I padroni e il salario

Il Salario è da sempre per i lavoratori la misura della loro remunerazione che dovrebbe consentire, come afferma la Costituzione, una vita libera e dignitosa. Persino i pontefici nel loro magistero sul lavoro affermano il “diritto dei lavoratori ad un salario giusto ma parco” (Leone XIII, Rerum Novarum). Oggi i padroni sono costretti a prendere atto dall’evidenza che i salari che corrispondono sono bassi al punto tale da non garantire la sussistenza. Si parla quindi di lavoro povero e da più parti viene proposta l’adozione per legge di un salario minimo. Finalmente anche l’Italia si trova di fronte a questo problema in una situazione particolare, la destra al governo e una sinistra che ha sempre sostenuto che la tutela salariale debba appartenere alla contrattazione sindacale, piuttosto che alla legge. In effetti il ricorso alla legge è di carattere emergenziale a fronte dell’incapacità, oggi, delle organizzazioni sindacali di garantire un salario sufficiente a vivere dignitosamente.
Metodi partiti da opposizione si trovano concordi per chiedere al governo un intervento legislativo che essi sono stati incapaci di mettere a punto e farla provare quando ne avevano la possibilità e la maggioranza, la destra al governo resiste sostenendo di voler tutelare i salari, paventando che l’adozione del salario minimo per legge comprimerebbe la contrattazione spingendo ad una stagnazione dei salari al ribasso, ed offrendosi, in alternativa, disponibile ad intervenire sul cosiddetto cuneo fiscale per garantire un aumento in busta paga dei salari che sarebbe puramente nominale e di fatto costituisce una truffa.

Il cuneo fiscale

Il cuneo fiscale è costituito da un indicatore percentuale che determina il rapporto tra tutte le imposte sul lavoro e il costo del lavoro totale, è cioè quella parte di salario che l’imprenditore sottrae al salario corrisposto al lavoratore per devolverlo al fisco come contributo derivante dal lavoro alla fiscalità generale. Il taglio del cuneo fiscale, quindi, è la “riduzione delle tasse” corrisposte dai lavoratori dipendenti, i quali non pagano più le imposte e i contributi desinati a finanziare lo stato sociale e i servizi e va ad aumentare lo stipendio netto corrisposto al lavoratore.
A questo punto è opportuno riflettere su come è fatto il salario che è costituito dalla paga corrisposta in busta paga che prende il nome di salario diretto virgola e dal salario indiretto costituito dai servizi che nell’insieme la società assicura ad ogni cittadino ovvero scuola gratuita, servizio sanitario nazionale, infrastrutture come strade ponti e quant’altro necessario all’organizzazione della vita sociale, insomma quell’insieme di prestazioni che prendono il nome di servizi.
Riducendosi il contributo fiscale percepito dallo stato per mettere a disposizione dei cittadini i servizi occorrenti in buona qualità e quantità, ovviamente si riducono le prestazioni quindi se da un lato aumenta il salario reale corrisposto in busta paga dall’altra, contemporaneamente, diminuisce il salario indiretto, ovvero le prestazioni e i servizi.
Il ruolo delle imposte è quello di realizzare redistribuire la ricchezza prodotta sotto forma di benefici per tutti, consentendo all’intera collettività di godere di beni e servizi, i quali devono, o forse sarebbe il caso di dire, dovrebbero contribuire anche i datori di lavoro e i detentori della ricchezza, attraverso una tassazione progressiva, attuata secondo
delle possibilità di ognuno: così, almeno, stabilisce la Costituzione.
Alla luce di quanto abbiamo detto si capisce perché i padroni preferiscono e chiedono con forza la riduzione del cuneo fiscale pur di non aumentare i salari aumentando il costo del lavoro, che sarebbe una spesa a loro carico. In tal modo non solo essi risparmiano ma colpiscono proprio quella funzione ridistributiva e solidaristica che è l’obiettivo prioritario del sistema fiscale adottato dallo Stato per consentire ad ognuno secondo le sue possibilità di contribuire al benessere comune e redistribuire la ricchezza.
La conseguenza vera della riduzione del cuneo fiscale è che ognuno diventa direttamente gestore della propria miseria, poiché dovrà provvedere a pagare la scuola, a pagare la sanità per garantirsi la salute, a sopportare i costi per raggiungere il posto di lavoro, spendendo di suo e attingendo al salario, e provvedere direttamente a quant’altro è necessario alla vita di ogni giorno sotto forma di beni e servizi oggi garantiti dallo Stato. Ecco perché l’operazione su cuneo fiscale costituisce di fatto una riduzione del salario, a tutto beneficio dei padroni e della società che essi vogliono
costruire. Non è un caso che il principale sostenitore di questa linea sia proprio Forza Italia, il partito padronale per eccellenza, il quale pensa come il suo fondatore che sarebbe bene che ognuno gestisca personalmente le proprie risorse, ad esempio, per assicurarsi la salute. Ed gli infatti, durante la sua vita, ne ha dato splendido esempio, ricorrendo alle prestazioni del San Raffaele, ospedale privato del quale egli ha potuto mummificamente pagare le prestazioni, cosa che i percettori di salari, sia pure arricchiti dalla riduzione del cuneo fiscale, non avranno mai la possibilità di potersi garantire.
Ne viene che necessariamente noi, persone comuni, ambiremmo disporre di un servizio sanitario che funziona, che garantisce a tutti l’accesso, senza dover attendere ottenere una prestazione di dover scalare liste chilometriche di attesa.
È su questo terreno che si misura la diversa visione di società fra destra e sinistra proprio perché, prova ne sia, la diminuzione di fatto degli stanziamenti in materia sanitaria, i non investimenti nel settore dei fondi del PNRR, testimoniano della volontà di affossare sempre di più la sanità pubblica a vantaggio di quella privata, in modo che
all’aumento nominale degli stipendi corrisponderà la necessità di pagarsi le cure in caso di malattia. Bisogna rendersi conto che ciò che è diverso tra destra e sinistra è la diversa visione del mondo per cui il più debole, il più disagiato l’ammalato, colui che ha bisogno di solidarietà e di aiuto deve risolvere da sé i suoi problemi, magari aiutato dalla carità di questa o quella Fondazione o associazione solidaristica, strumenti che servono spesso esclusivamente a lavarsi la coscienza e a mettere in atto operazioni di immagine tanto utili e necessarie in una società come quella attuale: la società
dello spettacolo dove media e telegiornali pubblicizzano l’immagine dei pescecani, sfruttatori del lavoro.
Lo smantellamento dello Stato sociale e dei servizi è in atto e non bisogna farsi ingannare dalla contingenza che la diminuzione di alunni permette di rendere meno visibile la riduzione di risorse per l’istruzione e la scuola perché per quella che riesce ancora a funzionare si riduce la possibilità di operare. Se è diminuzione del numero di studenti a causa della crisi demografica permette di dover pagare meno docenti e di ridurre il numero delle classi, bisognerebbe invece guardare alla crescita dell’abbandono e alla necessità del recupero di coloro che evadono la scolarità, preparandosi così ad essere espulsi dal mondo del lavoro, rinforzando le aree di disagio sociale.

Per una politica sociale di classe

Occorre infine la sinistra si attrezzi dialetticamente a spiegare che la riduzione del cuneo fiscale non fa parte degli strumenti con i quali essa pensa di incidere sui salari, per le regioni ragioni che abbiamo appena esposto ma che lo strumento di intervento sul salario risiede solo nell’inevitabile aumento del costo del lavoro per i padroni, e questo anche se presenta grandi difficoltà, politiche essere contrari a operazioni sul cuneo fiscale, poiché comunque ne deriva un aumento (apparente) della busta paga, rende difficilmente comprensibile un contrasto di queste scelte. Basterebbe alla sinistra impegnarsi a spiegare il rapporto tra salario diretto e indiretto e soprattutto la visione esatta del funzionamento dei rapporti di classe, della solidarietà, la diversa visione del benessere dei cittadini e di lavoratrici e lavoratori.
È per questo motivo che, pur considerando meritevole l’iniziativa sul salario unico, riteniamo che la strategia di attacco al governo vada articolata e arricchita di proposte di lotta e di terreni di scontro politico e sociale. Certamente occorre che l’opposizione si impegni sulla riforma fiscale, evitando le flat tax generalizzate a favore di un fisco
progressivo nella tassazione delle ricchezze, ma così facendo, accanto all’impegno sul fisco occorre aprire una grande stagione riformatrice per quanto riguarda l’erogazione dei servizi garantendone il funzionamento, assicurandone tempi certi e veloci di effettuazione delle prestazioni, soprattutto per ciò che riguarda i servizi sanitari e le liste di attesa; occorre impegnarsi per il recupero dell’evasione scolastica e per una maggiore efficienza generale delle prestazioni dei servizi alla persona e quelli collettivi .
Una tale stagione di lotte non può prescindere da un ripensamento delle modalità con le quali fare politica, da un ritorno nei luoghi di lavoro e nei quartieri, tenendo conto che con il lavoro a distanza, le condizioni dei luoghi di lavoro sono cambiate e che, quindi, occorre trovare nuove modalità con le quali rapportarsi ai lavoratori ed organizzarli. Occorre non dimenticare quella parte di cosiddetto lavoro povero e di lavoro nero o precario, combattendo certamente per la stabilità del posto del lavoro e contro ogni forma di precariato, ma al tempo stesso non bisogna commettere l’errore di limitare le lotte e gli interventi al mercato del lavoro legale. Ciò che bisogna aggredire con forza è il mercato del lavoro nero e questo significa necessariamente misurarsi con l’integrazione dei migranti, con la loro regolarizzazione, in modo da far sì che non esista un mercato nero parallelo del lavoro che funga da strumento costante di ricatto dell’altro mercato del lavoro, quello regolamentato, comunque caratterizzato da sfruttamento e precarietà, anche se in misura minore, creando così l’illusione di una contrapposizione di interessi tra i due blocchi sociali che così si costituiscono, che in realtà sonno soggetti entrambi allo sfruttamento anche se mutano modalità e intensità.
L’unità di classe, la lotta solidale e comune, l’internazionalismo, rimangono ancora valori fondamentali di lavoratrici e lavoratori che sono essenziali al successo delle lotte sociali e che permettono di presentare al fronte patronale sempre unito e compatto nella difesa dei propri interessi, un fronte comune sufficientemente unito e capace di esercitare la forza necessaria ad ottenere condizioni di vita e di lavoro almeno dignitose.

G. L.