Le tre (dis)grazie

Dopo secoli di dominanza maschie attualmente godiamo della presenza 22 donne leader tra i capi di Stato e di Governo alle quali va aggiunta Cristine Lagarde Presidente della BCE. Tutte loro, in vista delle elezioni europee intendono restare e rafforzare il loro ruolo. Abbiamo perciò focalizzato l’attenzione su tre di loro che ricoprono posti chiave della politica europea, raffigurate nel trittico: Ursula Gertrud von der Leyen, nata Albrecht, che ricopre la carica di Presidente della Commissione europea, Roberta Tedesco Triccas, coniugata Métsola, Presidente del Parlamento europeo alla sua destra e quella ritratta a latere, la Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, utilizzandole come figure paradigmatiche per una riflessione più generale sulle donne in politica.
Il femminismo, nella sua fase post ’68, ha sostenuto con forza l’importanza dell’impegno politico delle donne, affermando che una loro presenza nelle istituzioni, soprattutto se nelle funzioni dirigenti e apicali della politica, avrebbe certamente contribuito a rendere più umane le decisione dei governanti, conferendo alle azioni dei Governi quel tocco femminile che si concretizzerebbe anche in politica un diverso modo di agire, proprio
delle donne. Si giungeva addirittura a sostenere che l’appartenenza di genere influisse in modo determinante sulle politiche condotte dai diversi governi, indipendentemente dalla loro collocazione negli schieramenti politici, per il solo fatto che a gestire le istituzioni fossero delle donne; questa convinzione veniva declinato nello slogan divenuto ormai famoso e multiuso: “donna è bello”.
Quanto sta avvenendo dimostra il modo inequivocabile la fallacia di tale affermazione, solo che si esaminino le politiche che caratterizzano i governi e gli Stati al cui vertici troviamo delle donne. Notiamo innanzitutto che, forse non a caso, la loro provenienza è principalmente da partiti di destra o di centro (il che la dice lunga suil maschilismo della sinistra) e che anche quando esse appartengono a partiti di sinistra le loro politiche guerrafondaie e disegualitarie non sono dissimili da quelle di governi che li hanno preceduti, retti da uomini, e, sia è detto per inciso, non costituisce nemmeno eccezione il caso in cui le leader in questione sono dichiaratamente appartamenti a comunità LGBTQ o ad esse fanno riferimento.
D’altra parte noi abbiamo sempre pensato che far discendere gli atteggiamenti e le posizioni politiche o anche ritenerle condizionabili dall’appartenenza di genere dei governanti o dai loro gusti o preferenze in materia sessuale, rappresentasse un illustre sciocchezza che nella sostanza ha alla base un contenuto razzista e discriminatorio, poiché, al pari del fattore relativo all’appartenenza etnica o alla pigmentazione del colore della pelle, è inaccettabile e fuorviante considerarlo come elemento condizionante dei comportamenti politici.
Questo perché sappiamo bene che la politica è espressione di convincimenti ideologici, ma soprattutto espressione di interessi economici e di mercato e quindi, come tale, può essere rappresentata e garantita a livello apicale, ma anche a qualsiasi altro livello, indipendentemente, da soggetti appartenenti a gruppi diversi siano essi di tipo sessual-affettivo che di cultura e formazione, condizionata dalla appartenenza a gruppi etnici,
e al possesso di altri elementi che definiremmo meramente sovrastrutturali. In altre parole se un governante è stronzo e conduce delle politiche che danneggiano le classi subalterne, oppure propongono rapporti sociali improntati alla diseguaglianza, alla persecuzione delle minoranze, all’emarginazione dei poveri, perseguono la distribuzione diseguale della ricchezza, privilegiando le classi più abbienti, sostenendo politiche di potenza che ricorrono alla guerra e al militarismo per affermare le posizioni di potere e difendere gli interessi dei quali sono portatori/ci, ebbene, non ha alcuna importanza che i governanti siano uomo o donna: tutto ciò semina solo danni, per questo va combattuto. Le tre (dis)grazie costituiscono in tal senso esempi emblematici.

Quando donna è brutto

Le tre figure simboliche utilizzate confermano ampiamente il nostro punto di vista. La Presidente dell’Ue è “figlia d’arte”, suo padre è stato Presidente della Bassa-Sassonia. Di interessi culturali mutevoli è passata dallo studio dell’archeologia a quello di economia per approdare infine a quelli di medicina. Come non pochi altri politici, non solo tedeschi, ha plagiato il 43,5% della tesi di laurea – come ha accertato una commissione di inchiesta promossa dalla scuola di Medicina di Hannover. dove si è laureata, ma che ha mantenuto validità al suo titolo di studio, sostenendo che non è
stato accertato quanto la von der Leyen fosse consapevole del plagio. Da parte sua l’interessata si è guardata bene dal trarne le conseguenze, come hanno fatto altri politici tedeschi incorsi negli stessi comportamenti. Iscritta all’Unione Cristiano-Democratica di Germania (CDU) e divenuta ministra, dopo numerosi incarichi, è approdata al Ministero della difesa nel 2013 dove resta ininterrottamente fino al 2019 e dove ha potuto coltivare la sua vocazione guerrafondaia. In tale veste intreccia solidi legami con l’industria bellica e nel 2015 viene coinvolta in uno scandalo legato all’acquisto di 138 elicotteri da guerra: i velivoli, costati l’ingente somma di 8,5 miliardi di fondi statali, presentavano peraltro numerosi problemi tecnici e criticità. I suoi rapporti con l’industria bellica tedesca richiamano l’attenzione del Parlamento che vara una commissione di inchiesta sul costo delle consulenze esterne di diversi ministeri; in questa occasione la ministra dimostra notevoli capacità di occultamento del suo operato facendo distruggere le intercettazioni dei suoi telefoni prima che giungano alla commissione di inchiesta, inaugurando una sua peculiare abilità che eserciterà anche successivamente.
Nel 2019 promuove la politica del governo tedesco sulle esportazioni di armi in Arabia Saudita e Turchia e di collaborazione con l’India nella costruzione di sottomarini. Nel 2019, sostenuta dall’industri bellica tedesca e mentre era ancora Ministro della difesa di Germania, diviene Presidente della Commissione con 383 voti a favore su 733 votanti
(appena 9 voti di scarto). Dal precedente incarico si dimette solo il giorno dopo la sua elezione. Nel suo nuovo incarico la von der Leyen sposa il business della transizione energetica, della tutela dell’ambiente, dell’innovazione tecnologica e della sovranità economica Da queste scelte nasce il piano Geen New Deal che indica come prioritario l’obiettivo di “rendere l’Europa il primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050, stimolando l’economia, migliorando la salute e la qualità della vita delle persone, prendendosi cura della natura e migliorando l’ambiente”.
Durante il suo mandato la von der Leyen ha dovuto affrontare l’emergenza Covid e hanno destato non poche perplessità e sospetti i negoziati che hanno portato all’acquisto da parte dell’Unione Europea dei vaccini prodotti da Pfizer/BioNTech e AstraZeneca. La richiesta di accesso ai documenti, ha avuto come risposta che i messaggi erano stati cancellati perché di “natura effimera”. Inutilmente nel febbraio 2023 il New York Time porta la Commissione Europea in tribunale per non aver reso pubblico lo scambio di messaggi tra la Presidente, Ursula von der Leyen, e il Ceo di Pfizer riguardo il negoziato che ha portato all’acquisto delle dosi di vaccino per il Covid.
Ma è con la guerra in Ucraina che la von der Leyen può compiutamente riscoprire la  sua genuina passione per le armi e la guerra, offrendo un forte sostegno a Kiev non sono per ottenere finanziamenti ma, soprattutto, per promuovere l’invio di armi, non tralasciando occasione pubblica per esibirsi in abbigliamento con i colori della bandiera ucraina che sostituiscono i suoi improbabili maglioncini rosa. Il suo trionfo lo raccoglie in patria sponsorizzando la scelta del governo di finanziare con uno stanziamento di 1.000 miliardi di euro il riarmo del paese, complice la Ministra della difesa Christine Lambrecht.

Da Malta una democristiana allevata dalla burocrazia di Bruxelles

La presidente del Parlamento europeo è, a sua volta, un prodotto della burocrazia comunitaria. Avvocato specializzato in diritto politico europeo ha ricoperto il ruolo di addetto alla cooperazione legale giudiziaria di Malta all’interno della rappresentanza permanente del suo paese presso l’Ue. Iscritta al Partito Nazionalista Maltese Moviment Zgħazagħ Partit Nazzjonalista, è stata uno dei dirigenti del movimento giovanile del Partito Popolare Europeo e segretario generale. distinguendosi nella politica caratterizzante e identitaria del partito di netta opposizione al movimento LGBTQ, per il quale ipotizza una legislazione speciale differenziata ed identifica l’omosessualità con l’appartenenza al comunismo sovietico (sic!). Dopo aver mancato più volte l’elezione al Parlamento sia nel 2004 che nel 2009 è subentrata a un suo collega di partito, dimessosi per essere stato eletto al Parlamento maltese. L’11 gennaio 2022 è subentrata a David Sassoli come Presidente del Parlamento europeo ad interim dopo la scomparsa di quest’ultimo ed eletta Presidente del Parlamento europeo con 458 voti. Da buona opportunista,genuinamente di destra, è favorevole e lavora per uno spostamento a destra delle alleanze del Partito Popolare Europeo, fatta dai Popolari e dai Conservatori che escluda i Socialisti.
La profonda conoscenza dei meccanismi interni di funzionamento della burocrazia comunitaria le hanno consentito di muoversi con abilità e di schierarsi in difesa delle istituzioni comunitarie in occasione dello scandalo connesso alle attività di lobbying a favore del Marocco e del Qatar dal deputato Pansieri & altri.
Sulla questione ucraina e sulla guerra si è anch’essa schierata su posizioni radicalmente filo ucraine, adottando la simbologia solidaristica in materia di abbigliamento e professando in ogni occasione un atlantismo radicale, patrocinando la fornitura di armi all’Ucraina e dichiarato di perseguire la sconfitta militare russa come
la sola possibile soluzione del conflitto.

Giorgia Meloni l’europeista sovranista

Sostenitrice del primato della nazione, la Meloni è sempre stata anti europeista e sovranista; divenuta premier dell’Italia, per convenienza politica, ha mutato la sua strategia in ambito comunitario. Mantenendo come obiettivo e centro di interesse il rafforzamento del suo potere in Italia e la trasformazione del paese in una società corporativa dai valori e dai principi politici profondamente fascistizzati, oggi la Meloni, acquisita consapevolezza che il potere economico e di governo di un paese dell’Unione Europea risiede oggi a Bruxelles e non a Roma, ambisce a divenire, con il suo gruppo dei Conservatori, dei quali è presidente all’interno del Parlamento europeo, l’asse portante delle alleanze che presiedono all’elezione della Commissione europea, al
fine di determinarne le politiche economiche e sociali e far sì che le scelte a livello centrale ricadano e si riflettano all’interno del paese Italia.
È per questo motivo che il governo Meloni, fin dal suo insediamento, ha puntato all’intervento in politica estera, attuando una divisione di ruoli e di funzioni tra l’azione del partito Fratelli d’Italia che agisce l’attività politica prevalentemente all’interno del paese è quella della premierm che opera sul fronte della politica estera per una nuova collocazione dell’Italia in Europa, rigorosamente filostatunitense. soprattutto al
fine di determinare le condizioni per lo spostamento delle maggioranze all’interno dell’Unione e per mutarne le politiche e i processi decisionali, privilegiando il potere degli Stati rispetto a quello della Commissione, i poteri del diritto nazionale su quello comunitario.
La manovra avvolgente verso le istituzioni comunitarie ha un obiettivo: quello delle elezioni europee del giugno 2024, in occasione delle quali la leader fascista persegue l’obiettivo di dar vita in Europa ad una nuova maggioranza, con un’alleanza tra Conservatori e Popolari per avere il via libera dall’Unione Europea ai suoi maneggi in Italia, finalizzati a rendere stabile e duraturo il controllo del paese. L’obiettivo è quello di realizzare una vera trasformazione del costume, dei comportamenti sociali, dei rapporti fra le classi, in modo da rendere permanente la svolta a destra del paese e ripristinare quel complesso di valori e la difesa di quegli interessi che permettano di chiudere con la nascita di una “nuova Italia” il periodo antifascista e dar vita a riforme istituzionali che facciano sì che quella italiana non sia più la Repubblica nata dalla Resistenza.
È bene notare che una delle caratteristiche di questa strategia politica è lo sguardo costantemente rivolto al passato, a quel bisogno di rivincita, di revanscismo che bene esprime il risentimento derivante da una sconfitta che brucia ancora, sintetizzata dal culto della fiamma non dismessa dal simbolo del partito che dirige.

Meglio perderle che trovarle

Guardando a quanto le tre (dis)grazie esprimono e rappresentano chi suggerisce non possiamo non guardare con disprezzo e orrore a queste tre donne che rappresentano e sintetizzano valori e contenuti di una politica di regresso dei rapporti sociali e produttivi, di oppressione delle classi subalterne, di crescita delle diseguaglianze, della povertà, della schiavitù del lavoro, delle libertà civili personali e umane di donne e uomini. La loro presenza sulla scena politica è un invito alla militanza politica nella lotta sociale, segnala il bisogno di una sia pur momentanea alleanza tra forze progressiste, genuinamente liberali, persone di buona volontà, rivoluzionari che lottano per una società di liberi ed eguali, per evitare che l’oppressione di ognuno e le istituzioni, nemiche dei popoli, promuovano la guerra, portino l’Italia e tutta l’Europa verso un futuro di arretramento culturale, valoriale e umano, facendola precipitare verso i tempi bui della sua storia. facciano capire a tutti che donna può non essere bello, ma anzi la personificazione dell’orrore, poiché le persone e soprattutto i politici, si valutano sui loro comportamenti e sulle loro idee, piuttosto che sul parametro dell’appartenenza di genere.

La Redazione