A un mese da un colpo di Stato in Niger l’esercito del Gabon ha destituito il presidente Ali Bongo Ondimba, e ha annunciato – tra il tripudio dei suoi sostenitori, prontamente scesi in strada – di aver nominato il generale Brice Oligui Nguema, Presidente di un governo di transizione del paese per ripristinare l’ordine costituzionale. Il colpo di Stato interrompe il predominio nel paese della “dinastia Bongo-Bongo”, ovvero della famiglia Bongo, che aveva preso il potere con il padre già nel 1960, all’indomani dell’indipendenza del paese dalla Francia e al quale, dopo una breve parentesi di un presidente legittimamente eletto, era succeduto nel 2009 suo figlio, ora appena rieletto per la terza volta, grazie a brogli elettorali. L’intervento dei militari – sostenuto dalla Francia – sembra avere una funzione preventiva e cautelativa, e vuole prevenire quanto avvenuto nel contiguo Sahel, prova ne sia che il colpo di Stato è stato attuato con il consenso del contingente militare francese presente nel paese, e che i golpisti hanno subito annunciato di non avere nessuna intenzione di sconfessare gli accordi commerciali ed economici che li legano ai tradizionali partner del paese, ovvero alla Francia. Il fine dei golpisti è dunque quello di controllare saldamente il potere per conto dell’oligarchia locale che ha sempre fatto da tramite agli eterni colonizzatori del paese.
Benché il Gabon non faccia parte geograficamente del Sahel, tuttavia, è uno dei paesi bagnati dal Golfo di Guinea come alcuni di quelli appartenenti al Sahel e quest’area ricopre un ruolo strategico per l’Europa e i suoi approvvigionamenti energetici, ed è divenuta ancora più importante dopo la guerra in Ucraina. Nell’Africa Occidentale e
Centrale la Russia sta facendo di tutto per rispondere alla guerra asimmetrica in corso a latere di quella d’Ucraina attaccando le vie di comunicazione attraverso le quali flussi di energia e materie prime alternativi a quelli provenienti dalla Russia raggiungono l’Europa. Una di quelle più rilevanti è certamente il Golfo di Guinea e segnatamente il Gabon, Stato da quale la Francia (e non solo) importa petrolio, ma anche uranio, nichel ed altri minerali essenziali alla sua economia.
Il ruolo strategico del Golfo del Guinea
Ma c’è di più. Il Golfo del Guinea è uno dei nodi strategici del commercio mondiale: una regione marittima dell’Oceano Atlantico che bagna circa 6.000 km di costa; come parte dell’Africa Occidentale e Centrale, vi si incontrano due sub regioni: quella settentrionale, che include, Senegal, Benin, Togo, Sierra Leone, Ghana, Liberia, Guinea, Guinea
Bissau, Capo Verde, e quella meridionale, che comprende Angola, Camerun, Gabon, Guinea Equatoriale, Nigeria, Repubblica del Congo, Sao Tomè e Principe, Repubblica Democratica del Congo, per un breve tratto. Quest’area dispone di grandi riserve di petrolio greggio e gas naturale e nei paesi che vi si affacciano sono presenti riserve minerarie e agricole; nel golfo viene praticata un’intensa attività, soprattutto dalle multinazionali della pesca d’altura, che congelano il pescato e depredano i pescatori locali, grazie a tecniche più raffinate di pesca, mettendo in crisi il sostentamento delle
popolazioni costiere, affamandole e riducendo la rendita dei pescatori locali che sono costretti a migrare.
Per la loro posizione geografica i Paesi, del Golfo di Guinea acquistano una grande rilevanza come area di passaggio per il traffico marittimo da e verso il continente americano e l’Africa subsahariana con l’Europa: dai paesi rivieraschi del golfo provengono ferro, oro, diamanti, pesca, prodotti agricoli e frutta. L’insieme delle merci che transitano nel golfo sono bersaglio della pirateria che è alimentata e opera al riparo dei problemi di sicurezza originati e/o concausati da ciò che avviene sui territori degli Stati rivieraschi. Tutti gli Stati menzionati vedono un progressivo indebolimento o la
scomparsa dei poteri centrali, il diffondersi della corruzione, della violenza e all’instabilità interna; la governance è debolissima e molti Stati sono sul punto di essere considerati falliti e dichiararsi insolventi del debito contratto.
L’Unione europea sa bene quale sia la situazione e se ne preoccupa, tanto che ha disposto il pattugliamento di queste acque con proprie navi, come ad esempio la fregata Multimissione Antonio Marceglia che nell’area ha svolto di recente una missione di quattro mesi in funzione di contrasto alla pirateria e di sorveglianza delle rotte e delle attività dei più di 1500 pescherecci che operano nell’area insieme a navi oceaniche di pesca, operando insieme ad altre unità di paesi europei. Il raggio d’azione dei pirati, spazia dalla Costa d’Avorio al sud Gabon, ed è divenendo una fonte di reddito alternativo e di sostentamento per le popolazioni rivierasche costrette a delinquere a causa del venir meno delle tradizionali fonti di reddito. Il Golfo di Guinea ha registrato un aumento di quasi il 50% dei rapimenti a scopo di riscatto tra il 2018 e il 2019 e di circa il 10% tra il 2019 e il 2020. La regione ora rappresenta poco più del 95% di tutti i rapimenti a scopo di riscatto in mare.
Tenendo conto che l’industria petrolifera è il pilastro dell’economia dell’area del Golfo di Guinea, grazie alla pirateria si è sviluppato un grande mercato nero del greggio. Il petrolio rubato grazie al sequestro delle navi entra nel circuito economico, grazie ad una rete criminale organizzata che rende redditizio il commercio illegale. Inoltre, il
sequestro di una petroliera consente di chiedere e ottenere il riscatto per la liberazione degli equipaggi.
L’attività di pirateria verso impianti petroliferi e petroliere è causa di numerosi incidenti e sversamenti di greggio che, insieme alle tecniche di estrazione adottate, per nulla rispettose dell’ecosistema del golfo e delle coste, hanno fatto del golfo del Ghana uno dei luoghi più inquinati della terra, accrescendo così l’impoverimento delle risorse naturali con la sistematica e irreversibile distruzione dell’ambiente.
L’instabilità marittima si ripercuote sulle coste e si salda con quella della vicina area del Sahel da dove proviene il commercio che dall’interno dell’Africa si riversa sulle coste. Inutile dire che in questa situazione di instabilità internazionale, dovuta alla guerra Ucraina e ai problemi di approvvigionamento in campo energetico, la situazione appena
descritta desta non poche preoccupazioni in Occidente ed entra a far parte a pieno titolo di quella guerra asimmetrica che la Russia conduce estendendo la propria influenza nel Sahel e minando le basi della presenza occidentale in Africa.
Alle popolazioni del Gabon come del Camerun e del Togo non resta altra via per sfuggire alla fame, alla miseria e alla morte che fare di tutto per emigrare. E a farlo è la parte più forte e valida della forza lavoro della popolazione che ritiene di avere le forze per affrontare il viaggio, ma che lasciando il paese, lo impoverisce economicamente e lo priva delle forze più valide che potrebbero potenzialmente contribuire a mutarne la gestione politica.
Il governo dei Bongo-Bongo
Riportando la nostra attenzione sul Gabon ben si comprende, alla luce di tutto questo, che anche l’Unione europea, questa volta. ha prontamente applaudito all’iniziativa del golpe militare; evidentemente 56 anni di dominio della famiglia Bongo sono troppi anche per il compassato Borrell, alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Vicepresidente della Commissione ma di scarsissime capacità politiche e prestigio. Dopo ciò che è avvenuto nel vicino Sahel l’area risente di un’estrema instabilità in quanto diversi paesi che ne fanno parte subiscono gli effetti di situazioni interne di divisione e frammentazione etnico-religiosa, pagano le conseguenze di confini artificiali che producono fenomeni irredentisti/separatisti, in parte eredità sia del colonialismo che della storia particolare delle ex colonie.
Questi effetti si fanno sentire soprattutto in Togo, Camerun e appunto il Gabon, un paese di appena 2 milioni di abitanti circa, ricco di risorse, ma con una popolazione poverissima, che risente in modo rilevante gli effetti di un post colonialismo di rapina, che ha speculato sull’alleanza con le leadership locali asservite a poteri economici e politici esterni per sfruttare le risorse del paese, stravolgere l’economia dei territori, quella agricola in particolare, che permettevano la autosussistenza, imponendo la monocoltura e la superproduzione di caffè e cacao.
La stratificazione delle popolazioni locali è del resto stata artatamente costruita al fine di contrapporre le tante etnie tra di loro e spingerle al conflitto e all’odio in modo da poterle meglio governare. Nel vicino Camerun e nei territori contigui del Gabon e del Togo i francesi – succeduti ai colonizzatori tedeschi e portoghesi – sperimentarono la tecnica dei villaggi fortificati, inventata dai primi coloni tedeschi e adottata dai nuovi colonizzatori come strumento di assimilazione delle popolazioni indigene.
Dagli insediamenti sulla costa partivano le spedizioni per catturare le popolazioni indigene che venivano forzatamente condotte in villaggi fortificati preventivamente predisposti. Qui iniziava un’opera di assimilazione religiosa, di mutamento del costume, imponendo agli indigeni che in una temperatura media di 27° gradi vivevano nudi di vestirsi, impartendo una educazione rudimentale agli usi occidentali. Completata questa prima fase di assimilazione, una seconda spedizione partiva per raccogliere nuovi schiavi da introdurre nei villaggi fortificati, ai cui abitanti era stato spiegato che i nuovi venuti sarebbero stati i loro schiavi perché essi, divenuti civili grazie ai costumi assimilati, avevano diritto a farsi servire dai “selvaggi”.
Questo meccanismo venne ripetuto con successive spedizioni, è stato applicato fino a creare una stratificazione tra la popolazione che ha dato vita alla realizzazione di élite indigene con il compito di tenere sotto controllo e in una posizione subordinata la massa della popolazione; il meccanismo di stratificazione sociale era reso operativo da un’idonea legislazione che assicurava il perpetuarsi della subordinazione e inclusione delle popolazioni rurali della foresta e della savana. A riprova dell’efficacia dei metodi di “assimilazione” adottati, basti citare il fatto che durante la Seconda guerra mondiale questa parte dei domini francesi d’Africa rimase fino all’ultimo fedele al governo di Vichy e che fu necessario l’intervento della Marina inglese per liberarsi dell’amministrazione coloniale francofona, controllata dai fascisti, il che la dice lunga sui colonizzatori!
D’altra parte, costoro operavano in un contesto etnico culturale abbastanza complesso caratterizzato dalla presenza di popolazioni animiste, accanto a popolazioni islamizzate dalle confraternite islamiche, da popolazioni pigmee, in conflitto con quelle Bandu e Fang che erano migrate su questi territori, (ma in Gabon le etnie presenti sono ben 40!) [1]
La controffensiva occidentale
La prima vittima della nuova strategia politica occidentale dei colpi di Stato autoprodotti è Ecovas (Economic community of West African States), organizzazione regionale alla quale appartengono i 15 paesi africani dell’area citati.
Questa istituzione internazionale, istituita con il trattato di Lagos del 1975, è rimasta per lungo tempo inattiva, fino al 1993-95. Da allora si è assistito ad un progressivo aumento della cooperazione economica e politica fra gli Stati membri con il tentativo di dar vita ad una moneta unica. Sul piano più strettamente politico l’ECOWAS ha assunto un ruolo di rilievo nel mantenimento della sicurezza nella regione, svolgendo, congiuntamente all’OUA (Organizzazione dell’unità africana) e alle Nazioni Unite, opera di mediazione nelle crisi, partecipando a missioni di interposizione in occasione di
conflitti locali che hanno visto coinvolti gli Stati associati.
Del resto, il fallimento dell’organizzazione è testimoniato da quanto avvenuto in Mali e in Burkina Faso e recentemente in Niger, il che dimostra al tempo stesso il fallimento della politica di presidio del territorio svolta dalla Francia. In particolare, viene rimesso in discussione il ruolo della Nigeria che di fatto rappresenta il paese leader dell’organizzazione che agisce come sub-agente dell’Occidente; le potenze occidentali sembrano confidare ancora una volta sulle forze militari della regione, molte delle quali si sono formate nelle accademie francesi, e delle quali si presume la fedeltà ai valori democratici. Tuttavia, l’esperienza ha dimostrato quanto ricca di incognite sia questa soluzione e soprattutto ancora una volta quanto sia difficile esportare il modello di democrazia occidentale in paesi nei quali si è fatto di tutto per creare una situazione di classe decisamente terzomondista, totalmente dipendente dai giochi di alleanza di
volta in volta intavolati con le élite locali, eredi dei colonizzatori.
A causa del mancato rinnovamento della politica occidentale nei modi e nei metodi di azione sembra quindi avere buon gioco da un lato la Russia, nel momento in cui attraverso milizie private sostiene i tentativi delle diverse fazioni di gestire il potere in questi paesi con governi militari che, accettano di buon grado il “protettorato russo” ripagato con un accesso privilegiato alle risorse del paese e che è in grado di assicurare il sostegno militare contro il pericolo jiadista, che facendo gioco sulle diseguaglianze sociali, si erge a difensore dei popoli e della tradizione, si erge a nemico dei militari golpisti, e fa del rifiuto dell’occidente e dei suoi valori una bandiera.
In concorrenza e in parte di concerto con la presenza russa operano i cinesi i quali adottano una politica di penetrazione economica e commerciale che si distingue per la proposta di realizzazione investimenti in infrastrutture in cambio dello sfruttamento delle risorse di materie prime e monopolio del commercio e permette a questi paesi di
intravedere con la creazione di infrastrutture minime almeno la prospettiva dello sviluppo dei loro territori e un maggior benessere delle popolazioni che cedono le loro risorse in cambio di qualcosa che, ancorato al territorio, resta nella disponibilità del paese.
[1] G. Cimbalo, Le confraternite islamiche nei Balcani: un modello di Islam europeo plurale, in “Daimon”. Annuario di diritto comparato delle religioni, Il Mulino Bologna, 2009, pp. 225-245; ID. L’Africa in miniatura. Prime note su diritto e religione in Camerun, Diritti culturali e religiosi tra Africa ed Europa (a cura di F. Alicino e F. Botti), Giappichelli Editore, Bari, 2011.
G.L.