Crisi ucraina e irrazionalità della guerra

Le elaborazioni della scienza giuridica sullo Stato sono condizionate dall’eurocentrismo o, se si preferisce, dal riferimento alle culture del Nord Atlantico, non così quella dell’anarchismo. Dai modelli elaborati da questa cultura giuridica sono discesi a cascata le influenze condizionanti verso le altre aree del mondo via via che i processi di decolonizzazione hanno posto fine al dominio dell’Occidente; ciò ha fatto sì che queste elaborazioni concettuali si ritrovino come principi, valori ed istituti nei testi costituzionali della gran parte degli altri paesi del mondo. Questo dato di fatto scaturisce dalla posizione dominante assunta dalle economie della area geopolitica suddetta; tuttavia, questa equazione non è più valida in un momento in cui altre aree economiche e altri sistemi giuridico-istituzionali hanno assunto una posizione dominante sia nello sviluppo economico che in quello scientifico del pianeta.
Urge perciò una riflessione sulle forme attuali di Stato e di governo, a livello globale, per rimettere a punto i criteri di analisi, la metodologia di indagine, le categorie di  classificazione delle forme di Stato e di governo e questo è un compito urgente soprattutto per il comunismo anarchico che attribuisce una funzione essenziale al ruolo dell’elemento sovrastrutturale delle forme con le quali si esercita il dominio dell’uomo sull’uomo (e sulla donna), [1] nella convinzione che le forme politiche di dominio, istituzionalizzandosi, finiscano per assumere “dimensioni strutturali” o comunque fortemente condizionanti delle forme di dominio e dei rapporti tra le classi.
In questa operazione di ridefinizione gioverà anche differenziare i parametri di riferimento in relazione agli elementi che concorrono a conferire una determinata forma allo Stato, poiché le condizioni con le quali la forma delle istituzioni, la sua considerazione, gli elementi di supporto alla struttura di dominio, differiscono in ragione della composizione delle popolazioni sul territorio, del ruolo delle etnie, dell’uso delle lingue, della cultura, delle tradizioni, delle afferenze religiose che condizionano, assetto, configurazione, ruolo, funzione, percezione dello Stato.
Come notavamo nei nostri documenti teorici,[2] oggi lo Stato va ben al di là dello svolgimento delle tre funzioni storiche: la regolazione dell’andamento del ciclo economico, l’intervento diretto nell’economia imprenditoriale ed il Welfare. La presenza delle multinazionali e la globalizzazione hanno fortemente ridotto, anche se non cancellato, le
funzioni di regolazione del ciclo economico, al punto che nelle diverse aree del pianeta sono in atto processi di concentrazione dei poteri statali per far fronte al gigantismo dei poli economici di sviluppo. Al gigante economico e politico cinese si contrappone l’Unione Europea (sia pure con molte contraddizioni), mentre economie pur forti, come quella statunitense e russa, sembrano sempre più destinate ad un ruolo di comprimari dei due poli di attrazione. Il resto del mondo subisce le attività predatorie delle superpotenze e insieme dei subagenti dell’una o dell’altra, delle multinazionali oppure gravita intorno a potentati di dominio di aree del pianeta, le cui dinamiche vanno singolarmente
esaminate.[3] Tra queste ve n’è una sulla quale è urgente focalizzare l’attenzione a causa dei venti di guerra che sembrano spirare in quell’area e per l’immediata incidenza che essa ha nel cortile di casa dell’Europa e nelle relazioni di questa con una delle potenze militari ed economiche del pianeta: la Russia.

Anatomia dello Stato debole

La dissoluzione dell’URSS e la crisi Jugoslava (indotta dalla Germania e dagli interessi vaticani) [4] hanno permesso nell’Est Europa la rinascita di molti Stati e dato la possibilità ad altri di recuperare la propria autonomia. Ma, mentre i confini e la composizione etnica delle Repubbliche dell’Est Europa rispecchia grosso modo gli assetti precedenti alla Seconda guerra mondiale [5], quelle già facenti parte dell’URSS, ridivenute indipendenti, sono state disegnate sulle delimitazioni territoriali stabilite all’interno della Federazione russa e hanno in parte cambiato la loro composizione etnica, nazionale e linguistica a causa della scomparsa di alcune popolazioni [6] o per effetto dei grandi spostamenti di popolazione disposti nell’ambito del riequilibrio etnico e nazionale attuato da Mosca per bilanciare i rapporti tra le diverse componenti etnico-linguistiche.[7] Le nuove compagini statali, nate dalla crisi jugoslava, hanno invece ridisegnato i loro confini dopo operazioni di pulizia etnica e conseguenti spostamenti forzati di popolazione che hanno prodotto fratture sociali ancora non rimarginate.
Questo complesso e articolato processo di ri-definizione dei confini e delle appartenenze e il contestuale venir meno delle componenti ideologiche che avevano caratterizzato le precedenti strutture statali, hanno fatto sì che molti degli attuali Stati dell’Europa dell’Est presentino particolari fragilità che hanno creato aree di instabilità nelle quali assumono un ruolo importante l’appartenenza religiosa e le strutture confessionali di afferenza delle popolazioni.
Si individuano in particolare due aree di crisi: la prima costituita dai Balcani e la seconda da alcune Repubbliche già facenti parte dell’URSS dove, venendo meno la struttura dello Stato a democrazia socialista, è venuto a mancare l’elemento coercitivo che costituiva il fondamento dell’unità e insieme dell’identità dello Stato. A questa situazione di crisi le élite al potere, nell’impossibilità di fare aggio sulla nazione e sulla comune lingua, sulle tradizioni e la cultura, hanno individuato nella comune appartenenza religiosa delle popolazioni alla tradizione cristiana ortodossa l’elemento di possibile coesione, attingendo da questa la concezione di Stato che le è propria, caratterizzata dal rapporto sinfonico tra potere civile religioso.
Nell’area che corrisponde ai paesi che fanno da corona a occidente ai confini russi questa operazione ha avuto pieno successo; in Bielorussia a causa dell’incontrastato rapporto confessionale della gran parte della popolazione con l’Eparchia di Minsk della Chiesa Ortodossa Russa, che ha supportato il rapporto politico con il potere, stipulando ben 20 accordi con lo Stato che si è nei fatti confessionalizzato, non senza suscitare resistenze e contrarietà a livello sociale, per ora contenute e controllate grazie al potere coercitivo e dittatoriale dello Stato e alla profonda connessione di interessi tra struttura ecclesiastica e potere politico.[8] Non altrettanto è avvenuto in Ucraina per un insieme di ragioni che conviene prendere in esame.
Si fa risalire l’attuale Ucraina alla Rus’ di Kiev che si costituì nel Medioevo: questo Stato comprendeva parte del territorio dell’odierna Ucraina, Russia Occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia orientali e costituiva il più antico Stato organizzato delle popolazioni slavo orientali. Esso nasce verso la fine del IX secolo, lungo le sponde
del fiume Dnepr dagli insediamenti di tribù svedesi, vichinghe, popolazioni baltiche e finniche che discendevano i grandi fiumi dell’Europa nordorientale [9]. Queste eleggono Kiev come centro della loro attività e si fondono con popolazioni slave. Pertanto, l’entità politica che attualmente porta il nome di Ucraina è uno Stato multietnico, all’interno del quale sono confluiti numerosi popoli. Il fenomeno si è accentuato per effetto delle vicende belliche dell’ultima guerra mondiale, quando precedenti entità di popolazioni con una propria caratterizzazione etnico-linguistico e culturale differente sono state annesse al paese.
Oggi l’Ucraina comprende alcune entità territoriali diverse: la Bucovina settentrionale [10] (di etnia e lingua rumena) la Galizia[11] e la Rutenia orientale,[12] abitata da popolazioni di lingua e tradizioni polacche. Il nome di Rutenia si estendeva fino a comprendere anche i territori compresi tra i bacini dei fiumi Bug orientale e a quello del fiume Dnestr, sia alle foreste a nord-est ed era abitato da popolazioni slavo orientali. La fascia costiera di territorio prospiciente il Mar Nero che parte dal Donbass e arriva fino ad Odessa, compresa la Crimea, era abitata da popolazioni russofone e tatare.
Nel giugno del 1954 la Crimea, territorio tradizionalmente russo, in seguito a una decisione del Soviet Supremo dell’URSS, per volere di Chruščёv, allora Primo segretario del Partito, venne trasferita all’Ucraina, nell’ambito della politica di riorganizzazione e decentramento dello Stato. Nel 2014, Vladimir Putin ha riannesso unilateralmente la penisola alla Federazione Russa, dopo averla occupata militarmente, sostenendo che la decisione di Chruščёv del 1954 aveva violato la Costituzione sovietica, cedendo una parte del territorio e compromettendo l’ “inalienabile” unità del territorio della nazione russa.
Perciò, per orientarsi rispetto alle cause endogene della questione Ucraina (quelle esogene relative agli equilibri tra Stati e super potenze richiedono un discorso a parte), è necessario fare chiarezza sulla nozione di Stato, di nazione, di patria, di etnia, parole che nel linguaggio comune siamo abituati ad utilizzare in modo intercambiabile e che invece
nascondono significati tra loro molto diversi.
Se “per Stato si deve intendere un’impresa istituzionale di carattere politico nella quale – e nella misura in cui – l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima, in vista dell’attuazione degli ordinamenti.”[13] l’attuale Ucraina è uno Stato perché tende ad assicurare una crescente pacificazione
ed espansione del mercato; la monopolizzazione dell’uso della forza legittima da parte di un ceto politico; la razionalizzazione delle regole per l’applicazione della violenza fisica [14]. In questo senso esso è funzionale a consentire a un gruppo dominante che si costituisce in una società organizzata di esercitare il dominio, conferendo legittimità all’uso
della forza nei confronti dei consociati al fine di garantire la dominanza delle élite costituite come classe. Va da sé che alla luce di queste considerazioni elementi quali il popolo, il territorio e la sovranità, sono il paravento concettuale dietro il quale si nasconde la dominanza di classe.                                                                                                            Se per nazione si intende l’insieme delle persone che hanno in comune origine, lingua, storia e che di tale unità hanno coscienza collettivamente, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica e quindi in un unico Stato, è invece difficile riferire questa definizione all’Ucraina attuale. Nel 1991 solo il 49,3 per cento dei giovani in età scolare utilizzava l’ucraino; con l’indipendenza la maggior parte degli ucraini riconoscono l’ucraino come loro lingua natia (il 67,5 per cento nel 2001) e nel 2012 il numero sarebbe salito al 81,9 per cento.
Tuttavia, non c’è correlazione diretta tra le dinamiche positive dell’uso della lingua nell’ambito scolastico e l’uso pratico.
Secondo un censimento recente, il 68 per cento degli ucraini considera la lingua ucraina come natia, oltre l’80 per cento è istruito in ucraino, ma solo il 50 per cento la parla a casa. Ancora di meno – il 39 per cento, la usa al lavoro. “Attualmente il numero delle persone di madrelingua russa in Ucraina non prevale su quello di madrelingua ucraina, però i primi ancora hanno più potere.” In carenza di altri parametri assume quindi importanza come carattere distintivo l’appartenenza confessionale, il che spiega la grande importanza politica attribuita alla concessione dell’autocefalia a una Chiesa che costituisca un elemento di coesione quanto meno nella parte centro orientale del paese, posto che ad occidente predomina l’appartenenza alla Chiesa greco cattolica.
Perché l’entità statale venga qualificata come unitaria e sovrana, unitaria, perché raffigurabile nella forma di una persona giuridica, cioè di un soggetto giuridico collettivo, sovrana, perché titolare di un supremo potere di governo, grazie al monopolio dell’uso legittimo della forza, sia sul versante interno (ordine pubblico) sia sul versante delle relazioni internazionali (attitudine alla guerra), occorre quindi che si faccia ricorso al concetto di patria, ovvero a una superfetazione che ha esclusive basi politiche negli equilibri di dominanza e di potere su popolazioni con nazionalità lingue e tradizioni differenti .[15]
Solo in questo modo, Stato e patria, rappresentando un coacervo di interessi coincidenti, generano nei consociati il concetto di unità che fa aggio su un’opzione squisitamente politica, a prescindere dall’etnia, dalla lingua, dalle tradizioni e dalle credenze comuni, tra le quali si colloca la religione. L’insieme produce una soggettività collettiva che, pur conservando al suo interno forti contrapposizioni, ha la pretesa di essere unica, al punto da contrapporsi alle altre entità collettive. Con questa operazione di trasposizione logica e concettuale Stato e patria sembrano acquistare personalità “individuale”, divenire soggetto unico e irripetibile da contrapporsi a ogni altro, similmente per ciò che avviene tra individui tra loro diversi. La scelta di combattere per l’Ucraina diviene quindi di carattere ideologico: ciò spiega le milizie combattenti di volontari fortemente caratterizzati su posizioni di destra estrema.
Quello che sta avvenendo – e che abbiamo appena descritto – dimostra in modo inequivocabile la fondatezza della lotta che l’anarchismo porta allo Stato come strumento di guerra tra i popoli, giustifica a motiva in modo profondo l’avversione anarchica all’idea stessa e al concetto di patria.

Allo Stato e alla patria contrapponiamo l’Umanità

Per il comunismo anarchico i concetti appena sommariamente descritti costituiscono una costruzione sovrastrutturale funzionale a fornire la motivazione per esercitare la dominanza di una classe – quella detentrice dei mezzi di produzione e quindi del potere – sulle altre. Questa sovrastruttura di potere è innaturale, affatto necessaria e pertanto va
abbattuta in nome dell’uguaglianza tra tutte le donne e gli uomini, in nome dell’umanità. Questa convinzione non ha nulla di idealistico, ma scaturisce da constatazioni pratiche, sol che si guardi la distribuzione delle popolazioni sul territorio che oggi, ovunque, non è omogenea, né dal punto di vista etnico, né linguistico, né religioso e nemmeno per tradizioni e costumi. Le ragioni del vivere e quelle dell’economia spingono la società verso una composizione multietnica e multireligiosa nella quale eredità culturali e di costumi, tradizioni e vissuto, si mescolano al punto da trasformare ancor più una unità nazionale, o di patria in una finzione, in una costruzione meramente giuridica. con funzioni  amministrative e di gestione dei cittadini sudditi. È ciò che rende l’ipotesi di gestione della società, attraverso organismi partecipati che dal basso e in aderenza con il territorio gestiscano società sempre più complesse, un’eventualità realistica e funzionale, e la
democrazia diretta un istituto coerente con la gestione alla complessità di relazioni necessarie, capace di cogliere le istanze emergenti dal territorio.
Queste considerazioni apparentemente teoriche acquistano in concretezza sol che le si applichi a situazioni concrete nelle quali il ricorso alla utilizzazione dello Stato come forma di gestione delle popolazioni e del territorio ha prodotto o minaccia di produrre la conflittualità e la guerra. In una situazione di insussistenza degli elementi costitutivi di
una sovrastruttura statale o nazionale occorre dar vita a soluzioni originali che partano dai problemi reali delle popolazioni, che vanno affrontati e risolti. Perciò ben venga per i territori oggi facenti parte dell’Ucraina l’adozione di una struttura federale a democrazia partecipata che rispetti le caratteristiche proprie delle nazionalità sul territorio.
Troverebbe così una soluzione equa la crisi interna al territorio ucraino; altro sono i rapporti tra le super potenze che banchettano sulla pelle delle popolazioni.

[1] “I marxisti hanno sempre sostenuto che tutta l’evoluzione storica è determinata dalla struttura (assetto della produzione, con i connessi rapporti sociali), mentre gli altri aspetti (politica, cultura, guerra, ecc.) non ne sono che conseguenze più o meno dirette, ma comunque necessariamente determinati (sovrastruttura).
Gli anarchici, al contrario, hanno pensato che sì, la struttura era la fonte primaria dell’assetto sociale (la storia è storia della lotta di classe), ma che la sovrastruttura non ne fosse poi così strettamente dipendente, possedesse cioè dei propri margini di vitalità e che potesse persino a sua volta interagire, contribuendo a determinarla, con la struttura stessa. [Stranamente, sia detto per inciso, i marxisti hanno sviluppato un interesse parossistico per la mediazione politica ed elettorale (le forme incielate dell’economia, come le ha definite Marx), mentre gli anarchici hanno coltivato per esse un disinteresse fanatico.] Saverio Craparo, Quel che è Stato… è Stato, http://www.ucadi.org/wp-content/uploads/2021/08/quel-che-%C3%A8-stato.pdf
[2] Ibidem.
[3] Oggetto di analisi specifiche devono essere l’area dell’America Latina e del centro America alla quale si applica con sempre maggiore difficoltà la dottrina Monroe; l’Africa contesa dalla Cina, dall’Europa e dagli Stati Uniti; l’insieme dei paesi islamici che in parte si intersecano con l’area del pacifico nella quale si afferma con sempre maggior peso il ruolo della Cina e quello, crescente, dell’India mentre meritano analisi separate il
Giappone e l’Australia.                                                                                                           [4] Non è un caso che Germania e Stato Vaticano siano state le prime entità statali a riconoscere la Croazia indipendente, avviando così la dissoluzione della Federazione jugoslava: la prima con l’obiettivo di frantumare l’area balcanica per procedere poi al suo
progressivo assorbimento nell’Ue; il secondo nella strategia di riposizionamento della componente cattolica in Europa, a fronte del diffondersi in Occidente, per il tramite dell’emigrazione e della caduta delle barriere culturali e religiose, delle Chiese autocefale
d’Oriente,nella forma di Chiese universali che riconoscono nel mondo il loro territorio canonico.
[5] Se la denominazione di questi Stati è ritornata ad essere in generale quella prebellica, non altrettanto è avvenuto per l’afferenza agli Stati dei territori e delle popolazioni, perché i confini dell’Urss sono stati spostati verso occidente, mediamente di 200 Km in parte
inglobando popolazioni oltre che territori.
[6] Ad esempio, il sistematico sterminio delle popolazioni yiddish dall’Europa centrale ha mutato la composizione etno-linguistica di quei territori, prova ne sia che prima della Seconda guerra mondiale la Bielorussia era uno Stato trilingue, mentre ora la componente
yiddish è scomparsa.
[7] Relativamente alla politica dell’URSS verso le nazionalità rileviamo che le modalità con le quali la questione è stata affrontata ha attraversato fasi diverse. Per tutto il ventennio precedente alla Seconda guerra mondiale le soluzioni che ne sono state date hanno svolto un ruolo centrale nella costruzione del nuovo Stato. Va ricordato che nell’URSS venne creato un Commissariato alle nazionalità, presieduto da Stalin, con lo scopo di fare applicare la legislazione riguardante i «diritti dei popoli sovietici». Stalin, infatti, era ritenuto dal Partito l’esperto della questione, essendo stato inviato da Lenin a studiarla a Vienna nel 1913, posto che quello asburgico era uno Stato multietnico. Dopo questa esperienza Stalin pubblicò il suo studio con il titolo La questione nazionale e la social democrazia, ripubblicato poi col titolo: Joseph Vissarionovich Stalin, Il marxismo e la questione nazionale e coloniale, Torino, Einaudi, 1974.
Tuttavia, questa politica muta progressivamente a far data dall’inizio della Seconda guerra mondiale, passando da un sostegno allo sviluppo delle nazionalità e alla valorizzazione del decentramento e del federalismo, alla prevalenza della componente russa agli inizi della guerra, alla quale vengono attribuiti maggiori diritti. Nell’URSS postbellica l’acquisizione di nuovi territori si accompagna a giganteschi trasferimenti di popolazione per porre rimedio al calo demografico conseguente alla guerra, ma ancor più, per garantire un bilanciamento degli equilibri tra le diverse nazionalità, per realizzare un più efficace controllo sociale. Si veda: Giuseppe Walter Maccotta, Il problema delle nazionalità in Unione Sovietica,” Rivista di Studi Politici Internazionali”, Vol. 58, No. 2 (230) (Aprile-Giugno 1991), pp. 163-182.      [8] L’Esarcato Bielorusso della Metropolia Ortodossa del Patriarcato di Mosca (in bielorusso: Беларускі Экзархат Маскоўскага Патрыярхату) che rappresenta le Eparchie afferenti a questa Chiesa operanti sul territorio dello Stato nel 2003 ha stipulato con lo
Stato un accordo generale di collaborazione articolato in ben 20 protocolli di cooperazione su specifiche materie, seguite da programmi di cooperazione (Per i testi dell’accordo e quelli dei protocolli di cooperazione si veda: Bielorussia/ accordi nazionali e internazionali, http://licodu.cois.it/?page_id=1039.) che riguardano tutti i campi della vita civile e religiosa. Oggi la Bielorussia può definirsi a tutti gli effetti uno Stato confessionale, in ragione non solo degli accordi stipulati tra Stato e Chiesa, ma per il valore identitario e nazionale riconosciuto per legge alla religione ortodossa e ai suoi esponenti.
[9] J. Brøndsted, I Vichinghi, Einaudi, Torino 1960.
[10] Territorio posto ai confini con la Romania e la Moldavia annesso, unitamente a alcuni territori moldavi all’URSS per effetto degli eventi bellici legati alla Seconda guerra mondiale è abitato da popolazioni sia rumene che russofone.
[11] Questo territorio venne annesso all’URSS nel 1941 e alla fine della Seconda guerra mondiale; la parte orientale della Galizia con Leopoli, entrò a far parte della Repubblica Ucraina, mentre quella occidentale con Cracovia, rimase alla Polonia.
[12] Benché la Rutenia comprendesse un’area più vasta dell’Europa centrale, questa denominazione venne a lungo utilizzata soprattutto dagli austriaci per indicare l’Ucraina, per distinguere gli Stati dell’Est dai russi e dai polacchi e successivamente per indicare un’area dei Carpazi all’interno del Regno d’Ungheria, l’area della cosiddetta Rutenia sub carpatica. Dopo la Seconda guerra mondiale venne annessa alla Repubblica Ucraina facente parte dell’URSS.
Su queste vicende dell’Europa Centrale vedi; Milan Kundera, Un occidente sequestrato: ovvero la tragedia dell’Europa centrale, in “Nuovi Argomenti”, n. 9 (gennaio-marzo 1984.
[13] M. Weber Wirtschaft und Gesellschaft, 1922; trad. it. 1974, 1° vol., p. 53).
[14] Ibidem                                                                                                                           [15] Santi Romano, L’ordinamento giuridico, Quodilibet, 2018; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova ,Cedam, 1976.

La Redazione