tutti.
Un pericolo se possibile ancor maggiore è costituito dal fatto che l’esito non mortale dell’attentato viene attribuito dalla retorica trumpiana a Dio. il che fa nell’immaginario collettivo del probabile futuro Presidente degli Stati Uniti un unto del Signore, con tutte le conseguenze del caso.