Erdoğan, l’uomo che sa vincere

Tutto si è detto e tutto si può dire di Recep Tayyip Erdoğan, ma quello che fino ad oggi non si sapeva è quanto fosse un abile dissimulatore, al punto da aver artatamente dato in pasto ai media interni e internazionali la sua ipotetica sconfitta al primo turno, nel mentre preparava la sua ennesima vittoria. La sua attuale strategia parte da lontano ed ha nel terremoto in Anatolia, che è costato al paese immani distruzioni e più di 50.000 morti, un punto essenziale di svolta, tanto che sulla lettura dei suoi effetti si misura la distanza di quanto poco l’opinione pubblica internazionale e le classi colte della Turchia conoscono il paese sono il grado di percepire la differenza tra città e campagne,l’immaginario dei fratelli musulmani. L’evento fa capire al premier turco che questa volta per vincere occorre una strategia articolata, in grado di contenere i tanti motivi di un dissenso crescente, sollecitando nel suo elettorato il ricordo di qnanto realizzato e costruito dal suo regime giunto al ventesimo anno.
Dopo aver formato generazioni di giovani turchi, condizionandoli, l’uomo forte della Turchia prende consapevolezza del fatto che sono ancora vive le ferite da lui inferte ai suoi oppositori in occasione del fallito colpo di Stato del 2016 ad opera del predicatore e politologo turco Fethullah Gülen. Militari, politici, intellettuali sono ancora in carcere a pagare il fatto di essere stati coinvolti in un evento nato come azione preventiva per disarmare l’opposizione poi degenerato in una dura ennesima repressione, ma le donne che portano il velo lo ringraziano ancora di averle sdoganate e queste sono la maggioranza dell’elettorato delle periferie del paese.

Il terremoto e i suoi effetti

Erdoğan, sa bene che questa volta il pericolo è grande: immani le rovine causate dalla sua politica di laissez feire in materia edilizia, con la sistematica violazione delle leggi antisismiche pure approvate, ma in realtà mai applicate.
Inefficienti i soccorsi e il sostegno alle popolazioni colpite dal sisma; grande lo sconcerto suscitato dalla impreparazione del paese a rispondere ad un evento così catastrofico; pronta l’opposizione a soffiare sul fuoco delle responsabilità, sarebbe lecito attendersi un calo dei consensi in un’area di suoi tradizionali elettori. Invece niente di tutto questo: il voto dell’Anatolia è arrivato compatto perché il clientelismo filogovernativo ha retto alla prova, a dispetto di quanto affermavano i media: non si può valutare un fenomeno con i parametri di una società di tipo occidentale, mentre l’evento
si verifica in un ambiente fortemente condizionato da legami clientelari che prevalgono sullo sdegno e fanno aggio su relazioni di potere consolidate.
Contrariamente a quanto si crede da parte dei media e dell’Occidente, il terremoto ha rafforzato il suo controllo sull’Anatolia, luogo di sostegno per la sua politica, stimolando le vittime superstiti a chiedere ed approfittare degli aiuti statali, grazie ai rapporti clientelari da tempo instaurati con le popolazioni dai suoi fiduciari sul territorio. Dalla scarsità degli aiuti e del sostegno ricevuto le popolazioni vittime del sisma hanno capito che la sola speranza era quella di restare ancorati ai potentati locali e al governo per ricevere il sostegno per vivere, tanto che si può ragionevolmente sostenere che la sua struttura di potere è uscita rafforzata in molti casi dagli eventi. Ha potuto farlo, sapendo bene di aver coltivato attentamente il rapporto con il suo elettorato, rinforzato le clientele e ha sfruttato l’effetto annuncio della sua sconfitta, mobilitando i suoi e chiedendo loro di partecipare massicciamente al voto.
Già prima del terremoto l’opposizione si preparava ad affrontarlo in modo nuovo: il suo principale avversario in queste elezioni, Kemal Kılıçdaroğlu, leader del Partito popolare repubblicano (CHP), il partito fondato dal padre della Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, ha radunato intorno a sé un’alleanza di 6 partiti, costituendo il “Tavolo dei sei”, una compagine estremamente eterogenea, e ottenuto l’astensione della componente curda del paese (circa 20 milioni), segnatamente dal Partito democratico dei popoli (HDP) che ha scelto di non presentare un proprio candidato. Sapeva quindi che i media interni ed esterni lo davano in pericolo, come in effetti era, visto che nel primo turno delle elezioni del 14 maggio il suo avversario ha ottenuto circa il 45% dei voti e, ciò malgrado, ha preparato il colpaccio, mancando di solo un punto la soglia necessaria per vincere la gara in un solo turno, ottenendo il 49%.
Ciò è stato possibile per Erdoğan dedicando somma cura a coltivare i rapporti con il suo elettorato ha mantenuto, grazie ad una rete diplomatica efficiente e pervasiva, anche i suoi rapporti con i 5 milioni di turchi emigrati in Europa e nel mondo, tanto da ottenere nella gran parte dei casi il loro sostegno.
Inoltre, Erdoğan ha fatto delle concessioni economiche salariali importanti in una fase in cui l’inflazione al 44% morde i livelli di vita più elementari della popolazione, facendo comprendere che dalla stabilità del governo dipende la consistenza e portata degli aiuti e il benessere economico del paese, forte del fatto che solo il governo possiede le leve per far funzionare la farraginosa macchina dello Stato sui territori. Ha abilmente sfruttato la presenza dei profughi siriani, molti dei quali non vedono in lui il peggior dittatore, pur sapendo benissimo con chi hanno a che fare, mentre su questo l’opposizione è stata prima divisa e poi ha optato per l’espulsione di gente che pur vivendo nei cambi profughi e in situazioni precarie, al limite dell’indigenza più assoluta, sa bene che il ritornare nelle mani di Assad sarebbe ancora peggio.

Il ruolo della politica di potenza

Perciò ha sfruttato la sete di parte del popolo turco di voglia di ricostruzione dell’impero, espressa sia dalla campagna militare contro i curdi, sia dalla presenza delle truppe turche nello scacchiere internazionale, in Libia come in Sudan, nei paesi dell’Asia centrale; il rapporto ambiguo che lo oppone all’orso russo in Armenia, nel Nagorno Karabakh, nell’Arzerbaigian per chiedere ai turchi di continuare a sostenerlo. Ha abilmente utilizzato la sua capacità di mediazione ambigua tra Ucraina e Russia, manifestatasi nell’accordo per la vendita del grano ucraino, per accreditarsi a livello
internazionale come un uomo di pace; ha sfruttato il suo potere di veto in ambito NATO, condizionando il suo allargamento. Consapevole di tanto lavoro diplomatico all’estero e dell’impegno verso la situazione interna, ha abilmente utilizzato la candidatura dell’ultranazionalista Sinan Oğan, leader del Partito ultranazionalista MHP, per sottrarre almeno una parte di sostegni alla grande alleanza costruita dal suo principale avversario. Il risultato si è visto nel voto, riuscendo a recuperare molte posizioni rispetto ai sondaggi che, artatamente alimentati dai servizi sotto il suo controllo, lo
presentavano come probabile perdente.
Erdoğan sapeva bene e sa che le difficoltà nell’avversario, al contrario, sono moltissime, soprattutto sul versante della tenuta dell’unità dell’opposizione. Sa bene che i curdi per astenersi hanno dovuto fare forza e violenza su sé stessi e dimenticare che proprio il partito del loro attuale alleato, in passato, ha messo in atto i progrom contro di loro, come contro gli armeni, in nome della continuità territoriale dell’impero turco, della sua grandezza, della garanzia di mantenere l’unità territoriale delle popolazioni turche, partendo dalla penisola anatolica e proiettandosi verso l’Asia centrale.[1]
Così anche se il sud-est del Paese, a maggioranza curda. per la prima volta, ha dato il suo supporto a un esponente del CHP, il partito fondato dal padre della Turchia, Mustafa Kemal Atatürk e a Diyarbakır, il centro a maggioranza curda più importante della Turchia, Kılıçdaroğlu ha ottenuto oltre il 70% delle preferenze non è bastato. Tuttavia, ciò fa capire quanto la componente curda abbia lasciato Erdogan, votato perché non responsabile di quei massacri, sostenendo per la prima volta un candidato del Partito popolare repubblicano.

Il calcolo politico di Erdoğan

Questo calcolo politico di Erdoğan ha pagato e il risultato elettorale della seconda tornata è stato significativamente anticipato dal pronunciamento del partito ultranazionalista che ha proposto ai suoi elettori di sostenere Erdoğan come la sola diga possibile al ritorno di pur moderate posizioni laiche nel paese, che del resto, occorre ricordarlo, ha guardato unanimemente con favore al ripristino del culto in Santa Sofia, nuovamente trasformata in moschea.
Le vittime di tutto questo sono soprattutto i giovani del paese e l’intero popolo turco che rimane nelle mani di un dittatore tutt’altro che sgradito alla gran parte del paese. Occorre ricordare infatti che sotto il suo governo la Turchia ha mantenuto una posizione internazionale di preminenza e quel che più importa ha visto crescere per lungo tempo
l’economia del paese che è riuscita a proiettare la sua ombra sia sull’Africa che sul Medio Oriente e sull’Asia centrale, mentre grazie alle relazioni internazionali intrattenute con Israele – benché ambigue o proprio per questo – è riuscito mantenere un parziale controllo sulle acque dei grandi fiumi (Tigri e Eufrate), a stabilire che una fetta dei ricchi di giacimenti presenti nel Mar Mediterraneo di gas e petrolio restino nella sfera di espansione della Turchia, contenendo le pretese sia di Cipro che della Grecia e dell’Egitto su questo tratto di mare.
Inoltre Erdoğan, grazie alla sua politica migratoria nei confronti dell’Europa è riuscito ad ottenere dall’UE il pagamento sostanzioso (6 miliardi di euro) nella sua attività di carceriere e di guardiano delle frontiere; inoltre, trattenendo i profughi siriani e non solo nel proprio paese, ha messo a disposizione dell’economia della Turchia un esercito industriale di riserva sterminato e senza limiti, disponibile a lavorare nelle condizioni più bestiali di sfruttamento e ha permesso quindi un’alta competitività delle merci prodotte sul territorio turco.
Certo, la Turchia, se vuole mantenere un ruolo di leadership all’interno del mondo islamico, deve contrastare la crescente crescita di unità nel mondo arabo, compensando gli effetti della riconciliazione fra sunniti, sciiti e aleuiti, ma proprio per questo il paese e le classi dirigenti che hanno sempre sostenuto Erdoğan e l’idea di una grande Turchia hanno bisogno di un leader forte e prestigioso che guidi il paese e che sia in grado di condizionare l’Alleanza Atlantica della quale la Turchia sa bene di costituire una componente indispensabile, sia per la sua posizione strategica che per la forza del suo esercito, certamente uno dei più forti dall’intera Alleanza, posizione che permette al paese di svolgere il ruolo ambiguo di collettore delle relazioni russo ucraine e in ultima analisi di grande potenza.

Un paese spaccato in due

Con una vittoria di misura nel ballottaggio (52 % 47 %) e una maggioranza incerta in Parlamento sarà difficile per Erdoğan, una volta finita la festa, gestire il paese. Dalla sua ha l’eterogeneità dell’opposizione, le sue contraddizioni interne che ne hanno impedito il successo, ma sul piano sociale egli sa che non controlla le città e il tessuto avanzato della società turca. Sarà inevitabile un periodo di forti tensioni sociali, anche perché le difficoltà connesse a un’inflazione altissima e a una politica economica disastrosa, l’assenza di libertà politiva produrranno i loro effetti. Sarà difficile per il premier turco riformare le istituzioni, come aveva sperato, per perpetuare il suo potere e la sua politica di potenza.

[1] I genocidi dei turchi nei confronti dei curdi iniziano in tempi recenti tra il 1915 e il 1919, contemporaneamente a quello degli armeni e proseguono in tempi recenti e anche attualmente con le azioni militari turche lungo il confine con la Siria e con una forte repressione all’interno della Turchia dove risiedono circa 20 milioni di curdi su una popolazione complessiva di 85 milioni. Vedi anche: G. L., Il popolo curdo per la rivoluzione sociale, pubblicato il 21 Febbraio 2022, Ucadi in Newsletter, Numero 156 – Anno 2022.

Gianni Cimbalo