50 sfumature di nero

Fratelli d’Italia, il partito erede diretto del MSI, e, quindi, collegato a sua volta in maniera lineare con il fascismo di salò, ma (novità emersa nel campo della destra nell’ultimo decennio) anche con il fascismo del ventennio, orma da anni si configura come il primo partito italiano. Questo perlomeno nei sondaggi.
Si tratta dell’unico partito italiano che, mentre professa il culto della patria e della famiglia “naturale”, è diretto da una donna, madre senza marito. Ho iniziato da qui perché è spesso su questo, e solo su questo aspetto, che si leggono critiche a quel partito. Come se FDI non fosse un partito del XXI secolo e non aderisse, di fatto, ai costumi del periodo in cui opera. Del resto si sa che questa storia dei costumi collettivi e individuali attraversa tutta la storia delle classi dirigenti e dominanti e nell’adeguamento della norma ai comportamenti reali la chiesa cattolica avrebbe molto da dire.
In realtà è ovvio che quei richiami valoriali non siano altro che pezze d’appoggio su cui costruire un meccanismo comunicativo efficace. Nessuno ci crede davvero, ma essi sono parti importanti della critica alla versione complessa della modernità, e, soprattutto, a quella globalizzazione che molti soggetti ha lasciato perdenti lungo il suo cammino.
A questa narrazione è speculare quella del PD, che ormai si configura come il partito istituzionale nel senso che non esiste fuori dalla partecipazione e gestione diretta della cosa pubblica e filo-tutto (tutto quello che proviene dalle classi dominanti) compreso un atlantismo così becero e sguaiato al cui confronto la DC degli anni ‘50 pare essere stata un baluardo dell’interesse nazionale.
Mentre FDI raccoglie i vinti dalla globalizzazione (sempre di più in un paese come l’Italia che non ha più un vero comparto produttivo) il PD nasce proprio per esaltare competizione, mercato e transnazionalità.
Unica differenza: i diritti civili. O, meglio, la loro esaltazione orale, avendo, quel partito, anche da accontentare l’ampia maggioranza di cattolici da cui è composto. Del resto, sono, forse, gli unici che, a volte, non vedono di buon occhio questa storia del mercato come ultimo orizzonte (Rosy Bindi).
Ma gli scenari guerreschi non di stampo USA, segnalano adesso una certa crisi della globalizzazione (crisi certificata dalla vittoria di Trump del 2016). Prima la Cina che, usando proprio il mercato globale, si sta affermando come potenza economica mondiale, e adesso, la Russia che rompe l’egemonia militare.
Su questo crinale, la destra, seppure divisa fra un Salvini né carne né pesce e una Meloni piuttosto “easy”, sta tenendo un bassissimo profilo, nel mentre che la canea bellicista guidata dagli USA (e a costo zero per loro, anzi….) pare aver contagiato in maniera imbarazzante solo il governo (parte di esso) del nostro paese.
Alla testa di questa banda di invasati c’è proprio il PD, il quale, ormai, per dirla con John Lennon, riesce ad affermare che “si fa sesso per rimanere vergini”.
Ma le conseguenze economiche di una guerra in cui non sono coinvolti né alleati dell’Italia, né componenti della UE o della NATO (tanto che verrebbe istintivo domandarsi: ma le alleanze a che servono) e che hanno visto il nostro paese (alla cui politica estera c’è un vero minus habens come Di Maio) prendere posizioni del tutto sopra le righe, sia sul piano verbale che su quello delle azioni concrete (mandare armi vuol dire entrare in guerra), rischiano di essere devastanti. Un vero e proprio boomerang economico e un ulteriore declassamento politico.
In questo scenario la destra non ha che da aspettare, senza neppure premunirsi di prendere una posizione precisa (la qual cosa potrebbe nuocergli) e prepararsi a raccogliere quello che cadrà dall’albero.
A meno che non si decida che anche il voto è ormai un concetto superato, dopo la rielezione di Mattarella, la riduzione dei parlamentari e la messa a capo del governo direttamente del capitale finanziario, magari con qualche altra emergenza da gestire.
Ma, del resto, perché avere paura dei fascisti di FDI, quando quelli con tanto di svastica e tatuaggi di Bandera vengono esaltati come eroi della resistenza?

Andrea Bellucci

Ci ostiniamo a cercar di capire, ad indagare e ragionare offrendo con modestia il nostro contributo alla maturazione di una coscienza collettiva e di una consapevolezza che ha tuttavia bisogno di operare nel concreto dell’intervento politico.
Ecco perché queste riflessioni non sono rivolte solo all’area comunista anarchica o anarchica del movimento di classe, ma anche ai marxisti non dogmatici e a quanti, intervenendo sui problemi concreti dei proletari, mettono in atto un intervento politico su posizioni di classe ed hanno bisogno di appropriarsi criticamente di conoscenze per applicare alla loro azione un moltiplicatore, una valenza che, se carente di prospettive, diviene sterile.
Di queste compagne e di questi compagni noi oggi, come sempre, siamo al servizio, disponibili a cogliere ogni richiesta, ogni domanda di riflessione, a fornire quel retroterra che può essere utile a rinforzare e motivare l’intervento politico: questo senza alcuna pretesa di assumere un ruolo di guida e di direzione politica, ma desiderosi soltanto di svolgere la funzione di memoria storica.