Grano ucraino e solidarietà occidentale

Il 17 luglio la Russia ha posto fine all’accordo sull’esportazione del grano e dei cereali ucraini, siglato con la mediazione della Turchia e iniziato la rappresaglia con il bombardamento del porto di Odessa in risposta al danneggiamento del ponte che collega la Crimea alla provincia di Kerson.
I paesi occidentali che sostengono l’Ucraina hanno subito protestato per la cessazione dell’accordo, sostenendo che in questo modo si affamano i diversi paesi che nel mondo dipendono per il loro approvvigionamento dalla produzione cerealicola proveniente dall’Ucraina. A questa osservazione la Russia ha risposto evidenziando che delle esportazioni ucraine solamente una minima parte ha raggiunto i paesi del terzo mondo e che a beneficiarne sono stati soprattutto i paesi belligeranti con la Russia, i quali, peraltro, si sono ben guardati dal rendere, secondo la Russia, operante l’interruzione delle sanzioni sulle esportazioni agricole russe e l’operatività di banche russe che si occupano di transazioni di prodotti agricoli sul mercato bancario.
In realtà la questione è ancora più complessa poiché, in risposta al blocco alla navale sovietico dei porti ucraini lo Stato ucraino aveva cercato vie alternative all’esportazione di grano, di semi di girasole e di granturco, ricorrendo al trasporto ferroviario attraverso gli Stati confinanti ad Occidente e, attraverso di essi, cercando di guadagnare i porti per le esportazioni di queste merci: il grano e gli altri prodotti avrebbero dovuto transitare attraverso l’Ungheria, la Polonia, la Cechia e la Romania, ma i produttori agricoli di questi paesi, che costituiscono l’elettorato privilegiato di riferimento dei governi di questi paesi e sono schierati su posizioni di destra hanno violentemente protestato, poiché le merci ucraine, circolando nei mercati di questi paesi, producevano una caduta notevole dei prezzi di questi generi alimentari, perché i trasportatori di tali merci non disdegnavano di collocarle sui mercati locali attraversati. Si aggiunga che la lunghezza dei trasporti, la difficoltà di essi a causa della scarsa disponibilità di treni e della differenza di scartamento tra le ferrovie ucraine e quelle europee, producevano un aumento dei costi di trasporto insopportabile, senza contare che a questi costi bisognava aggiungere il maggior percorso che le merci avrebbero dovuto fare per raggiungere i mercati di vendita, partendo dai porti baltici anziché da quelli del Mar Nero. Il solo trasporto relativamente conveniente restava quello attraverso la Romania, reso tuttavia difficoltoso dal fatto che doveva avvenire attraverso chiatte che percorrono i canali interni del Danubio e del sistema fluviale del Delta del di Dnepr per poi essere imbarcati sulle navi nel porto di Constanța, in Romania. In questa situazione l’accordo con la Russia era divenuta l’unica possibilità di sbocco per le merci ucraine, affinché non marcissero nei silos ormai stracolmi e prendessero la strada delle esportazioni.
L’accordo per l’esportazione del grano si inseriva d’altra parte in una serie di relazioni economiche che sono rimaste in vita, malgrado la guerra, perché, benché le parti siano impegnate in una lotta che sta seminando migliaia di morti e rovine inenarrabili, sta producendo orrori ed odi incolmabili fra popolazioni una volta sorelle, gli affari vengono
prima di tutto e perciò, durante la guerra, non solo il commercio del grano ma anche quello del petrolio attraverso gli oleodotti che attraversano l’Ucraina è continuato, con buona pace di tutti ovvero con il pagamento da parte dei russi del diritto di passaggio agli ucraini e con gli ucraini che riscuotevano i diritti di passaggio.

Pecunia non olet

Per questo motivo la Russia nel denunciare l’accordo ha sostenuto che avvantaggiava solamente l’Ucraina dal punto di vista economico, risolvendole momentaneamente alcuni problemi, ma non assicurava una corrispondente utilità alla parte russa. Per ovviare alle critiche relative al fatto che la mancata esportazione di grano e di altri prodotti produceva la crisi alimentare dei paesi poveri che dipendono da queste forniture, la Russia si è offerta di sostituire quelle ucraine con propri prodotti, essendo anch’essa produttrice di grano, semi di girasole granturco e quant’altro veniva prodotto
dall’ucraina. Quando sta avvenendo dimostra che la solidarietà occidentale dei governi europei ha un limite nei loro interessi elettorali, prova ne sia non hanno nessuna intenzione di inimicarsi gli agricoltori dei rispettivi paesi che fanno parte dell’elettorato che quei governi sostiene in vista delle prossime elezioni europee.
Quanto avvenuto a proposito della produzione agricola suggerisce un’altra riflessione: insinua un dubbio relativo anche alla grande solidarietà mostrata dai paesi conbelligeranti dell’ucraina nell’accogliere i profughi da essa provenienti.
Profughi che sono stati accolti con disponibilità e benevolenza è opportunamente assimilati attraverso politiche di facilitazione della migrazione, certamente nuove per questi paesi che si sono sempre rifiutati di accogliere migranti. Il fatto è che gli ucraini sono di pelle bianca, provengono da una società che ha molte affinità e similitudini culturali con quelle dei paesi ospitanti, appartengono in generale alla religione cristiana, cattolica o ortodossa che sia, sono dotati, in genere, di una buona preparazione professionale e quindi possono più agevolmente, facilmente e convenientemente essere integrati nel mercato del lavoro dei paesi di accoglienza, i quali soffrono di una forte depressione demografica, ed hanno bisogno di integrare la loro popolazioni. Meglio farlo con una migrazione “compatibile” e non piuttosto che aprendo le
porte a quella proveniente dal Nord Africa o dal resto del mondo.
Un caso tipico di solidarietà interessata.

Enrico Paganini