La sinistra da tempo sembra aver perso per strada alcune capacità critiche che nel secolo scorso sembravano farle molto meno difetto. Ora, intendiamoci, già il termine “sinistra” sarebbe da declinare, precisare, suddividere ecc…, ma non è questo il luogo (casomai ne esistesse uno) per un tale discorso. In queste poche righe volevo parlare dell’agile, ma denso, libro di Francesca, “dada” Knorr, Neurobiscotti. Pandemia e pubblicità.
Dunque, dicevo, al netto della declinazione opportuna del termine “sinistra”, negli ultimi decenni è accaduto qualcosa di molto rilevante. Se, da un lato la tecnologia informatica e quella legata alla comunicazione, hanno compiuto passi inimmaginabili appena un decennio orsono, a sinistra pare essersi molto affievolita la capacità di studio. Ovvero la
capacità di proporre uno sguardo che sia in grado di andare non solo al passo con le trasformazioni, ma che conservi la capacità critica necessaria per affrontarne tutte le sfaccettature. E che, soprattutto, abbia mantenuto la barra dritta di una critica strutturale al capitalismo in tutte le sue declinazioni.
Abbiamo invece, da un lato, soggettività radicali ma che, seppure abili utilizzatrici delle nuove tecnologie comunicative, non sembrano in grado di spostarsi all’interno di questa macchina che ha trasformato letteralmente i cervelli, e, dall’altra, nella sinistra “liberal”, vediamo approcci privi di qualunque spessore critico. Come se, il “baffone” degli anni ‘50 fosse stato sostituito da altre meravigliose sorti e progressive: L’Unione Europea e i social. Senza più uno straccio di pensiero.
La densa introduzione al libro (di Bruno Ballardini) è un attacco senza mezzi termini al prevalere del Marketing e al futuro virtuale. A parte gli echi “adorniani” di queste pagine introduttive è certamente significativo il fatto che questa parola sia ormai divenuta endemica nel linguaggio non solo pubblicitario e pare ormai appartenere all’universo politico e al nostro panorama sociale tout-court. Soprattutto da quando è stato preso “in carico” dalle istituzioni pubbliche. Abbiamo ormai territori che si vendono, disneyland a cielo aperto dove la storia reale appare tramontata. Lo scopo della pubbliche amministrazioni non è più quello di governare e rispondere ai bisogni sociali e culturali, ma di crearne di nuovi, inventarli e misurarli (la misurabilità è ormai il vero flusso fondamentale, insieme valore economico e controllo sociale).
L’autrice si sofferma invece sulla trasformazione della “pubblicità” e la sua accelerazione durante la pandemia di covid 19, anzi durante la gestione della stessa. Ora, seppure si tratti di un breve testo, come ho indicato in apertura, la sua notevole densità non permette in questo spazio una disamina completa e, nel mio caso, si aggiunge anche una notevole dose di soggettività. Ragion per cui raccomando innanzitutto la lettura di questo lavoro.
I punti toccati sono veramente tanti. Innanzitutto la pervasività del capitalismo “della sorveglianza” unito alla potenza dei social e alla personalizzazione/profilazione ormai a livelli parossistici (ma le cose peggioreranno assai) si indirizza verso la creazione di un essere umano radicalmente nuovo (laddove L’”uomo nuovo” non era riuscito ai totalitarismi del secolo scorso, che appaiono oggi sempre più vetusti). Un soggetto radicalmente solo e mosso dai propri desideri che si devono avverare (ovviamente previa necessaria disponibilità economica). Così la pubblicità usa e sussume l’”inclusività” delle nuove frontiere dei “diritti civili”, capovolgendone letteralmente il segno. Si tratta, appunto, di favorire scelte individuali, atomistiche, ovvero il contrario di ogni forma libertaria e liberatoria. Ognuno è invitato/costretto a costruire la propria soggettiva (ma in realtà oggettiva) bolla personale, anche all’interno dei singoli
nuclei familiari. I quali se prima si radunavano in silenzio davanti alla TV generalista, ora lo fanno singolarmente, creando ognuno il proprio universo.
La sempre più necessaria brevità dei messaggi, che corrono su un terreno amplissimo ma superficiale, “rimappano” il cervello, eliminando sempre di più la profondità. Mi permetto di aggiungere che, ad esempio, questo lo si coglie, proprio nel mondo dei social, nella sempre più difficile comunicazione metaforica. Mancando un piano comune su cui inserire un dialogo, ogni affermazione va misurata prefigurandosi la platea pluri-sezionata e sempre più suscettibile (portatrice di istanze individuali e atomizzate).
L’autrice illustra bene la fine che fanno le pubblicità più narrative ed “intelligenti” come ad esempio quella del “buondì motta” di qualche anno fa. A dire il vero qualcosa di simile era già accaduto con la pubblicità delle Valda e Paolo Hendel negli anni ‘80).
In questo contesto, di vera e propria ridefinizione del contesto sociale, quella che una decina di anni fa Colin Crouch aveva definito “postdemocrazia”, ha saltato il fosso, eliminando anche le apparenze formali della democrazia rappresentativa. Decisioni veloci, pratiche, superficiali, gestite con i portatori di interesse che bypassano qualunque partecipazione elettorale, ormai a livelli di insignificanza.
Mi fermo qui lasciando alla curiosità del lettore i tantissimi spunti che il libro è in grado di avviare.
C’è davvero tanto in questo testo, che va a coprire uno spazio che, affrontato in questi termini, mancava.
Andrea Bellucci
*Francesca, “dada” Knorr, Neurobiscotti. Pandemia e pubblicità, Novalogos 2023, € 10,00