Il rapporto tra comunismo anarchico e territorio costituisce uno dei nodi teorici e strategici dell’intervento politico del comunismo anarchico e della sua capacità di radicarsi nel territorio e quindi nella base sociale che costituisce il punto di riferimento per ogni intervento politico di carattere libertario che coinvolga le popolazioni nella gestione dell’azione di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro in una società libertariamente orientata. Il comunismo anarchico non ha risolto questo dilemma e si è spesso rifugiato in un intervento politico di carattere generale teso a sovvertire i rapporti sociali e produttivi, a far evolvere in direzione della rivoluzione sociale la lotta di classe, ma poi ha fallito, o almeno trovato moltissime difficoltà operative nella fase costruttiva e realizzativa dell’azione rivoluzionaria, pur ponendosi con forza il problema della transizione fra la vecchia società verso la quale esercitava la sua funzione distruttrice e la nuova società e i nuovi rapporti sociali che voleva costruire e che si affacciavano alla storia.
Un’attenta riflessione critica sui problemi istituzionali che le diverse forme di Stato e di governo presentano oggi può forse aiutare a capire quale sia la soluzione, in quale direzione ci si deve muovere e agire, quale debba essere l‘azione tattica e strategica dei comunisti anarchici sul territorio per andare nella direzione di dar vita a nuove forme di rapporti istituzionali e sociali più rispettose della partecipazione degli abitanti del territorio alla gestione della vita sociale, tese all’azione diretta, all’assunzione di responsabilità da parte di tutti nella vita sociale collettiva della sua economia, dei
rapporti sociali e produttivi.
Guardando ai diversi sistemi istituzionali di governo si nota da più parti che è in atto una convergenza delle modalità dei sistemi di governo – sotto la spinta della necessità di velocizzare i processi decisionali ostacolati dalle forme di governo partecipative – peraltro in crisi a causa della lentezza dei processi decisionali, prova ne sia la crescente
disaffezione degli aventi diritto al voto in occasione delle scadenze elettorali. Non vi è dubbio che le istituzioni sono sempre meno percepite come vicine alle popolazioni e quindi da queste partecipate, attraverso forme di voto delegato, secondo i sistemi di governo cosiddetti occidentali o anche attraverso le democrazie popolari residue o ancora in sistemi di governo che potremmo definire democrature, ovvero sistemi caratterizzati da una forma di governo accentrata e dirigistica che ha il vantaggio, almeno sulla carta, di permettere tempi rapidi di decisione e reazione ai bisogni emergenti dallo sviluppo dei rapporti sociali e produttivi, dalla necessità di assumere decisioni necessarie a superare i problemi di gestione della società che via via si pongono. In altre parole, sono sempre maggiori le difficoltà di rendere funzionante un
sistema di gestione della società partecipato, di democrazia delegata, comunque definita, che consenta una efficace gestione dei rapporti sociali e produttivi e del governo della società.
Se questo è vero la fase di distruzione e di contrasto agli attuali sistemi di governo può e deve essere utilizzata dal comunismo anarchico, come peraltro è sempre stato, come un momento di costruzione dell’alternativa, e ciò può avvenire inserendo nella battaglia di contrasto alle istituzioni vigenti, elementi che in qualche modo prefigurino la futura gestione della società che si vuole costruire. Vanno perciò individuati obiettivi e tematiche di lotta sociale che permettano, a partire dal livello più basso dell’operatività delle istituzioni sul territorio, di impostare una vertenzialità e uno scontro sociale che,
intervenendo sulle problematiche più immediate e tangibili della gestione dei problemi sociali, consenta di ipotizzare e prefigurare, pur perseguendo questi obiettivi, un concreto percorso di costruzione di una alternativa gestione dei rapporti politici tra popolazioni e istituzioni.
L’intervento sul territorio oggi in Italia
L’anarchismo si è caratterizzato per l’incapacità di affrontare i problemi locali a livello istituzionale poiché il misurarsi col territorio passava attraverso il rapporto con gli enti più elementari di gestione del territorio quali, ad esempio, i comuni, ovvero le amministrazioni locali comunque denominate. In verità, a misurarsi su queste problematiche, sia pure in forme approssimative e per alcuni versi piuttosto rozze, è stato Camillo Berneri, il quale si chiese cosa dovesse fare l’anarchismo nei comuni e arrivò ad ipotizzare una partecipazione alla contesa elettorale comunale ai fini di stabilire, sia pure con una serie di integrazioni partecipative all’attività politica elettiva, attraverso assemblee di verifica delle quali gli eletti si impegnavano a rispettare le deliberazioni, a mo’ di delegati, un rapporto diretto con gli abitanti del territorio. Questa ipotesi di lavoro rimase allo stato embrionale, sia a causa della coincidenza della proposta con il periodo rivoluzionario che Berneri viveva nel ’36 che quando la formulò che non consentiva di sperimentarla, ma soprattutto perché la sua voce venne messa a tacere dell’efferato delitto perpetrato ai suoi danni dagli stalinisti in Spagna.
Il fatto poi che queste strutture di gestione del territorio fossero o elettive o ancor peggio di nomina del potere centrale poneva per l’anarchismo ulteriori problemi, insuperabili nell’intervento politico, poiché imponeva il necessario passaggio costituito dal confronto con l’elettoralismo e quindi con la necessità di costituirsi in associazione politica che
accettava la partecipazione delegata, eletta con un qualunque sistema elettorale; concetti questi rifiutati sul piano teorico in quanto espressione di attività delegata che negava alla base il principio dell’azione diretta e della partecipazione in prima persona alla gestione dell’azione politica. Di fronte alle difficoltà realizzative dell’ipotesi di aggiornamento teorico e strategico, si preferì perciò abbandonare il problema, in attesa di affrontarlo in tempi migliori e liberi da condizionamenti rappresentati dall’azione insurrezionale immediata e dalle difficoltà di una guerra civile che in quel momento dilaniava i territori nei quali l’anarchismo cercava di sviluppare la propria azione realizzativa e sociale.
Per questo motivo l’azione politica dei comunisti anarchici sul territorio si è caratterizzata per iniziative vertenziali contestative, costituite dall’espressione dell’autonomia politica sul territorio e quindi finalizzate più all’attività demolitoria che a quella realizzativa e costruttiva di nuove e condivise istituzioni, capaci di costruire e configurare nel concreto un’alternativa all’ordine e alle istituzioni politiche esistenti, con il solo risultato positivo di stimolare la partecipazione diretta alla vita politica per la gestione dei propri diritti e interessi, limitandosi a utilizzare queste esperienze come uno strumento pedagogico di educazione alla lotta, senza coglierne i tanti altri aspetti positivi.
La sola soluzione al problema venne individuata nell’autogestione, strumento certamente efficace in una fase rivoluzionaria ma destinato a perire in un contesto sociale capitalistico e perciò non utilizzabile in una fase di transizione verso la ricerca di nuove strutture ed equilibri istituzionali aventi carattere partecipativo.
Oggi sembra venuto il tempo di utilizzare una diversa base di partenza: la vertenzialità che può essere sviluppata anche utilizzando il diritto borghese, costruendo azioni di mobilitazione partecipate che da un lato fanno crescere e sviluppano la partecipazione e dall’altro diffondono la consapevolezza degli obiettivi perseguiti e del diritto a perseguirli, connessi a una strategia che permette di raggiungere l’obiettivo e quindi dimostrare che la lotta paga, che l’azione in prima persona è qualificante e suscettibile di produrre effetti positivi. Ne consegue che a sostegno dell’azione rivendicativa, ove
possibile, si organizza e sostiene una vertenza giuridica agendo sia nel foro civile che in quello amministrativo, del lavoro e, se del caso, anche penale. Da qui l’utilizzazione delle vertenze giuridiche non solo come strumento tecnico di difesa dei diritti, ma anche, strumentalmente, come occasione di aggregazione delle persone, come mezzo di organizzazione, per indirizzare verso un’azione collettiva.
La raccolta dei mandati per istruire la vertenza giuridica costituisce un’occasione per produrre aggregazione politica. Il dibattito che precede e accompagna la raccolta delle firme di partecipazione ad un’azione in ambito giuridico dà la possibilità/necessità di organizzare incontri di chiarimento, di approfondimento delle tematiche oggetto della
vertenza, di dibattito, di crescita collettiva e consapevole. La raccolta e il possesso dei recapiti postali e telematici, dei numeri telefonici e la loro utilizzazione, se accortamente gestita, costituisce un formidabile strumento per stimolare la partecipazione e la militanza, è suscettibile di produrre organizzazione e aggregazione, confronto di idee, mobilitazione.
La discussione assembleare preventiva e successiva alla stesura di un ricorso sul merito della vertenza, la redazione, prima del dibattimento, delle memorie di causa e dei diversi atti giuridici – da una semplice messa in mora a un atto di citazione e/o diffida – costituisce occasione di confronto e strumento di conoscenza delle problematiche per un numero sempre più ampio dei soggetti coinvolti, chiarisce che un diritto va sostenuto lottando, produce crescita collettiva, rafforzando la convinzione che la via istituzionale della tutela dei diritti è possibile e capace di produrre effetti positivi a condizione di una mobilitazione in prima persona, diffonde la convinzione del valore retributivo della mobilitazione, della lotta e dell’impegno civile, rafforzando in ultima analisi il ruolo e la fiducia nell’azione collettiva, dimostra che la lotta paga attraverso risultati positivi e tangibili, dimostra che “l’utopia è possibile”.
La scelta degli obiettivi
Perché il percorso appena delineato sia percorribile occorre procedere ad una scelta attenta degli obiettivi da perseguire, avendo cura della realizzabilità della vertenza, poiché possa crescere la consapevolezza di sé da parte delle popolazioni, essa deve essere retributiva e percorribile. Occorre quindi che gli obiettivi individuati siano reali, che i bisogni ai quali essi fanno riferimento siano sentiti e condivisi; il fatto poi che questi obiettivi siano spesso limitati e circoscritti non impedisce dell’efficacia del perseguirli e soprattutto del realizzarli. Si deve aver cura di scegliere problematiche condivise che riguardino la generalità dei consociati o almeno frazioni rilevanti di essi, perché la partecipazione alla mobilitazione sia corale ed effettiva, visibile, perché il potere avverte la necessità di soddisfare le richieste quando queste sono condivise e consentono di mantenere quel minimo consenso necessario a continuare a garantire la sua azione di dominio. Questa bramosia verso il controllo e la gestione da parte del potere va contrastata, ma anche utilizzata e sfruttata, ribaltandone gli effetti negativi su chi pretende di utilizzarla come strumento di dominio.
Per raggiungere questo risultato è necessario procedere prioritariamente con l’inchiesta, ovvero attraverso un attento censimento dei bisogni espressi dalla comunità, avendo cura di stabilire un ordine nell’affrontare le diverse problematiche che abbia almeno due parametri di riferimento: l’urgenza di soddisfare il bisogno che sta alla base della richiesta e la percorribilità della vertenza, calcolando le possibilità di successo che questa ha a fronte di una di una mobilitazione che coinvolga la comunità, i possibili punti di caduta dell’iniziativa e le conseguenze sul morale di chi lotta.
Bisogna privilegiare il momento di partecipazione e di coinvolgimento nell’azione rivendicativa, che a volte può limitarsi anche nel suggerire soluzioni possibili, dimostrando la maggiore razionalità e capacità di governo della comunità, attraverso la partecipazione degli abitanti del territorio che semplicemente chiedono e riescono ad ottenere la razionalizzazione delle prestazioni dei poteri pubblici che a volte, scioccamente, il potere dei politici, proprio perché distratto nel perseguire gli interessi collettivi, non intravede, benché non vi sia un costo economico nell’intervento.
Capitalizzare il risultato degli interventi su tematiche reali deve essere uno degli obiettivi da perseguire, avendo cura di sviluppare un’azione progressiva di impossessamento della gestione del territorio, attraverso l’educazione e l’esempio, costituito dagli obiettivi individuati e perseguiti, dimostrando così la concreta praticabilità di un governo del
territorio e di una sua gestione realizzata attraverso l’azione diretta e la partecipazione corale e collettiva degli abitanti.
Ecco perché l’azione politica va affiancata da attività di solidarietà e di concreta cooperazione fra i fruitori dei servizi e di ciò che il territorio offre, dimostrando in questo modo che un’altra società, che altri rapporti sociali, sono possibili e percorribili.
Può accadere che così intervenendo sul territorio si creino le condizioni nelle quali da parte dei consociati pervenga la richiesta di prendere parte alla gestione istituzionale del territorio attraverso una partecipazione alle elezioni, evento questo che non è possibile escludere a priori, a fronte dello sviluppo con successo dell’intervento politico che genera la richiesta. In questo caso, tuttavia, l’organizzazione politica che gestisce l’intervento sul territorio (collettivo, assemblea dei cittadini, militanti dell’organizzazione politica), non può esaurire il proprio ruolo trasferendo la sua attività nel rapporto delegato ed elettivo e cioè demandando tutte le risorse di mobilitazione e partecipazione nella rappresentanza istituzionale, ma individuando nel suo seno, nel suo ambito, persone, soggetti, da impegnare nella gestione istituzionale del territorio, avendo cura nel contempo di mantenere in vita e in attività strutture partecipate alternative di contropotere, in grado costantemente di sottoporre a verifica l’attività dei soggetti delegati a prendere parte alla gestione istituzionale del territorio, pronta a sviluppare azioni di delegittimazione e di opposizione ad essi e al loro operato, quando gli eletti e i delegati delle strutture di base vengono meno al mandato ricevuto, e questo indipendentemente dalle date di scadenza istituzionale dei mandati, in quanto bisogna affermare il principio che la delega, seppur concessa, è revocabile quando sono venute meno le condizioni che l’hanno consentita e che quindi una gestione delle istituzioni delegate degli abitanti del territorio che agisca contro i loro interessi, non è né tollerabile, né possibile perché è necessario il consenso dei consociati, espresso nelle istanze assembleari, di partecipazione e di democrazia diretta, che gli stessi abitanti del
territorio si sono dati.
È questa una forma di azione politica e di partecipazione “delegata” che, perfettamente in linea con i principi e l’articolazione strategica e tattica dell’attività politica all’insegna del comunismo anarchico; non è altro che la partecipazione organizzata e responsabile di tutti alla gestione collettiva del territorio attraverso forme di organizzazione non utopiche, ma perfettamente percorribili, attraverso e all’insegna della partecipazione responsabile e condivisa.
Istituzioni diffuse sul territorio e intervento politico
L’anti elettoralismo politico dell’anarchismo lo ha indotto a considerare la presenza istituzionale sul territorio come rappresentata dalla cellula base di gestione territoriale e cioè dal comune, ma la gestione istituzionale del territorio è qualcosa di ben più complesso che utilizza enti e strutture delegate a fornire specifici servizi spesso caratterizzati da una gestione spesso frutto di azione partecipata. Nei confronti di questi enti l’intervento politico non può limitarsi al controllo e alla contestazione delle loro azioni, ma può e deve assumere caratteri di proposta, tanto più quando questi enti fanno ricorso a sistemi di gestione di autogoverno attraverso organismi elettivi.
Ne viene che l’intervento sul territorio dei comunisti anarchici non può prescindere dall’individuare come obiettivo di azione, l’intervento sugli organi di gestione, ad esempio, dei servizi sanitari, di quelli del servizio scolastico, sulle attività consortili, nonché sulla gestione di servizi alla persona, come quelli relativi ai trasporti, e a tutti i settori rispetto ai quali è possibile intervenire portando proposte, organizzando forme di partecipazione, aprendo vertenze con gli organi di gestione, costringendo questi organismi a misurarsi con la richiesta di partecipazione e di gestione condivisa delle attività svolte a favore dell’utenza. Ciò significa individuare negli organi di gestione della sanità, in quelle del servizio scolastico, degli enti e delle aziende che gestiscono i trasporti, nei consorzi di bonifica e in tutti quegli organismi che di volta in volta, rispetto alle esigenze specifiche, vengono creati e che diventano controparte delle popolazioni in quanto responsabili di fornire ad esse i servizi e le attività alle quali sono preposte, un ambito entro il quale intervenire con forme di controllo e vigilanza, con proposte che fungano da stimolo alla soluzione dei problemi.
Intervenire con attività vertenziali rivolte alla gestione di queste strutture significa sviluppare una forma partecipata di gestione del territorio che educa all’azione diretta e che permette di affrontare i bisogni delle popolazioni, e più nel concreto, le esigenze di controllo del clima, l’approvvigionamento idrico, la gestione dei rifiuti, la salvaguardia
dell’ambiente, terreni sui quali si esercita la partecipazione sociale dei soggetti che vivono sul territorio.
Questa consapevolezza consente al comunismo anarchico, come proposta politica di partecipazione, di organizzare l’intervento sul territorio, consentendo la più ampia partecipazione possibile alla gestione collettiva di esso.
In successivi interventi svilupperemo settore per settore ipotesi e modalità di intervento politico partecipativo nel quale coloro che fanno riferimento politico al comunismo anarchico si auspica possano impegnarsi.
La Redazione