Il PNRR e le miserie del riformismo

Tra gli interventi del PNRR, al punto M 5C2 – infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore – è prevista la realizzazione di “piani urbani integrati per il superamento degli insediamenti abusivi, per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura”. Al contrario di quanto si può credere, si tratta di un progetto di difficile realizzazione per il quale da parte dei partiti di sinistra sarebbe richiesto un forte impegno nella società. Il silenzio e l’assenza di iniziativa politica sono assordanti.
L’ex ministra dell’agricoltura presente nel Governo che presentò il PNRR, in rappresentanza di “Italia morta”, se ne fottuta bellamente, facendo approvare una legge per la regolarizzazione dei lavoratori agricoli immigrati del tutto inefficace che ha lasciato le cose come stavano. Il suo successore, l’ingegner Patuanelli, vede solo i problemi “produttivi delle filiere agricole, il rapporto tra PNRR e PAC (Politica Agricola Comune)” , come dimostra la sua elezione alla Camera. La preoccupazione che emerge dai chiacchiericci dei ministri presenti nel Governo dei migliori è quella di accaparrarsi più contratti possibili da distribuire ai propri sodali.
Non si tratta di incompetenza, né di incapacità, dunque, ma della disabitudine a fare politica sul campo, invece che in televisione e nei salotti, e ancor più di un silenzio prodotto dai mille e mille laccioli che i partiti hanno intessuto con i portatori di interesse (ora e di moda dire staicolders) del settore, per cui hanno le mani legate e restano immobili.
L’altro motivo è che i partiti sedicenti di sinistra hanno smarrito la nozione stessa degli interessi dei quali dovrebbero essere portatori partito che si dichiarano di sinistra, o quanto meno riformisti; altrimenti avrebbero inviato uno straccio di indicazioni, qualche direttiva, agli amministratori locali – come si usava un tempo – spiegando loro come muoversi e cosa fare per utilizzare le opportunità che si aprono sui territori; o almeno, così dovrebbero fare un partiti, per quanto composti da incapaci, che hanno voglia di tutelare interessi di classe.
Realizzazione degli insediamenti per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura.
Dovrebbero sapere che l’Italia si caratterizza per una questione bracciantile,[1] per affrontare la quale sarebbe necessaria un’azione coordinata tra organismi centrali e organismi periferici: di questo compito ogni partito sedicente di sinistra si dovrebbe fare carico, provvedendo a sensibilizzare e informare. I siti dove avviene lo sfruttamento del lavoro agricolo sono tristemente noti; nella gran parte dei casi accanto ad essi si sono formati accampamenti fatiscenti, sorti nei territori di piccoli comuni che non hanno il personale e le capacità tecniche per redigere i progetti e gestirli organizzativamente. In questi luoghi non solo mancano le abitazioni, ma acqua, energia elettrica, servizi igienici,
assistenza sanitaria. Le istituzioni sono assenti e tutto è lasciato al volontariato, agli ambulatori di Emergency e di altre associazioni: lo Stato interviene soltanto per reprimere, mentre il caporalato tiranneggia le magre retribuzioni dei lavoratori.
Gli interventi sostenuti e coordinati a livello del Ministero dell’Interno e dal Dipartimento immigrazione sono solo stati capaci di mettere a disposizione tende e container. Il PNRR ipotizza la costruzione di alloggi e la politica sembra non vedere la problematicità dell’intervento: stiamo parlando di aree dove l’emergenza abitativa riguarda anche gli abitanti autoctoni i quali, a fronte dell’eventuale realizzazione di abitazione per i migranti e lavoratori stagionali, potrebbero porsi in posizione di conflittualità con questi lavoratori e non per questioni graziali o di avversione verso l’emigrazione, ma per un comprensibile conflitto di interessi nell’accesso ai servizi. Occorrerebbe perciò una preventiva opera di mediazione culturale e sociale e soprattutto, dare risposta anche all’emergenza abitativa degli autoctoni: anche in questo caso i partiti di sinistra e i loro organismi sono totalmente assenti, sindaci e personale politico sono impreparati.

Il caso di San Ferdinando

Ebbene in questo piccolo comune, contiguo a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro si trova un campo fatto di tende, baracche coperte da teloni di plastica, qualche container che ospita nel fango centinaia di migranti, servizi igienici fatiscenti, acqua corrente alla quale si accede con difficoltà e niente corrente elettrica. Nel 2011 la Regione stanzia 3 milioni di euro, fondi europei Pisu (Piano Integrato di Sviluppo Urbano), destinati alle zone ad alta densità di migranti, vincolati alle categorie svantaggiate. Vengono finanziati interventi a Rosarno, Vibo Valentia, Corigliano, Rossano e Lamezia Terme (per i rom). A Rosarno la scelta cade su località ‘Serricella’, alla periferia della città dove vengono realizzate su un terreno comunale sei palazzine bianche a tre piani, nell’insieme 36 appartamenti, ognuno per 6 persone che dovrebbero ospitare circa 250 migranti. Oltre alle palazzine si ristruttura un edificio confiscato al clan Pesce nel centro della città dove si ricavano altri 6 appartamenti. I lavori vengono terminati nel 2019, ma prima che le costruzioni realizzavate vengano assegnate sono occupate abusivamente da 12 famiglie rosarnesi che inalberano striscioni con le scritte ‘Villaggio Italia’ e ‘Prima i rosarnesi’, subito affiancati dal sindaco pro tempore poi arrestato perché sospettato di collusioni con la ‘ndrangheta, tanto che il Comune è in amministrazione controllata, Il risultato è che i lavori non sono mai stati finiti(manca l’allacciamento delle fogne) e mentre è proseguita incontrastata l’occupazione e gli altri appartamenti non occupati sono stati vandalizzati.
E non si tratta di un caso isolato: c’è il precedente del Villaggio della solidarietà costruito nell’area della Betom Medma, ex cementificio confiscato alla cosca Bellocco, costato quasi 2 milioni di euro, finanziati dal Programma Operativo Nazionale Legalità del Viminale. Doveva ospitare un centro di formazione lavoro per migranti, con 120 posti letto, ma i lavori si sono fermati dopo l’interdittiva antimafia che ha raggiunto l’impresa che li stava realizzando.
Quanto realizzato è stato vandalizzato, portati via infissi, cavi elettrici, condizionatori, materassi.
Tutti nella zona ricordano che il 9 gennaio 2016, in contrada ‘Donna Livia’ di Taurianova, altro paese della Piana, vicino a Rosarno, venne inaugurato il “Centro polifunzionale per l’inserimento sociale lavorativo degli immigrati”.
Costato circa 650mila euro, finanziato su fondi Pon Sicurezza, non è mai entrato in funzione. Inaugurato in pompa magna nel 2016 dopo poche settimane è stato abbandonato dalle associazioni che avrebbero dovuto gestirlo, prive di ogni protezione. Nel febbraio del 2017 e nel gennaio del 2018, in due successive visite, il centro è stato vandalizzato: divelti e asportati i termosifoni e il quadro elettrico, asportati i computer, divelte porte e suppellettili. La struttura non doveva funzionare!
Questo mentre in contrada Russo Spina, nel Comune di Taurianova, fa mostra di sé un altro accampamento fatiscente fatto di baracche, casette diroccate, porcilaie. Tutto coperto di teloni di plastica e rinforzato con lastre di Eternit e amianto, mentre si sguazza nel fango e nel gelo e in mezzo ai rifiuti. Ci vivono in non meno di130 persone che
dovrebbero essere trattati da esseri umani e non da bestie.
Complessivamente i migranti presenti nella piana sono tra sei e settemila (anche se un censimento accurato non è mai stato realizzato) che nella stagione della raccolta lavorano nelle campagne alle spalle del porto di Gioia Tauro. Anche i numeri si sono parzialmente ridimensionati nei due anni di pandemia, sono sempre i lavoratori africani a sostenere l’intero comparto, impiegati in aziende agricole di non più di due ettari, una struttura più che atomizzata, costituita da migliaia di minuscole aziende a conduzione familiare (13 mila), che visti i prezzi bassissimi ai quali viene acquistato il prodotto (arance e mandarini a 25 centesimi al Kg) sopravvivono solo grazie al supersfruttamento dei lavoratori, pagati con salari da fame, sui quali lucrano i caporali.

Le condizioni politiche per attuare il PNRR

In questa situazione è del tutto evidente che per attuare il PNRR non basta un’azione dall’alto se poi le case costruite per gli immigrati restano inutilizzate ed essi, nelle campagne della Piana, continuano a vivere in condizioni intollerabili. Se non si capisce che questo sistema è funzionale a mantenerli schiavi e ricattabili, ad alimentare un circuito
perverso nel quale la clandestinità e i permessi di soggiorno sono uno strumento di ricatto funzionale ai delinquenti che sia a livello politico che istituzionale lo hanno creato e lo alimentano non si verrà a capo di nulla.
È per questo motivo che sarebbe necessaria un’azione di mediazione politica rispetto alla quale anche le forze sindacali che operano nel settore, gli appartenenti a associazioni di volontariato, compagne e compagni che fanno intervento politico sono chiamati ad intervenire per lanciare una grande vertenza di civiltà e solidarietà, certamente gestibile, chiedendo che con i fondi del PNRR o sul bilancio dello Stato si provveda a fornire di alloggi dotati di servizi non solo le migliaia di braccianti e lavoratori stagionali che rendono possibile all’agricoltura industriale ed estensiva, ma anche gli autoctoni in stato di bisogno e che le istituzioni siano in grado di garantire la corretta allocazione delle risorse sradicando invidia sociale e collusioni con la criminalità.
Solo la mobilitazione dei militanti della lotta di classe è in grado di surrogare l’insipienza riformista, la loro incapacità di fare politica, l’assenza di iniziativa; di porre riparo all’omologazione di costoro in un governo di unità nazionale che rispetto al PNRR si è posto in un’ottica spartitoria appropriativa, predisponendosi a difendere esclusivamente la propria quota di appalti e a gestire e le risorse da distribuire.
Il potere lo sa e perciò quella stessa struttura che per conto dello Stato dovrebbe coordinare, dirigere e indirizzare la lotta al sistema criminale messo in pedi in quest’area della Calabria ha fatto ricorso alla repressione e alla condanna di Mimmo Lucano per eradicare dall’area ogni esempio di buone pratiche e perché quanto avvenuto fosse da monito per chiunque voglia alzare la testa.
Ne rassicurano i metodi del neo tecnocrate Occhiuto nuovo Presidente della Regione pronto ad adoperarsi per canalizzare i finanziamenti di “aiuto ai migranti” verso i soliti noti.

[1] Sulle questioni relative all’agricoltura: Schiavi in Italia – La questione bracciantile, Ucadi in Newsletter, Numero 147 – Giugno 2021, Anno 2021. Agricoltura, lavoro, emigrazione, Ucadi in Newsletter, Numero 148 – Luglio 2021, Anno 2021, Agricoltura, città e territorio, Ucadi in Newsletter, Numero 149 – Agosto 2021, Anno 2021. La scelta di un’agricoltura “alternativa”, Ucadi in Newsletter, Numero 152 – Novembre 2021, Anno 2021

Gianni Cimbalo