Tra le guerre dimenticata quella Yemenita è una di quelle più disastrose e devastante alla quale si accompagnano la carestia e la strage di donne e bambini. L’entità statale yemenita occupa la parte sud della penisola arabica e confina con Arabia Saudita e Oman. La sua posizione geografica gli consente di controllare i traffici navali tra
l’Oceano Indiano e il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, contendendosi questo ruolo con gli altri paesi rivieraschi, l’Eritrea e Gibuti. Con circa 30 milioni di abitanti è il secondo paese per popolazione nella penisola arabica dopo l’Arabia Saudita e, pur disponendo di risorse energetiche è il paese più povero della regione.
Suddiviso in vari protettorati fin dal 1839 venne occupato dagli inglesi che crearono ad Aden una loro presenza a presidio delle rotte e dei traffici marittimi. Il paese ottenne l’indipendenza solo nel 1963 e gli inglesi dichiararono di abbandonarlo nel 1967, ma mantennero e mantengono un rilevante controllo sull’area. Successivamente vennero create due entità, lo Yemen del Nord controllato dagli occidentali e quello del Sud che divenne una repubblica socialista. Nel 1991 queste entità si fusero, avviandosi verso una difficile convivenza segnata dal persistere dello sfruttamento di Inghilterra e Stati Uniti che controllano l’area, affiancate dalle potenze regionali, Egitto, Arabia Saudita, Iran e Emirati
Arabi Uniti.
Lo Yemen divenne uno Stato unitario nel 1990, quando lo Yemen del Nord, che dal 1978 era presieduto da Ali Abdullah Saleh, fu riunificato con lo Yemen del Sud (Repubblica Democratica Popolare dello Yemen). Saleh, presidente dello Yemen riunificato, mantenne il potere ininterrottamente per 33 anni. La Repubblica dello Yemen, rappresentando un’eccezione in un’area nella quale dominano, monarchie, sultanati o emirati, non ha tuttavia costituito un elemento di stabilità, prova ne sia che tensioni e le divisioni non cessarono di caratterizzare la riunificazione.
Durante i 33 anni del regime di Saleh le regioni settentrionali e meridionali dello Yemen vennero escluse dal potere e dalla gestione delle risorse le energetiche, alimentando la nascita di movimenti di una forte opposizione e dando origine al conflitto. Nel Nord nacque nei primi anni duemila il movimento degli Houthi, dissidenti sciiti zaiditi detti anche “Ansar Allāh” (Partigiani di Dio), dal nome del fondatore del movimento Husayn al Houthi, ucciso dal regime di Saleh nel 2004 mentre nel Sud si consolidarono le rivendicazioni autonomiste e secessionistiche del Movimento al-Hiram (Movimento per lo Yemen del Sud). A partire dal 2004 nel Nord le tendenze secessioniste sviluppatesi nello Yemen
meridionale indebolirono ulteriormente il presidente Saleh, che, a seguito delle rivolte popolari della “primavera araba”, fu costretto a rassegnare le dimissioni il 23 novembre 2011. Il 19 marzo 2015, dopo aver preso il controllo della capitale Sana’a nel settembre 2014 e aver costretto il presidente Hadi alle dimissioni e alla fuga ad Aden, capitale del sud del paese gli Houthi attaccano le province meridionali. Iniziano così sette anni di una guerra che ha conosciuto alterne vicende, senza che nessuna delle parti prevalesse, ognuna sostenuta dai propri alleati. Approfittando della generalizzazione del conflitto si sono inseriti sia Al-Qāʿida che l’Isis, aumentandone l’intensità ed endemizzando lo scontro tra i diversi attori.
Arrivano gli inglesi
Mentre si prepara la Brexit rinascono il sogno e le ambizioni imperiali della Gran Bretagna che, da allora in poi, gioca in proprio sullo scacchiere internazionale Nel 2015 il Regno Unito entra nel conflitto a fianco della coalizione a guida saudita per motivi geopolitici. Ma l’intervento britannico non vuole soltanto preservare i lucrativi rapporti commerciali e finanziari con Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, perché solo chi controlla il traffico marittimo può avere velleità di potenza imperiale. Inoltre è noto che chi controlla Aden controlla uno dei due accessi al Mar Rosso, quindi i flussi economici e il traffico tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo e la rotta marittima che collega Asia, Africa ed Europa. È Stato così da sempre e si viole addirittura ripristinare la situazione strategica precedente al 1963 quando gli inglesi dovettero abbandonare quel possedimento. Non ignorando tuttavia il nuovo assetto geopolitico dell’area ora gli inglesi operano di concerto con gli Emirati Arabi Uniti, paese con smisurate ambizioni di potenza, dove hanno sede i loro
“consiglieri militari” per l’area e le forze speciali delle quali dispongono.
A contrastare questo progetto è l’alto attore con ambizioni strategiche, l’Iran il quale per contrastare le sanzioni Usa e rompere l’accerchiamento geopolitico del paese non può limitarsi a controllare lo stretto di Hormuz a Nord, che lo separa dalla penisola arabica, ma deve allargare la sua presenza nel Mar Rosso, fino allo sbocco del Canale di Suez. Ecco
allora che emerge la “giustificazione religiosa: gli Houthi sono sciiti (anche se di uno sciitismo diverso da quello iraniano) che combattono contro sunniti, quindi vanno sostenuti sempre più decisamente.
L’ingresso nel conflitto del nuovo attore produce il maggior impegno degli Stati Uniti nel conflitto: come si vede le guerre per procura non sono una prerogativa della sola guerra in Ucraina. Ma non basta: è tutta l’area ad essere coinvolta, l’Eritrea come Gibuti e le grandi potenze di stanza nella base che controlla le rotte marittime che il paese ospita. Si pensi che appena 23 mila chilometri quadrati di territorio sono ospitate le forze militari di otto potenze straniere: Stati Uniti, Cina, Francia, Giappone, India, Italia, Spagna e Germania. A questi a breve si aggiungerà l’Arabia Saudita. Ad aggravare ulteriormente la situazione l’Etiopia il 4 novembre ha deciso di invadere il Tigray, scatenando una feroce guerra
dimenticata dove uno degli attori è il presidente etiope Abiy Ahmed Ali, insignito del Nobel per la pace che ha posto il suo paese di fronte a una terribile carestia, mentre nella regione si susseguono gli stupri come arma di guerra nei confronti di donne e perfino di bambine. Sono come al solito le donne e i più deboli a pagare il prezzo della guerra.
Il disastro umanitario.
La guerra civile yemenita ha causato la peggiore crisi umanita del mondo, con circa 24 milioni di persone che necessitano di aiuti e oltre 4 milioni di yemeniti costretti a fuggire all’interno del paese in cerca di sicurezza, la quarta più grande popolazione di sfollati interni nel mondo. La stragrande maggioranza 76% delle donne e dei bambini ha dovuto abbandonare case e luoghi di residenza. Solo nel 2020, circa 172.000 persone sono state costrette, secondo le Nazioni Unite, ad abbandonare le loro case. La maggior parte degli sfollati vive in condizioni intollerabili e inumane, senza distanziamento sociale dovendo convivere con l’epidemia Covid senza nemmeno poter lavarsi le mani, essendo stata distrutta la rete idrica peraltro insufficiente. Secondo i dati forniti dall’UNHCR, oltre 16 milioni di yemeniti, ovvero più della metà della popolazione totale di 29 milioni, nel 2021 soffrono la fame. mentre almeno 50.000 persone rischiano di morire e la carestia è alle porte; 400.000 bambini sono in pericolo di vita, affetti da malnutrizione acuta grave, su quasi 2,3 milioni di malnutriti. Oltre 12 milioni i bambini in condizione di bisogno, 5,5 quelli bisognosi di istruzione. A febbraio 2021 si registra un aumento della malnutrizione acuta del 16% rispetto al 2020 dei bambini sotto i 5 anni: secondo le agenzie, è il dato più alto dall’escalation del conflitto nel 2015.
Alla presenza devastante del Covid si è aggiunto il colera, esploso nel 2017. Le epidemie sono alimentate dal fatto che gli impianti idrici e igienico-sanitari sono stati pesantemente colpiti dal conflitto e hanno determinato la diffusione di malattie veicolate dall’acqua, letali per i bambini, tra cui il colera. A dicembre 2020 sono stati quasi 2,5 milioni i casi sospetti, di cui oltre il 50% bambini.
Gli aiuti umanitari nel 2020 il Piano di risposta umanitario ha ricevuto meno della metà degli oltre 4 miliardi stanziati nel 2019 e degli oltre 5 miliardi stanziati nel 2018. Dei 211 milioni di dollari che l’UNHCR ha richiesto per le sue operazioni nel 2020, ne ha ricevuto solo il 30%.
Una guerra non “coperta”
A differenza di quella ucraina quella yemenita non è una guerra coperta dalle informazioni e dalla stampa. Le televisioni non trasmettono speciali né maratone, né inviano corrispondenti; gli scontri e le battaglie non alimentano il tifo degli spettatori, non vengono mostrate cartine sullo spostamento delle truppe sul campo, descritte strategie, coinvolti
generali e analisti a ipotizzare gli sviluppi strategici dei contendenti.
Le armi vengono inviate e vendute, quelle si, dimenticando di osservare l’embargo sulla vendita di armi ai belligeranti. Non vengono fatte collette, non vengono ospitate né donne né bambini; in compenso se qualche yemenita riesce ad arrivare sulle coste del mediterraneo o percorre la rotta balcanica per trovare rifugio in Europa lo si chiude in
qualche lager in Grecia o in Libia, lo si lascia affogare in mare: in fondo è una guerra di serie b se non c; e poi i yemeniti sono scuri di pelle, sono in genere mussulmani e non sono vittime dei russi.
Chissà se Putin è disposto ad intervenire nello Yemen. Sarebbe un motivo per indurci ad aiutare le vittime del conflitto. E poi, diciamocelo chiaro, la sicurezza delle rotte e delle navi in entrata e in uscita dal Canale di Suez valgono bene il massacro di un popolo, mentre tutte le grandi potenze, Cina compresa, vigilano da Gibuti sul traffico, di stanza nella base militare che li vede presenti uno a fianco all’altro. Eppure, anche in questa guerra ci sono i cattivi, gli iraniani, che appoggiano gli Houthi, gli statunitensi bombardano ogni tanto e forniscono armi all’Arabia Saudita, gli sciacalli inglesi hanno insediato i loro consiglieri militari e, come in Ucraina, mandano gli altri a morire.
Al momento è in vigore una tregua causata dal positivo ritiro dal conflitto degli Stati Uniti: Biden impegnato su tanti fronti ha staccato la spina. Un effetto sul quale riflettere!
La Redazione