MEMORIA STORTA

L’istituzione del giorno della memoria ha avuto qualche merito e molti effetti collaterali. Il merito, ovviamente, è quello derivante dal dover ricordare ciò che è avvenuto nel cuore della civilissima Europa meno di un secolo fa. In paesi
discretamente sviluppati e in piena modernità.

Gli effetti collaterali sono invece tanti e diversificati:
1) innanzitutto per i paesi come l’Italia la scelta del 27 gennaio, la liberazione di Auschwitz da parte dei sovietici, ha voluto dire allontanare dalla propria storia il contributo diretto e indiretto alla deportazione e allo sterminio. Contributo non secondario e non passivo. Basti ricordare le leggi razziali del 1938 (per certi versi più stringenti di quelle tedesche) e l’azione concreta della RSI nell’azione antisemita (antisemitismo che era uno dei punti della c.d Carta di Verona);
2) la narrazione mediatica e quella politicamente interessata, hanno poi esasperato il collegamento fra lo Stato di Israele e i cittadini ebrei deportati ed uccisi. Creando un rapporto di causa-effetto per cui i morti nella Shoah diventano la base identitaria per la costruzione di uno degli Stati-Nazione più problematici mai esistiti. In realtà gli ebrei deportati e sterminati erano cittadini perfettamente integrati nelle società dove vivevano. Mentre il Sionismo è una ideologia nazionalista nata ben prima e certamente non patrimonio di tutti gli ebrei d’Europa.
3) Ha fatto dimenticare o ha sottovalutato il sistema dei campi nazisti, appuntando l’attenzione solo su quelli tragicamente più conosciuti, mentre in realtà il “sistema concentrazionario” era un enorme ramificazione alla base del sistema di sfruttamento coloniale messo i piedi dal nazionalsocialismo;
4) ha sottovalutato la presenza di altri milioni di persone deportate nei campi: soldati sovietici in primis (destinati spesso direttamente allo sterminio), omosessuali, testimoni di Geova, Zingari, politici. Questo non per rivendicare primati in merito alla persecuzione, ma per evidenziare la caratteristica fondamentale del sistema nazionalsocialista, ove l’antisemitismo era una delle questioni che il regime volle affrontare, ma non l’unica. Una volta sterminati gli ebrei sarebbe certamente toccato ad altri “nemici”. Sicuramente tra di loro le popolazioni slave.
5) Lo stesso termine “Giorno della Memoria” ha contribuito a creare un humus culturale dove la memoria fa aggio sulla ricerca storica ed ha caricato le memorie personali di un eccesso di aspettative, facendo del testimone il portatore della verità. La ricerca storica ha ammesso da tempo le fonti orali nel proprio armamentario, ma proprio per la loro
importanza dal punto di vista soggettivo. Ovvero per come il soggetto ha vissuto e interpretato i passaggi storici nei quali si è trovato a vivere. Questa è l’importanza della memoria, della testimonianza. Ma il testimone non può anche essere caricato della responsabilità di divenire lo storico di se stesso (a questo proposito è fondamentale il libro di V. Pisanty, “I Guardiani della Memoria”, Rizzoli, 2020). Neppure Primo Levi si pose mai come storico, pur avendone le assolute capacità. Oltretutto i testimoni oggi sono ormai letteralmente scomparsi per cui le “testimonianze” delle quali possiamo disporre sono quelle dei figli, o, addirittura dei nipoti. Testimonianze di seconda, terza mano, le quali rischiano di creare confusione invece di dare informazioni ed indicazioni realmente pregnanti.
6) Le celebrazioni, inoltre, stanno assumendo caratteristiche così generiche che si rischia di perdere il senso stesso della storia realmente avvenuta. La realtà delle dittatura nazionalsocialiste e fasciste, lo scontro ideologico. Del resto, con il voto quasi unanime del Parlamento, per motivi di bassissima macelleria politica, è stata approvata la legge che istituisce, a pochi giorni da 27 gennaio, il “Giorno del Ricordo” in memoria di una questione complessa e articolata che è stata riassunta sotto il nome di “Foibe”. Abbiamo così il caso di un paese che, assieme alla Germania Nazista, ha scatenato una delle guerre più distruttive di sempre che sceglie di celebrare giornate dove recita la parte della vittima e non quella del carnefice, quale fu. Nella memoria collettiva non c’è traccia di giornate memoriali dedicate ai campi di concentramento presenti in Italia, alle stragi perpetrate dall’esercito italiano nei Balcani, alla condotta genocida in
Africa Orientale.

Ma quello che pare mancare veramente nel Giorno della Memoria è la questione sociale, di classe. Come se i regimi fascisti e nazista avessero preso il potere con una violenza generica, “barbara” come si ama dire. Certo gli squadristi non assaltarono le
banche e l’ateo Mussolini non ebbe problemi a stipulare accordi con “l’odiato” (nell’altra vita) Vaticano. E certo a supporto del nazionalsocialismo non si vergognarono di operare le più importanti aziende tedesche (quelle che ancora oggi sono leader del
mercato). E , ancora, non parve vero a Churchill che il fascismo italiano avesse levato di mezzo i socialisti e i comunisti. Così come gli accordi commerciali che intercorsero fra il nazismo e importanti aziende USA .[1]
Le “antipatie”, quando arrivarono, erano tutte geopolitiche: l’egemonia in Europa. Certo non era la salvezza dei deportati quella che interessava alle potenze in guerra, visto che neppure una bomba cadde sui lager.
È una memoria molto parziale quella che trionfa oggi: un male genericamente inteso (complice anche una lettura superficiale delle tesi, esse stesse controverse della Arendt), mancante totalmente dell’analisi di classe, delle dinamiche socio-economiche e del contesto geopolitico. Francamente non so se una memoria così possa essere utile se non a glorificare una Unione Europea, che, nel frattempo appoggia i nazisti Ucraini e parifica il comunismo al nazismo.

[1] Vedi E. Black, l’IBM e l’Olocausto, Rizzoli, 2001.

Andrea Bellucci