CE N’EST QU’UN DEBUT CONTINUONS LE COMBAT

Lo sciopero generale in Francia del 19 gennaio ha portato in piazza almeno 2 milioni di manifestanti appartenenti a tutte le categorie; a sostenerlo sia La République En Marche che il Front National che si oppongono al progetto di Macron di portare da 62 a 64 i limiti dell’età pensionabile. L’età minima necessaria per accedere al trattamento previdenziale, (l’âge légal) dovrebbe salire tre mesi ogni anno, per tutti coloro nati dopo il ’68, in modo da raggiungere i 63 anni e tre mesi nel 2027, alla fine del quinquennato di Macron e raggiungere l’obiettivo finale nel 2030, quando il sistema previdenziale dovrebbe poter tornare sostenibile. Inoltre dovrebbero essere fortemente ridimensionati i regimi speciali che caratterizzano i diversi trattamenti pensionistici delle categorie. [1]
Per la prima volta in 12 anni, le organizzazioni dei lavoratori si ritrovano unite nel contestare le scelte del governo, mentre un sondaggio Ifop-Fiducial rileva che il 68% dei francesi è contrario all’aumento dell’età pensionabile.
Alla luce dei risultati elettorali il partito del Presidente non ha da solo i voti necessari a far approvare la riforma la riforma ed avrebbe quindi bisogno del sostegno almeno dei Républicains, che sarebbero disposti a votare il provvedimento voluto da Macron a due condizioni: l’aumento generalizzato del trattamento minimo attuale e una più lenta progressione dell’età pensionabile, in modo da raggiungere i 64 anni nel 2032 e non nel 2030. Con il sostegno dei neogaullisti, il governo potrebbe evitare il ricorso all’articolo 49-3 della Costituzione, che permette di varare alcune leggi (esplicitamente: la finanziaria, e gli interventi sulla previdenza sociale) senza l’approvazione parlamentare e salvo voto di censura.
Il 23 gennaio il Governo ha presentato il suo progetto ufficialmente e si è quindi appreso che la riforma, in ogni caso, non si limita all’aumento dell’età pensionabile, per le quali sono previste eccezioni (58 anni per chi ha iniziato a lavorare prima dei 16 anni, 62 per le altre “carriere lunghe”. Il progetto prevede un allungamento dei contributi per ottenere la pensione “piena” a 43 anni, livello da raggiungere nel 2027 e non più nel 2035 come prevedeva la riforma voluta da Marisol Touraine, la ministra socialista nel 2014. La maggior parte dei regimi speciali, che hanno reso molto complesso il sistema previdenziale francese saranno tuttavia aboliti. Le pensioni minime saranno inoltre portate a 1.200 euro netti per tutti i pensionati e non soltanto per i nuovi come era inizialmente previsto.
Mentre la maggioranza intensifica la sua ricerca di sostegno politico, tutti i sindacati si preparano a un nuovo sciopero generale indetto per il 31 gennaio che è preceduto da scioperi a scacchiera in molti settori come quelli dei trasporti, dell’energia e della logistica, scioperi che certamente continueranno ben oltre il 31 gennaio aprendo una fase di scontro sociale intenso come quelle che la Francia ha più volte conosciuto, scontro inevitabile imposto da condizioni strutturali dello scontro di classe in atto sull’accesso al godimento dei beni per il soddisfacimento delle esigenze primarie.
Accumulazione capitalistica, crisi demografica e distribuzione del reddito.
È del tutto evidente che la guerra di classe è stata combattuta e che i padroni l’anno vinta, ma questo non significa che la lotta non continui, ma che anzi la lotta tra capitale e lavoro può, deve continuare e continuerà. Per farlo non si possono ignorare i problemi strutturali posti dalla demografia e dalle condizioni generali economiche che a questi sono connessi. Se così è occorre partire dal dato di fatto che L’Europa che ospita il 10 % della popolazione mondiale costituisce l’area di maggior consumo per spese per i servizi sociali e alla persona ben il 20% delle sue risorse. Nel frattempo, la sua popolazione invecchia, a causa del miglioramento del tenore di vita e della durata della vita mentre il numero di giovani atti al lavoro diminuisce. Ciò fa si che le risorse disponibili per il welfare si riducano inesorabilmente.
Su questa strada l’Europa è solo la prima perché presto il fenomeno si presenterà con dimensioni gigantesca in Cina per il venir meno del welfare familiare a causa anche dell’abbandono delle campagne e per la diminuzione in prospettiva della quota di popolazione atta al lavoro. Ciò significa che la struttura sociale va ripensata e che questo è uno dei limiti dello sviluppo che va ad aggiungersi alla crisi climatica e energetica che trovano nel sistema capitalistici il maggior nemico, a causa della crescente ineguaglianza nella distribuzione delle risorse e dei redditi. Questa è una delle cause/ragioni strutturali che determinano la necessità/inevitabilità della lotta di classe.
Per perpetuare la vitalità del sistema di sfruttamento il capitalismo, nell’impossibilità di utilizzare fino in fondo la guerra come sistema di azzeramento dello sviluppo per far poi ripartire l’accumulazione, condizionato dalle conseguenze dell’uso dell’arma atomica è ricorso alla terza guerra mondiale a pezzetti che viene combattuta a livello globale senza esclusione con un’intensità che rischia la distruzione totale, come in Ucraina.
La sola soluzione possibile è far crescere la quota del potere di classe, porre un limite allo sfruttamento, far crescere il peso del salario differito e trovare le risorse necessarie nella riduzione della quota destinata al profitto nell’eterna competizione tra capitale e lavoro.
L’entità della posta in gioco è grande e va ben oltre ogni possibile previsione,:una sconfitta non improbabile avvicina la società francese e non solo quella a uno scontro inevitabile che sarà sempre più radicale.

[1] Gianni Cimbalo, Francia: un nuovo ciclo di lotte?, Newsletter, UCAdI n. 15, 19 maggio 2021; Gianni Cimbalo, Lotte Sindacali in Francia, Newsletter UCAdI n. 126, dicembre 2019

La Redazione