Riflessioni intorno alla guerra in Ucraina

I fatti di Russia e le vicende di Prigozhin hanno scatenato gli esperti di politica estera e ancor più i pennivendoli guerrafondai come Paolo Mieli che hanno ritenuto di poter sfruttare il mercenario russo per la propaganda pro Ucraina e per l’alimentazione del conflitto, tradendo il loro compito ad una corretta informazione.
Non si tratta solo di violazione della deontologia professionale, ma di malafede, ignoranza, miopia e colpevole complicità, volta a nascondere le cause profonde della guerra in Ucraina, evitando di affrontare una riflessione più approfondita sul ruolo dei diversi sistemi politici nella gestione del potere.
Approfitta perciò per ripetere i soliti luoghi comuni sui pregi dei sistemi democratici occidentali e sulle virtù delle “democrazie” che si opporrebbero alle autocrazie e alle dittature, con il risultato di non permettere di cogliere la crisi dei sistemi politici tutti, plasticamente rappresentata dai tentativi di colpi di stato, come quello dell’assalto a Capitol Hill o al Parlamento brasiliano, a ben guardare dissimili solo nelle forme e nelle modalità dall’azione messa in campo dal mercenario russo. Questo perché sarebbe imbarazzante dover ammettere la crisi di legittimazione dei governi e delle istituzioni nelle democrazie occidentali, che avviene nella sostanziale estraneità e disinteresse dei popoli.
Vale perciò intervenire sui fatti per fare chiarezza e offrire materiali di riflessione a tutti e a tutte coloro che mal sopportano di essere presi per il culo sugli eventi della politica, le strategie di potere, gli intrecci di interesse che sconvolgono le loro vite, e da ultimo sulle ragioni della fornitura di armamenti e la cobelligeranza degli Stati della NATO al conflitto ucraino che necessita, affinché se ne possano esaminare le cause e i possibili effetti, di essere collocato nell’ambito di una visione geo-strategica dei rapporti tra gli Stati, a prescindere dallo schema di lettura proposto. Tutto questo ricordando che l’intervento militare della Russia in Ucraina ha delle cause antecedenti all’ingresso delle truppe nel
paese nel 2022, a partire dall’effettivo inizio della narrazione dei fatti. Ecco perché per procedere nell’analisi vale la pena farlo per punti, anche al fine di evitare il più possibile omissioni rispetto a una questione complessa.

I popoli, gli eserciti e la guerra

Una riflessione prioritaria si impone: quella sulla guerra e la composizione degli eserciti oggi. Il mondo è tutt’altro che in pace, prova che sia che, attualmente, sono in corso sul pianeta una quarantina di guerre, comprendendo quelle fra Stati e le guerre civili, spesso alimentate dagli interessi di altri Stati o potentati economici, ai fini di predare le
risorse di Stati poverissimi, ma ricchi di risorse minerarie e/o di petrolio. Per combattere queste guerre i governi non possono puntare sugli eserciti nazionali tradizionali, ma spesso ricorrono a milizie private che in Occidente prendono il nome di contractors, gestiti da agenzie che si mettono a disposizione dei committenti per svolgere gli incarichi loro affidati (valga da esempio la guerra civile che per anni ha dilaniato la Sierra Leone per il controllo della sua produzione di diamanti); queste organizzazioni armate nell’Est d’Europa prendono il nome di compagnie.
La ragione del ricorso agli eserciti privati nasce dal fatto che nelle moderne società i cittadini accettano poco volentieri di “immolarsi per la patria” e scendere in campo per combattere guerre alle quali essi sono personalmente disinteressati, ma che invece riguardano molto gli interessi economico strategici dei governi e di privati e che rispondono agli interessi di gruppi economici e di potere che operano sul mercato, al fine di accaparrarsi la gestione e lo sfruttamento delle risorse, soprattutto di quei paesi che non dispongono di una stabilità politica ed economica tale da autogestirsi e che
quindi sono in balia degli “investitori” più intraprendenti che cercano di predare in ogni modo possibile le loro risorse. È il caso di molti Stati africani, dell’America Latina, dell’estremo Oriente e, perché no, anche del mondo arabo-islamico.
L’impopolarità della guerra, soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino, ha stimolato l’occidente a ricorrere ai contractors massicciamente, prova ne sia che a combattere la guerra in Iraq o gestire l’occupazione dell’Afghanistan, dopo la prima fase dell’invasione attraverso l’esercito regolare, o sarebbe il caso di dire, gli eserciti regolari, sono subentrate in numero crescente le milizie private. Bisognava gestire la guerra, divenuta impopolare e troppo onerosa perché, svolta sotto i riflettori della cronaca, produceva un continuo ritorno di salme dei soldati morti documentatamente sul campo che allarmava l’opinione pubblica. C’è poi da aggiungere la difficoltà a reggere lo sforzo bellico attraverso gli eserciti di leva dopo l’esperienza della guerra in Vietnam che negli Stati Uniti aveva prodotto un vasto movimento di disertori che rifiutavano la coscrizione obbligatoria, la chiamata alle armi e la conseguente morte in nome della cosiddetta
patria. In questa situazione meglio e più comodo ricorrere alla guerra attraverso milizie private, opportunamente finanziate da quei gruppi economici che dalla guerra traevano direttamente profitto e che quindi erano interessati a provocarla e condurla, come ad esempio le aziende dell’industria bellica, interessate a rinnovare gli arsenali e a produrre armi sempre più efficaci, o le compagnie minerarie e petrolifere.
Specularmente, questo fenomeno si sviluppava anche nell’ambito della Russia, che aveva raccolto l’eredità della sconfitta Unione Sovietica e che viveva una situazione di totale dissesto dell’apparato militare, sconvolto dai mutati equilibri politici nei paesi dell’ex patto di Varsavia e dal dissolversi della tenuta dello Stato sovietico. Gli oligarchi
succeduti nel potere, dopo aver acquistato a prezzi stracciati le spoglie dello Stato, si sono dedicati a ricostruire nuovi equilibri di interesse tra gruppi e conglomerati di aziende e, agendo su un mercato privo di regole, si contendevano in modo selvaggio il suo controllo; per supportare la loro forza nell’ambito di un compagine statale sinistrata, si dotavano di milizie di supporto. È questa l’origine delle compagnie, come la Wagner (ma in Russia ve ne sono circa una cinquantina), che offrivano con efficacia crescente i loro servigi ai generosi committenti. Di questa offerta di mercato approfittava lo Stato il quale, privo di un apparato militare efficiente e ammaestrato anch’esso dai tanti morti nella guerra afgana riservava i residui delle sue risorse organizzate di uomini a gestire l’arsenale atomico, attraverso un ristretto, o almeno relativamente ristretto, numero di specialisti, impiegava i soldati di professione nei corpi della Marina e dell’Aviazione,
ma non aveva le forze e le risorse sufficienti per ricreare un esercito di terra, efficiente e capace, la cui presenza era sconsigliata nche per evitare che esso protesse offriresi al politico di turno per puntare al controllo dello Stato.
Facevano eccezione in questo schema i quadri provenienti dall’intelligence, e non è un caso che Putin provenga proprio da quel mondo dei servizi segreti ex sovietici che, una volta smobilitati dopo la sconfitta nella guerra contro gli Stati Uniti, tacitamente combattuta e perduta, cercavano una nuova collocazione negli affari e nella politica, per riciclare le conoscenze, le amicizie, gli appoggi, le potenzialità di ricatto politico accumulate rispetto ad un passato recente ed anche remoto, per farsi strada ed affermarsi nei nuovi equilibri di potere.
Per questa via giungiamo agli anni 2000 con la situazione che deperisce e si complica sempre di più a causa delle velleità crescenti del governo russo di ricostruire su una nuova base la Russia imperiale, con al centro il sostegno della Chiesa Ortodossa Russa e del suo Patriarcato, che fornisce una versione rivisitata e aggiornata dell’ideologia panrussa che coltiva il sogno imperiale della Russia. Ciò crea le condizioni per il proliferare delle compagnie e degli eserciti privati in Russia e moltiplica il loro impiego su tutti i fronti dello scacchiere mondiale.
Cresce così, soprattutto con la guerra siriana, l’impiego delle compagnie, con lo Stato come committente: la loro presenza si moltiplica nei diversi paesi africani, come la Libia, il Sud Sudan, la Repubblica Centroafricana e il Mali, dove i mercenari vanno a sostituire la Legione Straniera e il colonialismo francese in ritirata.
Accanto ai due attori principali operano delle sub potenze, che sono ormai il ricordo di glorie passate, il retaggio degli ex imperi, quali quello francese e britannico, che ora agiscono attraverso una strategia differenziata. La Francia non disdegna di operare attraverso quel che rimane della sua Legione Straniera, ma ricorre anche a corpi dell’esercito regolare che invia ogni volta che può nei paesi francofoni dell’Africa a vigilare sugli interessi francesi, occorre dire con scarso successo. Altrettanto fa la Gran Bretagna, ricorrendo invece che all’impiego di milizie al proprio esercito professionale,
dopo aver dismesso per ragioni geopolitiche ed indipendenza degli Stati nazionali – dove avveniva il reclutamento – i corpi speciali come quelli dei gurkha, che avevano caratterizzato le sue avventure coloniali. È in questo contesto che va inserita la riflessione complessiva sul ruolo delle compagnie militari come la Wagner, e delle agenzie poiché il fenomeno degli eserciti privati ha carattere generale. Va anche sviluppata parallelamente una riflessione sul ruolo svolto dalle numerose compagnie di contractors meno note, ma altrettanto presenti sul mercato della guerra per procura.

La guerra in Ucraina e i mutamenti del mercato della guerra

Fin dal suo inizio la guerra Ucraina nasce con caratteristiche particolari e si caratterizza sotto il nome di “operazione speciale”. Non è un caso che essa inizi con una lunga colonna di carri armati che si dirige verso Kiev, ai fini di sollecitare una sollevazione popolare ritenuta possibile, la nascita di un governo fantoccio nella capitale attraverso il
quale riprendere il controllo politico del paese. Com’è noto l’operazione avviene non sotto le bandiere russe, ma assumendo come simbolo una Z, disegnata sui mezzi militari che compongono il corpo di invasione, quasi a prendere le distanze e distinguerla da un’operazione di Stato. (nel vago ricordo degli interventi del Patto di Varsavia – ormai dissolto – in Ungheria e Cecoslovacchia).
Le vicende sono note. La colonna, incredibilmente dispiegata su una strada che ne consente l’avanzata a condizione di creare un reciproco ostacolo tra i veicoli e difficoltà di manovra dei mezzi impiegati, con la perdita di ogni mobilità, e può essere parzialmente distrutta da un’efficace opera di contrasto mediante i droni che rappresentano l’arma nuova di questa guerra. A ben vedere non poteva che essere così perché a condurre le operazioni era un esercito da parata, da operetta, abituato alle sfilate rituali nella Piazza Rossa, ma completamente privo di capacità di intervento militare. In questa situazione disastrosa dal punto di vista militare è stato gioco forza ricorrere alle milizie e impiegare sia la Wagner che l’esercito privato di Kadýrov e spostare il fronte di combattimento sull’Est, ovvero negli oblast dove già dal 2014 era
in corso la guerra. L’esercito non scompariva dal fronte, ma veniva impiegato in situazioni marginali e tuttavia con un ruolo crescente nei combattimenti.
In questo impiego di milizie gli ucraini non erano da meno, prova ne sia che essi puntavano su corpi speciali come il battaglione Azov, ma altri ve ne erano di corpi paramilitari e “volontari”, costituiti su base ideologica da nazisti ucraini (che hanno una radicata presenza nel paese) che si preparavano da tempo a una politica di aggressione verso la componente russa del paese, braccio armato di partiti politici operanti in Ucraina, fino a quel momento largamente minoritari. La resistenza del potere politico all’invasione e la mancata fuga di Zelensky lanciavano ben presto in primo
piano il ruolo dell’esercito regolare e facevano emergere il lavoro sotterraneo svolto a partire dal 2014 dai britannici e da altri corpi speciali privati, operanti nel paese alle dipendenze della NATO nella formazione di combattenti ucraini e con il compito di provvedere a rifondare dell’esercito ucraino.
l lavoro è stato svolto con indubbia efficacia, al punto che ,dopo qualche mese dall’inizio delle ostilità e in misura sempre crescente, parallelamente alla fornitura di armi, veniva schierato sul campo di battaglia un esercito ucraino in grado di condurre alla guerra e di assorbire ed inglobare le milizie private che conducevano all’inizio le ostilità. Seguiva da un lato la chiamata alle armi e la coscrizione obbligatoria degli ucraini, con il divieto agli uomini in età di svolgere il servizio militare di abbandonare il paese e dall’altra la Russia si rendeva conto di non poter condurre la guerra, ormai conclamata e avviata verso un impegno di lungo periodo sul fronte, attraverso le milizie private e procedeva perciò a sua volta alla costrizione obbligatoria, attraverso una mobilitazione graduale e prudente.
Questo salto di qualità del conflitto produceva una emigrazione dal paese di tanti giovani contrari alla guerra e non disponibili a perdere la loro vita per soddisfare i sogni imperiali di Putin, sordi agli appelli del Patriarca della Chiesa Ortodossa che chiamava alla lotta per opporsi al degrado morale dell’occidente in nome della Santa Russia e faceva crescere nell’immediato il bisogno di ricorrere alle compagnie, che ricevevano mano libera nel reclutare miliziani all’interno delle carceri e tra i ceti più poveri della popolazione.
La crescita sul campo della forza dell’esercito ucraino, sostenuto e rinforzato dalle armi occidentali e dalla presenza di corpi volontari di sospetta provenienza e composizione, la crescita graduale e costante della professionalità dei militari addestrati da personale NATO, accentuava la crescita e il prevalere del ruolo degli eserciti regolari. Il processo
procedeva con maggiore rapidità sul fronte ucraino, mentre su quello russo si schieravano in prevalenza le milizie in attesa di istruire nel frattempo la reclute per portarle al fronte. Veniva messa in atto una divisione di ruoli: l’esercito regolare, oltre ad addestrasi avrebbe provveduto a costruire linee difensive e opere di fortificazione, mentre le milizie avrebbero tenuto il fronte e attaccato.
Nell’imminenza della più volte annunziata controffensiva ucraina lo stato maggiore dell’esercito russo decideva che si erano create le condizioni per prendere il pieno controllo del fronte e la conduzione delle operazioni militari, anche nella convinzione che il nemico approfittasse della frammentazione di comando russo: veniva perciò promulgato il decreto che dal primo luglio 2023 integrava le milizie nell’esercito, eliminando l’autonomia operativa delle compagnie e ciò provocava il sollevamento della Wagner che intraprendeva la ben nota marcia su Mosca per negoziare il suo status.
La strategia dell’esercito russo si spiega con la convinzione che la natura della guerra è cambiata e che è in gioco la sopravvivenza del paese, prima che quella del suo sistema politico e di potere. Lo stato maggiore russo è consapevole. della portata dello scontro e perciò parte da questa elementare constatazione: a fronte di una popolazione Ucraina ridotta a meno di 25 milioni presenti all’interno del paese e ad un rapporto uomo donna stimato in uno a 5, la Russia può disporre di una popolazione di 144 milioni nella quale reclutare le forze militari da impiegare nel conflitto che ha mutato la sua natura al punto che ambedue contendenti vedono messa in gioco la loro esistenza. Perciò la guerra può finire solo con la vittoria dell’uno o dell’altro, a meno che non vi sia un massiccio intervento diplomatico da parte della comunità internazionale, con al primo posto gli Stati Uniti e la Cina, che appare al momento irrealistico. Bisogna quindi battersi
fino all’ultimo e a prescindere da Putin.: la guerra è divenuta una questione nazionale.

La storia secondo Putin

Riferiscono gli osservatori che alla base dell’operare di Putin vi sia la nostalgia per l’impero zarista, la sua avversione verso Wladimir Lenin, visto come il traditore della Russia che ne preparò la dissoluzione, chiedendo l’inserimento nella Costituzione del diritto di secessione delle Repubbliche facenti parte della Federazione che ne avessero fatto richiesta e manifestato l’intenzione. Putin inoltre attribuisce a Lenin un ruolo di traditore del sogno imperiale russo e lo vede come l’artefice della richiesta della pace di Brest-Litovsk, stipulata tra la Russia bolscevica e gli Imperi centrali il 3 marzo 1918, nell’odierna Bielorussia, che pose fine all’intervento russo nella Prima guerra mondiale.
Per Putin si trattoòdi una decisione assunta in ossequio all’accordo intercorso con lo stato maggiore tedesco dal quale Lenin ottenne la disponibilità di un vagone ferroviario che lo portasse, insieme ad una ristretta cerchia di rivoluzionari dalla Svizzera, dove era in esilio, attraverso la Germania fino ad Helsinki, da dove rientrò nella Russia ,nel frattempo insorta.
Premesso che i rapporti di Lenin con lo stato maggiore tedesco sono storicamente dimostrati e che l’impegno ad accettare una pace separata fu effettivamente preso, c’è da dire che questa scelta, se da un lato chiudeva la contraddizione internazionale costituita dalla crisi aperta dall’intervento bellico dei vari Stati nella guerra imperialista e restringeva le capacità rivoluzionarie nel resto d’Europa, fu importante per salvare la Russia e consentire all’avanguardia leninista di prevalere, offrendo al popolo la pace fortemente desiderata e richiesta e fu insieme l’occasione per teorizzare e costruire
le premesse per dar vita alla realizzazione del socialismo e poi del comunismo in un solo paese.
Lenin era ben consapevole dei tentativi controrivoluzionari dei generali bianchi, finanziati dall’Inghilterra, che dal sud, partendo proprio dall’Ucraina, intendevano risalire la Russia per sconfiggere la rivoluzione; li temeva e lasciava che fossero fermati sul territorio dalla resistenza dei makhnovisti che combatterono e sconfissero questi generali, alleati con l’armata rossa, ma intendeva, sottraendosi al conflitto, indebolirne l’operato, e accontentandosi di dissuadere i governi occidentali dall’intervenire a sostegno dello Zar. In altre parole il controverso ruolo rivoluzionario di Lenin non può certo essere liquidato dalle posizioni filo zariste e nostalgiche del neo-zar Putin, né da quelle dell’altrettanto reazionario Patriarca di Mosca, autore e artefice dell’ideologia panrussa che presiede all’azione del despota del Cremlino, Ma è anche vero che Putin, rileggendo a suo modo la storia, fa leva sul risentimento del nazionalismo russo, orfano
dell’ideologia sovietica e della politica di grande potenza del partito comunista russo che faceva della Russia un impero e un protagonista della politica mondiale. È certamente vero poi che, per ragioni strumentali, Putin si fa portavoce del sogno imperiale russo, comunque mascherato sul piano ideologico, perché in realtà persegue il sogno imperiale del paese e ciò a tutto danno del popolo russo e della sua collocazione all’interno di rapporti paritari e collaborativi con altri paesi.
basati sul rispetto del diritto internazionale, sulla fratellanza e sulla pace tra i popoli.

Le ragioni profonde del conflitto

Se, prescindendo da ogni considerazione ideologica, partiamo dalla ricostruzione degli eventi per comprendere quando è avvenuto non vi è dubbio che la Russia è il paese invasore e non vi sono dubbi su come la guerra è cominciata o almeno su come è iniziata se assumiamo come punto di inizio la fase a partire dall’entrata delle truppe russe in Ucraina.
Non vi è dubbio, ed è sotto gli occhi di chiunque, meno che di Paolo Mieli, che la guerra è iniziata ben prima, ovvero nel 2014, quando parallelamente al recupero della Crimea da parte russa iniziò la rivolta negli oblast del Donbas, investiti dalla crisi economica e sociale dovuta al progressivo deteriorarsi della situazione economica ucraina.
Non a caso abbiamo parlato di recupero della Crimea da parte russa perché solo dal 1954, e per 38 anni, questo territorio ha fatto parte dello Stato ucraino, visto che solo nel 1954 venne trasferito all’amministrazione dell’Ucraina all’interno dell’URSS per ragioni di una maggiore agibilità amministrativa per la gestione del territorio. Ciò fa sì che esistano fondati motivi per ritenere, da parte russa, che si tratti di territorio russo dal punto di vista storico. Non altrettanto ritengono gli ucraini per i quali i confini amministrativi esistenti alla caduta dell’URSS sono stati assunti come quelli “storici”. Conseguentemente ad essi si applica il diritto di secessione da parte delle singole Repubbliche, stabilito nella Costituzione dell’URSS ed esercitato con la riconquista dell’indipendenza nel 1991. Da ciò consegue che l’Ucraina attuale ricomprende nel territorio del paese tutto ciò che amministrativamente e per qualsiasi motivo era ricaduto sotto la Repubblica e nei confini amministrativi dello Stato ucraino, membro della Federazione, ivi compresi i territori contesi a nord del paese comprendenti popolazioni ungheresi e la zona di Leopoli storicamente polacca, annessi proprio dalla
Russia all’Ucraina per effetto della Seconda guerra mondiale. Questo stesso modo di ragionare non si può invece applicare per gli ucraini agli abitanti dei territori dell’oblast che si erano sollevati contro il governo ucraino, rivendicavano l’identico diritto di secessione, storicamente previsto per i territori che l’avessero richiesto, riscoprendo i
loro legami economici sociali e storici con la Russia!
Di ciò erano ben consapevoli le potenze mondiali che parteciparono agli incontri di Minsk le quali si erano fatti carico dell’esercizio del diritto di secessione. tanto che in ben due fasi avevano ipotizzato una soluzione del problema attraverso la concessione di una larga autonomia, mai avvenuta da parte di Kiev e attraverso lo svolgimento di referendum sotto il controllo di organismi internazionali. Questi fatti, negati da Prigozhin, per sostenere la deliberata aggression, criticare l’esercito e Putin sono stati artatamente ritenuti veri da Mieli, storico, ma nel caso migliore, ignorante, e dialetticamente utilizzati om mala fede con l’obiettivo prioritario di bollare i pacifisti come putiniani, per sostenere come prioritario l’invio delle armi e screditare la trattativa come la sola soluzione possibile alla guerra, quasi che il governo di Kiev sia formato da candide mammolette, impregnati di democrazia e non da una accozzaglia di oligarchi che fanno il paio e in nulla sono diversi da quelli che in Russia sostengono Putin.

Una guerra contro l’Europa

Giornalisti onesti come Bernardo Valli ricordano che ben prima della guerra gruppi di lobbisti internazionali afferenti ai produttori di armi si riunirono per sostenere la politica di una parte rilevante di congressisti USA, raccogliendo all’uopo risorse per 50 milioni di dollari a sostegno dell’operazione ed è noto l’adoperarsi di una altrettanto potente lobby, ufficialmente costituita all’interno del Congresso degli Stati Uniti, la quale sosteneva la necessità di impedire a tutti i costi la costruzione del Nord stream due. Delle manovre messe in atto al Congresso di Washington da parte di questa lobby
riferiva “Il Sole 24 ore “nel numero di due giorni precedenti all’inizio delle operazioni in Ucraina.
Non è altresì un caso che la situazione sia precipitata all’indomani dell’uscita di scena di Angela Merkel, la quale era stata l’artefice della costruzione delle infrastrutture che avrebbero dovuto consentire all’Europa, e soprattutto all’industria tedesca, di approvvigionarsi a bassissimo costo di petrolio e gas. La distruzione dello Nord Stream due era inoltre uno degli obiettivi prioritari della campagna elettorale di Biden, il quale considerava questo come prioritario, tanto da aver inviato il suo chiacchierato figlio in Ucraina a condurre affari assolutamente opachi, come quelli relativi alla sperimentazione di armi biologiche e ad intrecciare i rapporti con l’intelligence ucraina, di concerto con servizio segreto britannico.
Questi elementi, tutti noti, ed emersi in vari organi di stampa di opposta tendenza risultano oggi confermati, come risulta confermata l’operazione dal sabotaggio da parte di “ignoti” di questa infrastruttura, resa inservibile al fine di mutare profondamente e irreversibilmente le linee di approvvigionamento dell’energia dell’industria europea in una fase delicatissima di trasformazione e di passaggio dalle energie fossili alle energie rinnovabili, a fronte di un contemporaneo abbandono, soprattutto in Germania, dell’energia nucleare.
Se è vero che gli Stati Uniti hanno investito in armi per l’Ucraina, a tutto vantaggio della loro industria bellica e altresì vero che tanto gli Stati Uniti hanno guadagnato dalla vendita di petrolio e gas liquefatto all’industria europea, invertendo il flusso degli approvvigionamenti energetici, creando una nuova e più costosa dipendenza, producendo l’aumento del costo delle merci prodotte in Europa e quindi aumentando la competitività di quelle degli Stati Uniti.
Queste le ragioni geo-strategiche che presiedono al conflitto ucraino, oltre a quello voluto e perseguito pervicacemente dall’industria delle armi di rilancio della NATO che (si ricordi la definizione di organizzazione in agonia da parte di Macron) era ritenuta come non più necessaria e in via di liquidazione. Oggi l’industria bellica proprio grazie
alla guerra in Ucraina conosce una nuova epoca d’oro non solo per effetto del crescente bisogno di munizioni, ma anche per la necessità di ricostruzione delle scorte e per gli effetti che avrà sulla produzione di armi il riarmo tedesco destinato a mutare gli equilibri geo-strategici e politici d’Europa. Altro paese ad avvantaggiarsi dell’operazione è l’Inghilterra la quale coltiva il suo sogno di ricostruzione dell’impero, del tutto velleitario e catastrofico dal punto di vista economico, come dimostrano le recenti performance dell’economia inglese. I conservatori britannici ricavano da questa operazione gli effetti ultimi ed ambiti della Brexit coltivando il loro grande altro obiettivo che è quello di sostenere la loro indipendenza a fronte e solamente a condizione di spaccare il continente, impedire la sua unità, per non essere assorbiti all’interno di un organismo, quello comunitario, che essi non controllano.

Un mondo multipolare a placche

Ma se il diavolo fa le pendole non fa i coperchi e il risultato di questa operazione non è la probabile destabilizzazione della Russia, ma anzi, come vedremo, ha creato le premesse per una sua ristrutturazione nell’ambito di un nuovo assetto delle relazioni internazionali, caratterizzate da un mondo a placche, multipolare, dove sono presenti
diversi attori che aspirano ad essere centro di poteri autonomi indipendenti, grazie all’accesso all’energia, alle armi nucleari come deterrenza e forti di un’area di dominio economico e geo-strategico destinata a cambiare l’assetto del mondo e a apporre fine in prospettiva al dominio degli Stati Uniti.
Si registra infatti un rafforzamento del blocco dei paesi del BRICS, che non a caso si stanno dando una loro banca, loro regole per gli scambi economici e commerciali che escludono il dollaro e l’euro e fanno ricorso all’utilizzo prioritario delle monete nazionali, nell’ambito di un meccanismo di compensazione reciproca in costruzione, destinato a
soppiantare il dominio del dollaro e quindi ad eliminare la rendita di posizione degli Stati Uniti. Contemporaneamente cresce il numero dei paesi che chiedono di aderire in forme diverse tra loro, ma convergenti al blocco dei paesi BRICS, il cui ruolo sta crescendo, come dimostra lo schierarsi di essi sulla guerra d’Ucraina all’interno dell’assemblea dell’ONU.

In conclusione

Restando nell’ambito di questa analisi e restringendo la nostra attenzione su quanto sta avvenendo in Russia, notiamo che le conseguenze del sollevamento della milizia Wagner verso il potere indurrà inevitabilmente il regime politico russo ad una profonda ristrutturazione, sia sul piano militare che economico e politico.
Sul piano militare gli effetti del decreto del 1 luglio che ha stabilito il passaggio sotto il controllo dell’esercito in tutte le milizie e degli eserciti privati finirà per attribuire all’esercito regolare un maggiore ruolo politico all’interno dello Stato, ma anche a consentirne sul campo la ricostruzione dell’unità di comando delle operazioni o almeno il tentativo di questa, puntando sulla possibilità di mobilitazione generale conseguente all’allarme patriottico stimolato in Russia non dalla crisi di Putin, ma dal pericolo di dissoluzione che lo Stato deve affrontare e che storicamente ha spinto la
popolazione russa a stringersi intorno al governante di turno, senza rimetterlo in discussione, come è avvenuto all’epoca di Stalin, complice l’impegno nella Seconda guerra mondiale e l’aggressione nazista del paese.
Non sappiamo se questo tentativo avrà successo né quali conseguenze avrà sulla guerra Ucraina, ma siamo abbastanza certi che quando sta venendo contribuirà a
prolungarla, a renderla più profonda perché sui suoi esiti si gioca il destino stesso della Russia, della sua unità, dell’esercito, dei suoi generali e degli interessi che esprime il gruppo economico e di potere che ruota intorno all’industria delle armi e che non può fare a meno della potenza militare russa nel mondo. Lo spostamento della Wagner in Bielorussia, anche se non verrà impiegata sul campo di battaglia, rappresenta comunque un problema securitario per il fronte ucraino e costringe questo paese a spostare delle truppe sul confine bielorusso a garanzia di qualsiasi sorpresa, indebolendo così il fronte orientale, mentre le fortificazioni erette dall’esercito russo nei territori occupati negli ultimi mesi sembrano mostrare la possibilità di contenere gli effetti di una offensiva ucraina in attesa che la mobilitazione militare venga estesa
a tutto il paese, e che il graduale addestramento e la discesa sul campo di nuove truppe possa, anche se con il sacrificio di tanti, tanti morti, ribaltare e determinare le sorti del conflitto.
Al tempo stesso continueranno le operazioni attraverso le milizie con sede in Russia sui vari scacchieri mondiali a garanzia della penetrazione politica russa nei diversi paesi. In fondo questa strategia confida sul fatto che ovunque c’è bisogno di cani da guardia dei diversi regimi in cambio dello sfruttamento di paesi poveri e deboli, dotati di una borghesia nazionale pronta a vendersi al miglior offerente, offrendo le risorse del proprio paese in cambio di potere e di profitto.
Tutto questo ci dice che una soluzione alla guerra in Ucraina è di là da venire e si allontana nel tempo, mentre cresce la distruzione del popolo ucraino come il massacro di quello russo, prigionieri ambedue di due oligarchie spregiudicate, interessate al potere, ammantate di ideologie nazionaliste, formalmente in difesa della nazione, ma in realtà agenti di morte che operano sul mercato, alla ricerca di migliori profitti, senza curarsi dei lutti e delle rovine che seminano ma che anzi si leccano le labbra in attesa di gustarsi i frutti di una distruzione immane di risorse, di uomini e di donne, di infrastrutture, e di tutto quanto ciò che serve a rendere migliore la vita, senza curarsi della distruzione dell’ambiente, del pianeta, della perdita di risorse preziose per alimentare in senso materiale la vita e le possibilità future dell’umanità.

La Redazione