Il punto

Dopo 9 mesi di governo di destra – che non sono pochi, ed alti 50 ce ne aspettano – crediamo sia giunto il momento di fare il punto: le richieste di “lasciarli lavorare” hanno fatto il loro tempo e si possono trarre le prime conclusioni. Tanto più che la prospettiva di un mandato che duri per tutta la legislatura non è improbabile non tanto e solo perché l’opposizione è divisa, ma perché sembra non voler capire qual è il progetto a livello tattico e strategico che guida il Governo e ancora una volta la “sinistra” tratta la destra con supponenza, sottovalutandola: e perde. È per questo motivo che riteniamo sia il caso di provare a proporre una lettura, anche in prospettiva, di quanto la destra al governo fa e progetta di fare, distinguendo tra la premier e i suoi alleati.

Politica economica e politica estera

La Meloni ha affidato a se stessa e al suo entourage un ruolo e al partito un altro:
il Governo e la cabina di regia hanno il compito di tenere la posizione internazionale del
paese in campo economico e di politica estera, perciò adottano scelte e metodi draghiani, consapevoli che i limiti economici di operatività sono stati tracciati dalla stretta dipendenza e dall’ancoraggio alle politiche comunitarie, che si deve mantenere
l’equilibrio di bilancio controllando la spesa e che la fedeltà atlantica e alla NATO deve
essere assoluta. In economia e in politica estera generale la coperta è corta e restare sui binari tracciati ha garantito l’entente cordiale con Bruxelles, come si è visto. Questo vincolo viene rispettato in attesa di superarlo dopo le elezioni europee, nelle quali la Meloni conta di creare le condizioni per una nuova alleanza nella gestione della Comunità Europea che veda i Conservatori da lei diretti svolgere un ruolo di gestione della Commissione.
In attesa di tempi migliori in Europa la politica estera del governo si muove progettando il cosiddetto piano Mattei per l’Africa, in realtà inconsistente e privo di contenuti, stringendo rapporti ed alleanze che consentano di mettere almeno un freno al flusso migratorio, stabilendo relazioni con partner politicamente vicini come l’Inghilterra del conservatore Rishi Sunak, mentre la Meloni fa il cagnolino con Biden, tenendogli e facendosi tenere la mano.
Questa strategia consente di nascondere sotto il tappeto l’assoluta incompetenza del governo che tuttavia emerge con estrema chiarezza e lapalissiana evidenza nella gestione fallimentare del PNRR, a proposito del quale i ritardi e le carenze progettuali e di gestione si fanno sempre più evidenti. La richiesta di rinegoziazione di quanto previsto vuole nascondere a tutti i costi l’incapacità progettuale e di realizzazione, o se si preferisce di messa a terra, dei progetti predisposti.
Si scontano carenze del precedente governo che aveva fatto le proprie scelte in materia di gestione e di selezione del personale politico e manageriale che avrebbe dovuto gestire quanto proposto, e tutto questo per mettere in atto una ridistribuzione degli incarichi funzionale alla spartizione del potere. che è uno dei principali obiettivi del governo. Ne è prova quanto avvenuto con le nomine alla direzione di enti pubblici, dei grandi gruppi, nonché alla gestione delle infrastrutture e alla copertura dei ruoli istituzionali più delicati e strategici che avviene costantemente e con la quale si pongono le basi per un’occupazione permanente dello Stato e dei suoi gangli vitali. Quello che sta avvenendo in Rai ne è la emblematica e palese dimostrazione e permette di capire quando l’operazione sia pervasiva e capace di produrre effetti
di lungo periodo e di riversarsi sul secondo fronte, quello gestito dal partito, che riguarda la fascistizzazione della società e l’avvio di un processo cultural-politico che deve portare a modificare, nelle intenzioni della maggioranza di governo, il sentire sociale su temi strategici quali la famiglia, i valori di solidarietà, la salute, l’eugenetica, nonché temi come l’eutanasia, la maternità surrogata, i rapporti fra i sessi, le relazioni sociali nel loro complesso, spacciando tutto questo come risposta al declino demografico, risposta alla sostituzione etnica e tutto l’altro ciarpame che caratterizza la visione che del mondo e del futuro ha la destra.

Il ruolo del partito

Il progetto può apparire velleitario,ma la destra ne è convinta e lo sostiene con forza e strumenti capaci di incidere e di imporsi nell’immaginario collettivo. In questa strategia il controllo dei mezzi di comunicazione di massa è essenziale e il loro orientamento si sposta inevitabilmente con il clima culturale generale che si crea. Da parte sua la sinistra non fa che ripetere che la destra è priva di cultura, che non ha gli intellettuali necessari alla bisogna, in grado di svolgere il compito loro richiesto, e così facendo sottovaluta il ruolo che possono avere tanti pappagalli replicanti che a furia di ripetere concetti, proposte e linguaggi, finiscono, nella stanchezza generale, per imporli, per farli divenire prevalenti, momenti di comunicazione sociale e strumenti di formazione del consenso. Se si reagisce così la destra ha già vinto, senza che la componente progressista e di sinistra della società sia in grado di opporre una narrazione diversa, capace di mantenere lo sviluppo del paese verso prospettive aperte di dialogo e confronto.
Di questo clima culturale beneficia in senso lato dal punto di vista politico,la maggioranza di governo che può continuare ad operare in un ambiente ad essa favorevole, nel quale le proposte politiche che fa sono la coerente risposta alle esigenze che sembrano emergere dalla società. Si spiegano così le politiche dei piccoli passi nella restaurazione, costituite dalle proposte del partito, intendendo con questo riferirsi a quella pletora numerosa e cangiante di parlamentari, che sfornano proposte come quelle relative alla gestione del linguaggio, della comunicazione, all’uso dei termini stranieri, ai provvedimenti in materia di alimenti, alle scelte e alle abitudini in materia di gestione del tempo libero e delle attività sociali. Ogni piccola proposta costituisce una rilettura in chiave attualizzata di mode e costumi del ventennio che oggi
tornano ad essere attuali, a sembrare un nuovo e moderno atteggiamento di risposta ai problemi di oggi. L’obiettivo, per quanto velleitario possa sembrare, è finalizzato a dare al paese una nuova identità, coerente con la visione del mondo che ha la destra, che esiste, che è reale e sta cercando di entrare nelle coscienze. L’obiettivo di fondo è quello di dar vita a una versione dello Stato etico, che sarà sì di basso profilo, ma che ci dica cosa è bene, cosa è opportuno, cosa è necessario fare.
Tanto lavorio è tutt’altro che fine a sé stesso e ha un obiettivo preciso: preparare la riforma istituzionale, la quale, anche se non ha ancora assunto una configurazione tecnica precisa, mira al rafforzamento dell’esecutivo e può indifferentemente assumere la forma di presidenzialismo, semi presidenzialismo o premierato, non importa poi tanto.
L’importante è cambiare la Costituzione in modo significativo perché si possa dire che questa non è più la Repubblica nata dalla Resistenza, e che dunque un nuovo patto costituzionale è stato sottoscritto, del quale gli eredi del fascismo sono soggetti fondanti e costitutivi. Solo così, nella visione della destra fascista, si può portare a casa la riconciliazione e fare i conti con la storia. Chi non ha capito il progetto è solo cretino e non ha capito con chi ha a che fare, perciò è destinato a perdere.
L’attivino dimostrato dalla premier in occasione dell’alluvione è in parte un atto dovuto e in parte funzionerà come oggettivo elemento di distrazione di massa dagli obiettivi politici del Governo che rimangono immutati, opportunamente mascherati dietro l’esigenza della solidarietà nazionale, a meno che la polemica sulla nomina del Commissario alla ricostruzione e la defenestrazione paventata del Governatore emiliano-romagnolo, non disvelino i reali comportamenti del Governo, rendendone palese la faziosità.

L’opposizione nel Governo

Questo non è il progetto di tutta la destra, come le continue tensioni e punture di spillo delle altre due componenti dimostrano. La Lega, in particolare, è mossa da interessi di bottega – come dimostra la posizione sulla nomina del Commissario alla ricostruzione in Emilia-Romagna, e si muove scomposta per realizzare un unico obiettivo: l’autonomia differenziata, scontrandosi in questo con il partito di maggioranza che, tuttavia, sa che ha bisogno di coesione dell’alleanza per portare a casa il suo obiettivo sulla riforma istituzionale. Per questi motivi i soli pericoli per il Governo possono venire dal suo interno. È un dato di fatto che una riforma di tal genere, oltre a produrre profondi squilibri tra le diverse parti del paese, costa, e perciò appare incompatibile con la situazione economica attuale. Inoltre, il progetto di autonomia differenziata non è più economicamente attuale, visti i mutati assi dello sviluppo e la perdita di slancio dell’autonomia e della economia tedesca che faceva da polo di attrazione per questo progetto. Se il partito di maggioranza saprà sfruttare questa contraddizione, riuscirà a tenere sotto controllo il suo alleato e a procrastinare o comunque ad annacquare così tanto il progetto di autonomia differenziata, da renderlo inefficace, con ulteriori danni per le istituzioni perché, anche ammesso che si addivenga ad una riforma autonomistica, essa sarà inefficace e contraddittoria negli effetti.
In tutto questo galleggia Forza Italia, in attesa dei funerali del suo leader, che ci auguriamo vicini secondo un percorso naturale, e che non rimpiangeremo, perdendosi nei rivoli di mille piccoli provvedimenti ed interventi di assoluta inefficacia strategica, pronta a scambiare di volta in volta il proprio sostegno con piccole concessioni e attività di sostegno ad interessi particolari. In questo suo dibattersi nei sussulti che precedono la morte questa formazione politica dovrà fare i conti con i resti di quello che fu il terzo pollo, sempre più ridotto ad un campo magmatico e melmoso di soggetti politici inqualificabili che operano al fine di coltivare il loro particolare edonismo ed egoismo, o più semplicemente per continuare a fare affari all’ombra delle istituzioni: alcuni di loro si accontentano di vivere di profitti derivanti da affari, mentre altri ambiscono al ruolo di ”gallo del pollaio” per soddisfare una ego incommensurabile, pur non escludendo che i
due obiettivi posano anche trovare una sintesi nello stesso individuo.

E la sinistra?

Le debolezze sparse della sinistra si muovono come fantasmi nel paese. I 5 Stelle cercano di radicarsi nella società. impossessandosi di fette di potere, chiedendo in qualche modo di partecipare al banchetto, (come hanno fatto per le nomine RAI) pur di perpetrare sé stessi, tentati di svolgere una politica incentrata su slogan della sinistra per raccattare consenso e sostenere le proprie ambizioni, ma privi sia di iniziativa che di programma politico. In questo modo finiranno per galleggiare nella politica del paese come mestieranti, gestori di un consenso in esaurimento.
Il Pd della nuova segretaria si muove, barcollante e incerto, sia nelle aule parlamentari che nel paese. Dopo uno slancio iniziale, la nuova segreteria non è stata capace di divenire un collettivo, e ha puntato sulla figura-immagine della Schlein. La sua azione sul piano vertenziale si è appannata, prova ne sia che non ho trovato il coraggio e l’intelligenza politica di dire che qualche abbandono eccellente del partito, come quello di Fioroni, Borghi, Cottarelli e Caterina Chinnici, costituiva un effetto sano di quanto stava avvenendo e che la “ditta” si liberava finalmente di rami secchi che in realtà sono a-funzionali a quello che il partito vorrebbe essere. Così, invece che prendere al balzo l’occasione e annunciare che la casa si stava ripulendo, la Schlein tace, immobilizzata, sotto il peso e nell’assenza di una strategia politica, di parole d’ordine, di capacità di mobilitazione.
Dove sono finite le iniziative in difesa dei diritti civili, l’opposizione dura alla politica migratoria del governo, alla difesa dell’occupazione a tempo indeterminato e della lotta contro il precariato: dove dov’è finita la richiesta di aumenti salariali e quella a favore dei rinnovi contrattuali, quale iniziativa è stata presa a sostegno di queste posizioni; dove le lotte a favore dei diritti delle donne. La verità è che l’azione politica del PD appare spenta, subisce perfino il peso di quanto avvenuto in Emilia Romagna, senza avere la forza di dire fino in fondo che anche se non si condividono le conseguenze del cambiamento climatico e si imputa alla natura il disastro geologico del paese oggi bisogna non limitarsi alla solidarietà e all’unità di intento con il governo, ma prendere iniziative concrete contro il disastro idrogeologico del paese e passare all’azione, rivendicando provvedimenti ed interventi, proponendo progetti e soluzioni, come mai si è fatto.
Il problema è che questo mutamento passa attraverso l’ammissione di colpe storiche del partito: a proposito dell’immigrazione, occorre dire che la Turco-Napolitano è una porcata – che solamente precede e ispira la Bossi- Fini – che a quella legge si devono i Centri di identificazione ed espulsione che oggi il governo potenzia, perché è quella
l’origine di una politica migratoria criminale del paese. Occorrerebbe dire e non solo nella assemblee precongressuali che il Jobs Act va contrastato con proposte concrete di modifica, quando non di abrogazione di quelle norme famigerate; bisogna dire che l’entente cordiale con i padroni è finita, e che il partito fa una scelta di campo che non è in grado di fare.
Bisognerebbe ammettere l’esistenza di titubanze e ritardi nelle politiche di contrasto ai mutamenti climatici e a favore di un riassetto e di una gestione sociale del suolo.
In una parola bisognerebbe rinnegare il passato, dire che è un capitolo chiuso la politica di compromesso, mentre invece si lascia il partito nel guado, tra un appoggio ammiccante all’imprenditoria e alla finanza e uno schierarsi definitivo e incompatibile con la natura del partito, a favore della classe operaia e contadina e di donne e uomini sfruttati e senza lavoro. Altrettanto dicasi per la politica giovanile, per le azioni concrete contro il precariato, per un diverso rapporto con le organizzazioni sindacali, a sostegno della lotta per un minimo salariale stabilito per legge, a favore del rilancio della
conflittualità sul posto di lavoro.

L’ultima verifica elettorale

L’inefficacia dell’opposizione che la sinistra dovrebbe saper sviluppare verso il governo è confermata oggi 29 maggio dai risultati dell’ultima tornata di elezioni amministrative che hanno visto riconfermato il favore dell’elettorato per i partiti di governo. Anche dove si sono formate a sinistra coalizioni larghe esse sono apparse occasionali e incerte e non hanno convinto gli elettori. La verità è che manca un programma vero e articolato, manca una proposta politica credibile.
Se è certamente vero che i 5 stelle non brillano nelle elezioni amministrative il PD rinnovato (?) non lascia intravedere neppure lontanamente niente di nuovo e la crescita della proposta progressista e innovatrice proposta dalla Schlein appare inesistente e perciò priva di effetti, come dimostrano i risultati del voto nelle città toscane e ad Ancona: gli elettori restano a casa sempre più numerosi!

E noi

Queste le tattiche e le strategie dei partiti politici. Ma anche composizione di classe è in crisi e non vive certo una stagione felice. Piegati dalla situazione economica precaria per quanto riguarda gli assetti dei rapporti di lavoro, colpiti dalla crescita dell’inflazione e dal peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, il crisi a causa del ripetersi di eventi climatici devastanti, frutto di un’incuria crescente del territorio, prostrati dal perdurare del conflitto in Ucraina, mentre i partiti della sinistra sembrano non accorgersi della guerra o ancor peggio di considerarla un evento inevitabile e strutturale con il quale si può convivere, non solo, ma appoggiarla e sostenerla, i lavoratori, le lavoratrici e le classi subalterne subiscono l’iniziativa patronale e dei partiti, guardano con sconcerto a ruolo giocato dai partite riformisti che dovrebbero difendere i loro interessi.
In questa situazione non rimane ancora una volta che riprendere l’iniziativa  direttamente, consapevoli che la mobilitazione ha i suoi limiti e che la sconfitta va messa in conto, ma che anche se momentanea, rappresenta solo una tappa del lungo cammino che porta verso la difesa piena dei loro diritti e quindi pervicacemente insistere a mobilitarsi e a lottare per i loro diritti e interessi.

La Redazione